L’orrore della tratta e i suoi antidoti

Mentre la cronaca riporta casi di estremo degrado e violenza inaudita, le scuole di Vittoria si muovono da tempo, con progetti autofinanziati dai docenti, per agire alle radici del fenomeno
ANSA/UFFICIO STAMPA POLIZIA DI RAGUSA (caporalato)

Il ritorno dell’orrore. L’infanzia negata. Un pozzo senza fondo di violenza e di degradazione. È la storia di una tredicenne di Acate, di origine straniera, abusata più volte da vari uomini, sia italiani che immigrati.

Una storia di violenza inverosimile, che ha la sua origine in un contesto familiare deviato. Era la madre a “concedere” la figlia a vari uomini, per primo – pare – al figlio del suo compagno. Ma la ragazzina incontrava altri uomini anche nelle serre o, come nel caso di un anziano quasi novantenne, direttamente a casa sua dove si recava per offrire aiuto domestico. Riceveva in cambio dei soldi, o l’alloggio, o persino le sigarette. La ragazzina è stata affidata ai servizi sociali e portata fuori da quel contesto di degrado. Qualcuno proverà a restituirle un po’ di quell’infanzia che le è stata negata.

L’indagine avviata dalla Squadra Mobile di Ragusa ha portato all’arresto della madre e di quattro uomini che avevano avuto rapporti sessuali con la tredicenne, compreso l’anziano novantenne.

L’episodio rappresenta la punta di un iceberg in un contesto di degrado. In un lembo di terra dove i diritti sono negati e dove molti migranti si spaccano la schiena per lavorare per molte ore al giorno, spesso per pochi spiccioli. Chi si reca nelle serre fin dalle sette del mattino e vive in casupole in aperta campagna spesso non può accompagnare i propri figli a scuola. La marginalità cresce di pari passo con il contesto di assoluto degrado in cui molte persone sono costrette a vivere.

La vicenda della tredicenne di Acate ha fatto gridare allo scandalo. All’orrore. Numerose le prese di posizione e la condanna, unanime, della vicenda.

Tra le voci che si levano c’è quella di sei scuole di Vittoria, popoloso centro a otto chilometri da Acate. Le scuole San Biagio, Rodari, Sciascia, Portella della Ginestra insieme agli istituti superiori Mazzini e Fermi, già due mesi fa hanno avviato un progetto e costituito una “rete” attorno ad un progetto dal titolo “La Tratta è un problema di genere. La Scuola non Tratta”. Per due anni, si avvieranno iniziative congiunte per la formazione dei docenti attorno a temi come la pedagogia di genere, la condizione femminile, la violenza sulle donne, le opportunità lavorative e le marginalità. Perché la tratta e lo sfruttamento di donne e minori è una realtà ancora troppo presente, ancorché spesso misconosciuta.

E quando la notizia di cronaca è rimbalzata sui giornali, le scuole, ancora una volta, si sono interrogate: quella tredicenne, avrebbe dovuto essere un’alunna, ma la scuola le è stata negata. E le sei scuole, pur se a fine anno scolastico, hanno voluto ribadire il loro impegno. Quel progetto presentato l’8 aprile scorso è, oggi più che mai, di scottante attualità.

Ma come nasce il progetto? Adriana Minardi è stata una delle promotrici: «Un anno fa – racconta – avevamo aderito al progetto Stem del Ministero per un’analisi delle attitudini delle ragazze alle materie scientifiche. Abbiamo verificato che l’idea secondo cui le ragazze sono meno orientate verso le discipline scientifiche è uno stereotipo privo di fondamento. È vero, però, che ragazze con risultati pur brillanti non scelgono quel percorso didattico. Ci siamo resi conto che bisognava lavorare per eliminare un pregiudizio di genere e promuovere una cultura più paritaria tra i due generi. Abbiamo promosso corsi di formazione su questi temi, con vari esperti, sulla “pedagogia di genere”. Via via è emerso sempre di più il problema della violenza di genere, della “tratta”, delle condizioni di molte ragazze, soprattutto straniere, talvolta non accompagnate e senza familiari, che non frequentano la scuola. Abbiamo compreso che è importante far crescere la consapevolezza degli insegnanti: perché non si è docenti solo in classe, con i propri alunni, ma anche con gli alunni mancati, con coloro che magari interrompono il percorso scolastico, per vari motivi».

Adriana ricorda la frase di Gesualdo Bufalino, quando invocò un “esercito di maestri” per sconfiggere la mafia. Perché è lì che, giorno dopo giorno, si lavora per costruire le coscienze dei cittadini del domani. «Ciò che emerge – aggiunge Adriana – è la punta di un iceberg di una situazione gravissima. Non ci fermeremo e questa notizia di cronaca, purtroppo, ci spinge ancor di più. La vittima è una ragazza straniera, ma i suoi violentatori, i suoi aguzzini, sono anche italiani. Anche nelle nostre città bisogna lavorare per scardinare quella subcultura maschilista che inculca un’idea fuorviata del rapporto con le donne. Gli insegnanti devono avere gli strumenti di preparazione per operare: ed il progetto mira a dare tutto questo. Abbiamo avuto la collaborazione di vari club service, ma anche di associazioni che operano contro la violenza sulle donne, come Il Filo di Seta e Donne a Sud, o come la cooperativa Proxima. Purtroppo, nella nostra città, manca l’équipe psicopedagogica. È un team importantissimo per poter affrontare tanti casi difficili. In passato ha svolto un ruolo importante: da qualche anno, non c’è più. La mancanza si sente».

Il progetto è interamente auto-finanziato. Ottanta docenti si sono autotassati per avviarlo: un segnale controcorrente, segno di una volontà decisa di voler operare per ciò che più serve nella città.

Un progetto che parte da lontano: dalla passione civile di alcuni docenti, da quel voler dare quel di più di cui la città ha bisogno.

E che ne abbia bisogno lo confermano – drammaticamente – i fatti di questi giorni.

In questo contesto, in questi luoghi, opera anche il “Progetto Presidio” di Caritas Italiana. Ce ne siamo occupati altre volte in queste pagine. Altro avamposto di civiltà in una terra difficile. Dove, nonostante tutto, nel silenzio spesso assordante di altre istituzioni, la società civile prova a rimboccarsi le maniche. Ad operare. A servire. I bisogni concreti della propria gente. Un segnale di speranza. L’Italia vera c’è!

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