L’Oreste matto di Francesco Niccolini

Con un’animazione grafica di grande potenza visiva e drammaturgica, l’attore Claudio Casadio dà vita a un personaggio indimenticabile, affrontando il delicato tema della malattia mentale.

Ci voleva la penna di un cultore di anime erranti come quella di Francesco Niccolini, di un poeta di storie di vita, di un esploratore di viaggi della mente, di un osservatore del silenzio come condizione per sapere ascoltare, di un amanuense delle ferite da osservare e di un catalizzatore di voci, per dare voce a chi, nel frastuono del mondo, non ne avrebbe. Sente molte voci L’Oreste, rinchiuso nel manicomio dell’Osservanza a Imola nel 1980: ode le sue e quelle immaginarie del padre, della sorella, della fidanzata, e di Ermes, il suo compagno di stanza. Vanno e vengono, riempiono la sua stanza e la mente tra una visita e l’altra di un dottore e di un infermiere, tra una lettera alla morosa incontrata al “festival dei matti” e i quadri da dipingere, e mentre tenta a più riprese un contatto telepatico con la stazione spaziale di Mosca. All’interno di questi dialoghi reali e fantastici scorrono i suoi sogni, i desideri, gli incubi, i ricordi. Apprenderemo del suo abbandono da bambino, del trasferimento dall’orfanotrofio al riformatorio, fino al manicomio per oltraggio a un pubblico ufficiale. Da allora, e per trent’anni, non è più uscito dall’ospedale psichiatrico. E quando quella possibilità gli sarà data, confuso e inadeguato nell’affrontare la società, si ritroverà di nuovo alle prese con la cattiveria degli uomini verso cui reagirà violentemente, e farà ritorno nell’unico luogo a lui famigliare. Nel suo fantasticare affiorerà ancora il suo passato più tragico, quello rimosso, con i terribili avvenimenti che l’hanno segnato. Sapremo della morte della sorella preferita, della partenza del padre per la guerra e del suo ritorno dalla campagna di Russia tre anni dopo la fine di tutto, e poi la sua nuova partenza per una fantastica carriera come cosmonauta. Ma è stata soprattutto la morte violenta della madre a segnarlo, una madre che l’ha rifiutato quando ancora ragazzino manifestava i primi problemi psichici.

Come si sono svolti i fatti e come finirà la sua vicenda di degente non lo sveliamo. Nel frattempo, tra momenti drammatici e altri teneramente comici, ci saremo affezionati a lui, personaggio borderline dall’accento romagnolo, e ai suoi fantasmi. Questi, bellissimi, sono riprodotti dai fumetti animati con la tecnica del “Graphic Novel Theater” dell’artista Andrea Bruno. Immagini che fungono anche da scenografia e da elemento drammaturgico nel dipanarsi del racconto che, con evidente sottotraccia, Niccolini ha imbastito sulla struttura dell’Orestea greca di Eschilo e della ribellione edipica, facendone – per sua stessa definizione – «una specie di Orestea povera, poverissima e contemporanea»; e intitola lo spettacolo L’Oreste. Quando i morti uccidono i vivi.

Francesco Niccolini

 

In questa radiografia di un’anima semplice, vittima e carnefice allo stesso tempo, innocua e pericolosa contemporaneamente, che il destino ha sacrificato per l’amore negato, c’è una disperata tenerezza, una tragicità che sfuma in leggerezza, uno struggimento che stringe il cuore nel suo sognare di voler riavvolgere il nastro della vita. E strappa sorrisi, e crea empatia Claudio Casadio (attore per il quale il testo, tratto da una storia vera, è stato scritto), perfetto nel dare voce e corpo al personaggio condensando nei suoi gesti, nelle espressioni e nei toni, tutto il dolore, la gioia, la malinconia, il candore, l’ironia, la speranza di un uomo che la solitudine ha reso pazzo. Lo spettacolo, con la regia di Giuseppe Marini, è prodotto da Accademia Perduta Romagna Teatri e Società per Attori, in collaborazione con Lucca Comics & Games. Visto al Teatro Due di Roma.

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