Lo sport dei ragazzi prodigio

L’allarmante corsa dei teenager a conquistare primati.
Abby Sunderland

Si disputeranno nella seconda metà di agosto, a Singapore, i primi Giochi olimpici giovanili: 3.500 giovani dai 14 ai 18 anni, di 205 nazioni, gareggeranno in 26 discipline. Il Comitato olimpico, per volontà del suo presidente Jacques Rogge, ha deciso di creare un nuovo evento sportivo con l’obiettivo di «educare i giovani atleti ai valori olimpici e alle loro applicazioni nella società civile». Riunire e celebrare i migliori giovani atleti del mondo risponde ai criteri di una crescente precocità nell’avviamento allo sport di alta prestazione ed ha, certamente, il suo fascino.

 

Segniamoci il nome di Alessia Trost (un cognome che in tedesco fa “consolazione”) da Pordenone, 17 anni, che salta in alto i 187 centimetri della sua altezza ed auguriamoci che a Singapore prevalgano il gioco e l’amicizia e non la ricerca della vittoria a tutti i costi, doping compreso. L’evento offre spunti per riflettere sull’allarmante corsa in atto al primato conquistato dal talento più giovane. All’inizio di giugno nell’Oceano indiano sono scattati i soccorsi per ritrovare e recuperare Abby Sunderland, californiana di 16 anni, che ambiva a diventare la più giovane donna a compiere il giro del mondo in solitaria in barca a vela, battendo il record dei 16 anni e 363 giorni (sic!) dell’australiana Jessica Watson.

 

Alle domande più banali («Chi paga le spese dei soccorsi?»), si aggiungono interrogativi ben più sostanziali: «A che servono questi record?». Risposta della Watson: «Volevo mettere alla prova me stessa e realizzare qualcosa di cui essere orgogliosa». Non ne dubitavamo. Zac, il fratello della Sunderland, ha detenuto per pochi mesi nel 2008 il record maschile (17 anni), battuto in fretta da Michael Perham, baby navigatore prodigio britannico. Nemmeno il tempo di ripescare Abby da una tempesta con venti a 60 nodi e onde di 10 metri, che l’olandese Laura Dekker, 14 anni, annuncia per settembre il via al suo tentativo di record.

 

Accanto agli oceani, l’Himalaya: dal 22 maggio l’americano Jordan Romero, 13 anni, è il più giovane ad aver scalato l’Everest. Era già salito sulle cime più alte di tre continenti: a 9 anni sul Kilimandjaro, a 11 sul McKinley e sull’Aconcagua. «Ogni passo che faccio è verso il grande obiettivo della mia vita: stare in cima al mondo», ha dichiarato. Sentivamo l’esigenza delle sue parole, noi che come obiettivi abbiamo invece quelli più plebei di sbarcare il lunario e tenere unita la famiglia.

Dopo che Romero ha battuto il record di Temba Tseri Sherpa, nepalese di 16 anni tornato dalla vetta dell’Everest con gravi congelamenti e conseguente amputazione delle dita dei piedi, il governo cinese ha deciso di mettere un argine a questa assurda competizione: dal 2011 nessun alpinista sotto i 18 anni e sopra i 60 (altra sfida assurda in corso!) potrà ottenere il permesso di salire l’Everest dalla parte del Tibet. Il limite di 16 anni, posto invece da tempo dal Nepal, dovrebbe fermare lo zio del baby talento nepalese, Pemba Dorje Sherpa, che personalmente detiene quello di velocità di salita con 8 ore e 10 minuti, con ossigeno ovviamente: l’anno prossimo vorrebbe portare in cima un bimbo nepalese di 10 anni (pare che il prescelto sia suo figlio) per riportare in patria il primato del più giovane. Per non perdere questa supremazia il ministero del Turismo nepalese sembra disposto a chiudere un occhio.

 

Tom Daley, inglese, 14 anni, tuffatore, è stato, a Pechino, il più giovane di sempre in gara alle Olimpiadi. Braxton Bilbrey, californiano di 7 anni, ha percorso a nuoto le acque, agitate e frequentate da squali, fra Alcatraz e San Francisco, impresa mai riuscita ad un adulto, nemmeno ai detenuti in fuga dal penitenziario. L’indiano Budhia Singh a 3 anni e mezzo aveva già corso a piedi una gara di 60 chilometri: l’anno dopo il suo allenatore è stato arrestato e condannato per torture. Matteo Manassero ha il record del più giovane partecipante, 16 anni, al Master di golf. La Ferrari ha ingaggiato Lance Stroll, canadese di 11 anni, campione di go-kart.

 

Stupore e sconcerto si moltiplicano nel mondo dello sport e non solo. Ci si interroga sugli aspetti medici, psicologici, oltre che sulla responsabilità genitoriale. E soprattutto sull’utilità, o meglio la dannosità, di questa dilagante “malattia da primato” che ogni giorno sembra superare i limiti della ragionevolezza. Senza trovare, per ora, nessuna risposta sensata. A distanza di tempo questa competitività precoce presenta il conto ai nostri ragazzi. Chiediamo loro successo, resistenza, risultati, magari anche con la pretesa che mantengano un equilibrio psicologico. Le psicosi, di cui soffrono alcuni adulti, già talenti sportivi precoci, o plurilaureati, o baby prodigio al pianoforte, dimostrano che dopo qualche anno subentrano in questi “eroi” disturbi di personalità, depressione e non sopportazione della frustrazione in ciò che non riescono a realizzare.

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