Lo spirito è pronto…

«Sicché io dovrei rinunciare a quella meravigliosa ragazza là, che irresistibilmente mi attira?». È capitato a bordo della “Marconi”.
Lo spirito è pronto

La Marconi, ancorata nel porto di Napoli, dove la raggiunsi, mi apparve subito come una nave maestosa e imponente, con oltre duemila passeggeri e 480 uomini di equipaggio… Non faccio per dire, ma era veramente una “parrocchia” interessante e quanto mai impegnativa.

Interessante anche la sua rotta: Napoli, Messina, Malaga, e poi Fremantle, Melbourne, Sidney, Adelaide, e ritorno a Genova: 63 giorni di viaggio, quasi tutti di navigazione in pieno oceano.

Ancora una volta mons. B. di Trieste era riuscito ad avermi per la sua (per modo di dire) ammiraglia del Lloyd Triestino, soprattutto preoccupato per quei 480 uomini di equipaggio.

L’ambiente di bordo era il più mondano che si possa immaginare; i passeggeri erano tedeschi, olandesi, slavi, greci, francesi, inglesi, ma era chiaro che il mio compito principale riguardava l’equipaggio, in gran parte italiano.

Dopo lo stretto di Gibilterra ci inoltrammo nell’Atlantico, che avremmo percorso fino al Capo di Buona Speranza, per poi attraversare, puntando verso l’Australia, l’Oceano Indiano. Contemplavo il mare e il cielo, ogni giorno più belli, e mi sembrava che Dio mi sussurrasse: «Voglio vedere il tuo cielo, il cielo della tua anima, sempre più splendente».

Su quella nave, dove avvertivo la presenza di un mondo chiuso all’Infinito, capivo che più che parlare, dovevo ascoltare ed amare. Cercavo anche di far circolare Città Nuova, di cui facevo omaggio prima di tutto al comandante e al secondo. Essi, una sera, mi dissero, tra il resto, che la stimavano come una rivista imparziale, seria e serena, che – dicevano – «dovrebbe essere sempre disponibile sulla nave».

 

Il 4 agosto 1969 arrivammo al primo scalo australiano previsto: Fremantle. Alcune ore di sosta e a notte fonda si ripartì per Melbourne. Imbarcati i croceristi per Sidney e ritorno, ci dirigemmo verso la grande città che ci avrebbe ospitato per tre giorni, in un incanto di bellezze naturali e di splendide opere fatte dall’uomo.

Verso le 22 del 10 agosto, stavo ammirando dall’alto del ponte superiore l’immensa città. Era tutto uno sfolgorio di luci che richiamavano l’intensa vita nascosta sotto quei bagliori e fra le ombre.

Anche sotto i miei piedi ferveva la vita: erano state aperte le danze. I 400 croceristi che avevamo imbarcato, e che sarebbero rimasti con noi solo otto giorni, mettevano subito alla prova tutta la loro voglia e capacità di divertirsi.

 

Miei commensali fin dall’inizio del viaggio erano il secondo direttore macchine, il comandante in seconda e il dottore. Insieme a loro, dopo cena, mi trasferii nella grande sala da ballo. Ero tutto preso in un serrato colloquio con il dottore: il quattro volte laureato ispettore dei medici di bordo, che, dopo aver perduto la fede in Gesù durante l’università, si era attaccato, a modo suo, alla Legge di Mosè, e si dichiarava ebreo. Ma era più che altro una scusa per vivere nel materialismo più radicale, nell’attesa della venuta – quanto mai lontana – di un redentore.

Il comandante in seconda, ottima persona, qualche volta interveniva per prendere timidamente le mie difese, mentre il secondo direttore macchine era piuttosto schierato con il dottore. La mia opinione riusciva a fare capolino solo di tanto in tanto, quando il dottore prendeva fiato. E prendeva fiato solo per rinvigorire la sua eloquenza dilagante, che, dietro una apparenza di gentilezza, lasciava in piedi solo la scienza nuda e cruda e i diritti della carne.

E tuttavia, durante la cena, mi era sembrato che un po’ di quella luce che da un mese domandavo per lui a Dio, fosse penetrata nella sua anima.

La discussione si protrasse ancora per più di un’ora, e, non so in che modo, mi trovai a parlare quasi solo io, dopo un mese di contestazioni da parte sua, e di ascolto da parte mia. Anche i nostri vicini, attratti dalla novità della cosa, prestavano attenzione più alle mie parole che alla frenesia del ballo.

Il discorso passò dall’amore profano all’amore divino, dall’amore in teoria alla testimonianza della vita… e qui riuscii ad accennare alla vita nuova che pulsa nella Chiesa anche grazie al Movimento dei focolari.

Avevo parlato sicuro, quasi che l’“Angelo dell’unità” coi fratelli lontani mi avesse ispirato irresistibilmente dal di dentro. Alla fine, però, chiesi scusa del mio intervento troppo prolungato e accennai ad andarmene. «Sicché – intervenne il dottore, trattenendomi – io dovrei rinunciare a quella meravigliosa ragazza là, che irresistibilmente mi attira?». «Non rinunciare, dottore, ma scegliere di meglio, molto meglio, scegliere Dio!».

Ritornato nella mia cabina, pochi minuti dopo ne uscii per recarmi sulla tolda della nave, sotto le stelle, a pregare per lui. Ma là, inaspettatamente, lo incontrai: aveva lasciato il ballo, e con esso la tentazione. Mi disse: «Sa, sono contento di aver lasciato il salone: lo spirito è pronto…».

 

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È il titolo del volume di esperienze di un cappellano di bordo, edito da Città Nuova, da cui è tratto questo episodio. Vicende autentiche di viaggi, di avventure, di mare e di navi, che non mancano di sorprendere per la freschezza e la profondità di vita evangelica che lasciano trapelare. Ci sono ufficiali compresi dei loro doveri, scontri ideologici, bontà profonda e semplice della gente, emigranti e croceristi: un mondo che va scomparendo, ma simpatico e attraente sia per chi lo ha vissuto che per chi lo incontra oggi in queste pagine.

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