L’oro degli Inca

A Brescia, fino al 27 giugno, una rassegna indaga la religione dell'antico popolo peruviano. Dai riti ancestrali al contatto con i conquistadores.
incas
Magico e misterioso davvero il mondo degli Inca. Quanto oro in coppe, pettorali, perle, statue e oreficerie. Negli indumenti per le cerimonie sacre e in quelli più personali. Un’arte fatta per abbagliare, che preferisce i colori forti, le luci sgargianti. Un’arte, nella rassegna bresciana, più astratta che figurativa. Penso al meraviglioso Pettorale del IX-XIV secolo della nostra era, con le borchie a mo’ di stelle stilizzate, distribuite geometricamente le une accanto alle altre. Osservo la Corona d’oro decorata a teste antropomorfe, risalente ad un periodo che spazia dal 1250 a.C. al I secolo della nostra era (e l’impossibilità di una datazione precisa fa comprendere quanto ancora ci sia da studiare sugli Inca…), che stranamente ricorda i diademi di certa arte gotica europea. O, infine, rivedo il grande Disco aureo (secc. VIII-XIV d.C.) rilevato a raggi sbalzati, in quell’omaggio alla divinità del Sole , culto fondamentale di questo popolo profondamente religioso.

 

È infatti la dimensione religiosa che la rassegna offre al visitatore e allo studioso, presentando la civiltà incaica sotto questo aspetto. Una religione che ama la vita, ma anche incute terrore, orrore e morte, bisognosa di placare la divinità, e di ingraziarsela per fecondare la terra, far prosperare i raccolti, favorire le vittorie sui nemici. In particolare, una religione che tenta di esorcizzare la paura della morte e il desiderio della sopravvivenza in un aldilà. Si comprendono meglio, sotto una simile prospettiva, le immagini antropomorfe sulle corone o sulle tazze, con volti che riproducono fattezze umane non realistiche ma sublimate. Quasi mostruose per la nostra sensibilità, ma invece evocatrici di terrori ancestrali e nello stesso tempo di propiziazione verso una salvezza futura oltre la morte. Si guardi l’Ornamento per la fronte – di un re o di un sacerdote – (100-750 d.C.) con il volto di una divinità ben evidenziato, ad esprimere la presenza divina e la fuga dal male.

 

Le centinaia di oggetti esposti parlano però non solo di sacralità ma anche di vita quotidiana. Collane, orecchini, pinze depilatorie e così via, accanto a tessuti, dimostrano un amore per la vita elegante, una vera cura del corpo che nella nostra Europa, all’epoca, rappresentavano una autentica conquista.

 

Certo, osservare la bellezza fulgente di questa “civiltà dell’oro” suscita stupore ma anche sgomento, per il “martirio” a cui è stata sottoposta dai conquistadores. Fa pensare quanto poi tecniche e motivi dell’arte incaica si siano trasferiti nelle immagini sacre – madonne e santi soprattutto – dell’iconografia cristiana portata dagli spagnoli. L’amore esuberante per la vita, il senso del colore, la luce abbagliante sono passati dalle raffigurazioni “pagane” ai testi dell’arte cattolica. Perdendo certo in originalità e sviluppando un forte devozionismo. Tuttavia, la civiltà incaica si è presa una certa rivincita nei volti degli oranti, uomini e donne dai profili amerindi, miti e decisi a chiedere protezione, come un tempo al sole, ora alla vergine Maria.

 

Inca. Origine e misteri delle civiltà dell’oro. Brescia, Museo di Santa Giulia. Fino al 27/6 (catalogo Marsilio).

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