L’Italia che ci aspetta

Ci siamo, e ce ne siamo già accorti. L’estate è arrivata. È sempre il periodo più atteso dell’anno, se non altro perché, per lo più, coincide con quello delle ferie. Per tanti il conto alla rovescia è già finito, per altri manca poco. Non tutti possono fare le vacanze, a dire il vero, e coi tempi che corrono si tende sempre più ad abbreviarle. Va poi considerato anche il fatto che si va affermando la tendenza, in sé positiva, a distribuire le nostre ferie durante l’anno. Intanto, ancora una volta, si è riproposto il tormentone sulle previsioni. Sarà caldo o sarà tiepido, fresco o torrido? Vai a saperlo. Ormai visti certi abbagli presi nelle scorse estati, c’è molta più prudenza ad esprimersi. Se sul fronte del futuro ci sono poche certezze, su quello del passato, invece, si può contare su dati reali e cifre alla mano per fare delle affermazioni. Quelli che parlano del nostro Paese dal punto di vista ambientale non sono molto incoraggianti. Il 42 per cento delle spiagge italiane è in erosione, ci dice un’indagine condotta da quaranta studiosi del Gruppo nazionale per la ricerca sull’ambiente costiero. Per le sue caratteristiche morfologiche, l’Italia, insieme a Spagna e Grecia, conduce la lista mediterranea per l’erosione costiera. Il 21 per cento dei fiumi è malato, denuncia un dossier di Legambiente e del Corpo forestale dello Stato. Sui nostri corsi d’acqua vengono commessi ogni giorno quattro illeciti, dalla pesca illegale allo sversamento di sostanze inquinanti, dalla mancata depurazione degli scarichi civili e industriali ai furti di ghiaia… I fiumi sono ancora troppo spesso considerati una terra di nessuno – afferma Roberto della Seta, presidente di Legambiente -, a volte un vero e proprio far west dove cittadini incivili, amministrazioni poco attente, ma anche la criminalità organizzata, si accaniscono contro l’ambiente. Le tante illegalità lungo i fiumi confermano ancora una volta l’assoluta necessità di introdurre i reati contro l’ambiente nel codice penale, con l’inasprimento delle pene e delle sanzioni per le illegalità contro un ecosistema da troppi considerato secondario e sacrificabile. Per il sottosegretario alle Politiche agricole, Guido Tampieri, occorre restituire all’acqua il suo valore sociale e preservarla in modo adeguato; e per fare questo ci vuole anche un’attenzione di carattere finanziario. Serve inoltre un’azione di polizia ambientale sorretta da un impegno a diffondere la giusta cultura. Novità dal Corpo forestale E in effetti la difesa del territorio può contare da oggi su un nuovo strumento: il Laboratorio mobile per le indagini scientifiche sull’ambiente del Corpo forestale dello Stato. Si tratta di un’unità operativa attrezzata con tutti gli strumenti necessari per le analisi di laboratorio che vengono effettuate direttamente a bordo da uno staff di chimici, biologi, e tecnici della Forestale. Difendere i corsi d’acqua dalle continue aggressioni dell’illegalità – sostiene Cesare Patrone, capo del Corpo forestale dello Stato – non può che rappresentare una delle nostre priorità. Si tratta di ecosistemi tanto delicati quanto preziosi dove la dinamica delle acque porta lontano i problemi destabilizzando anche altri ecosistemi, spesso molto lontani come le coste e i mari. In effetti sono più di 100 al giorno i controlli effettuati dalla Forestale lungo i territori fluviali del nostro paese che presenta un grande reticolo di fiumi, torrenti e laghi. Azione, questa, che dal 2003 al 2005 ha determinato circa 600 sequestri amministrativi, 4000 multe, sette arresti. Grazie al laboratorio mobile che garantisce la precisione e l’accuratezza dei risultati analitici ottenuti, è possibile conoscere la presenza di metalli pesanti, ammoniaca, alogeni, cianuri, nitrati ecc… nelle acque; quantificare la contaminazione del suolo da prodotti inquinanti; accertare la presenza di sostanze estranee negli alimenti. È risaputo, del resto, che lo stato di salute delle nostre acque, può avere serie ripercussioni sulla salute umana e sull’economia zootecnica che dei corsi d’acqua vive. Tutti ricordiamo casi emblematici come quello del fiume Sacco, in provincia di Frosinone, che lo scorso anno causò la morte di numerosi capi di bestiame che si erano abbeverati ad un suo affluente. Sotto accusa finirono i residui delle lavorazioni industriali in un’area dove, peraltro, era già stata riscontrata la presenza di un pesticida la cui produzione è stata sospesa da oltre 30 anni. E, ancora, il tentativo di trasformare il fiume Marecchia nel riminese, seppellendo sotto una montagna di rifiuti industriali 20 mila metri quadrati di coste sottoposte a vincolo paesaggistico e ambientale. Quando invece, come sostiene ancora il presidente di Legambiente, anche la vita delle città percorse da un fiume può essere migliorata in maniera significativa attraverso il risanamento del corso d’acqua. È quello che è successo a Parigi e a Londra, dove il recupero del fiume ha fatto da volano a un rilancio d’immagine complessiva. Le aree protette Dunque la parola d’ordine è invertire la rotta per innescare un circolo virtuoso che vada a vantaggio dell’ambiente, della salute, dell’economia. E, poiché non vogliamo dare soltanto notizie allarmistiche, dobbiamo dire che ciò è quanto sta avvenendo in una parte del nostro Paese, ed in particolare nelle aree naturali protette. L’Italia è uno degli Stati che in Europa ha dato il maggior contributo allo sviluppo di un sistema di aree protette, passando dal 3 per cento al 10 per cento di territorio custodito. Lo ha fatto cercando di valorizzare al meglio il suo grande patrimonio paesaggistico, ambientale, culturale e puntando sul protagonismo della dimensione sociale, costruendo reti di cooperazione tra pubblico e privato, avviando progetti di vasta area. Con l’espressione aree protette ci riferiamo ad un panorama molto variegato in termini di territorio (si va dal mare alla montagna); di estensione (da pochi ettari a centinaia di migliaia); di obiettivi (conservazione di specie e habitat naturali, creazione di corridoi ecologici…); di amministrazione (aree pubbliche e private, parchi nazionali, regionali, interregionali, riserve, oasi, zoo…). L’Italia, secondo l’ultimo elenco ufficiale fornito dal Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio, ospita 722 aree protette pubbliche a cui vanno aggiunte quelle private, i Sic (Siti di importanza comunitaria) e le Zps (Zone di protezione speciale). Una grandissima varietà, come si intuisce, che percorre lo stivale da nord a sud e fino alle isole, con caratteristiche morfologiche diverse di cui abbiamo già parlato sulle nostre pagine (vedi Città nuova 19/2005). Quello che spesso hanno in comune queste aree è il ruolo di studio e di tutela delle risorse naturali e degli ecosistemi, come anche le attività nell’ambito della ricerca scientifica e della didattica e, non ultima, la capacità di promuovere lo sviluppo sociale ed economico sostenibile. E sono sempre più queste aree a fare da volano al turismo nostrano. È qui che affluisce il 14 per cento dell’intera domanda turistica italiana in grado di attivare un’economia che raggiunge i 10 miliardi di euro, pari al 13 per cento del totale delle entrate del settore. Nel q u i n q u e n n i o 1996/2001 l’aumento delle presenze è stato pari al 18 per cento. L’elemento cardine su cui si basa l’operatività di questa esperienza – afferma Roberto Di Vincenzo, amministratore di Compagnia dei parchi – è la rete territoriale che mette a sistema le strutture immobiliari con le risorse locali, per proporre pacchetti turistici che sappiano integrare la capacità di ospitalità con il sistema culturale che le aree protette stanno recuperando. L’obiettivo è quello di poter garantire un’offerta turistica differenziata territorialmente, ma omogenea in termini di qualità di servizio. E se i parchi vanno a gonfie vele, le aree marine, invece, navigano a vista. Il 55 per cento di quelle a protezione integrale, infatti, è a rischio, mentre scarseggiano reti idriche, elettriche e di raccolta rifiuti, punti informativi, marchi di qualità. Creare le aree marine protette è stato un passo in avanti – ha osservato il presidente di Marevivo, Rosalba Giugni -, ma occorre ora farle funzionare e non sempre gli enti gestori sono dotati di strumenti e risorse adeguate. La proposta è quella di creare una task force di professionisti che orientino le scelte e facciano progetti in grado di convogliare risorse europee, spesso rimaste inutilizzate proprio per mancanza di progetti adeguati. Le proposte Che parchi e riserve naturali siano in grande sviluppo, lo testimonia la vivacità delle iniziative che animano qua e là queste aree protette. Che attraggono visitatori ma anche volontari e studenti. Quello che si svolgerà dal 26 agosto al 2 settembre prossimo all’Oasi del lago di Penne, a ridosso del Parco nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga, è un campo stage che ha in programma incontri con esperti di gestione delle aree naturali protette, rappresentanti del Wwf e dell’università, personale di parchi e riserve. Lezioni teoriche e pratiche si alterneranno ad escursioni presso aree faunistiche e strutture di accoglienza, attività ricreative, dalla mountain bike all’arrampicata su palestra di roccia artificiale. Lo scenario è fatto di paesaggi compositi che sullo sfondo delle montagne offrono anche laghi, fiumi e colline, per un’area che è riuscita ad affermarsi a livello nazionale ed europeo non solo nell’ambito della conservazione, ma anche in quello dello sviluppo sostenibile, attraverso un gran numero di iniziative e collaborazione con tutte le principali istituzioni. Altro capitolo quello dei campi di lavoro. Interessante in tal senso l’esperienza che vede arrivare in Lombardia, oramai da otto anni, centinaia di giovani provenienti in gran parte dall’Europa e dai Paesi dell’Est, pronti a trascorrere le vacanze all’insegna della manutenzione e salvaguardia del patrimonio naturale. Da sempre il governo regionale ha tra i suoi obiettivi la valorizzazione del proprio siste- ma di aree protette, ha detto l’assessore all’Ambiente, Domenico Zambetti. Ed è in quest’ottica che da giugno a settembre si svolgeranno 42 campi di lavoro con quasi 700 giovani. Il nostro Paese, poi, sarà presente alla prossima assemblea dell’associazione Living lakes, per esportare le bellezze del lago Trasimeno oltreoceano, fino in Cina, dove la manifestazione si svolgerà dal 31 ottobre al 4 novembre prossimo. L’organizzazione che raccoglie i quaranta bacini più grandi del mondo, fa parte del Global Nature Fund, riconosciuto dall’Onu, e mira a conservare gli ecosistemi delle più vaste zone umide del pianeta. Una proposta senza confini, dunque. I guardiaparco Ma prima di chiudere questa carrellata che, per forza di cose, non può e non vuole essere esaustiva, mi si permetta un accenno ad una categoria di persone che, in maniera nascosta, ha una parte importante in tutto questo panorama: quella dei guardiaparco. È un mestiere che nasce ufficialmente con la creazione della prima area protetta nel 1872 con il parco nazionale di Yellowstone negli Stati Uniti d’America. Quelli in servizio in Italia sono circa 600, ma ogni anno ci sono nuovi concorsi che dovrebbero ingrossarne le fila. Un dato è certo: dove i guardiaparco sono presenti, ovvero in quelle regioni che maggiormente hanno investito nella realtà dei parchi, la conservazione della natura è a uno stadio più avanzato. Nell’immaginario collettivo queste persone sono pensate come bravi camminatori e sicuri guardiani. In effetti, anche la professione del guardiaparco evolve, si aggiorna. Spesso sono loro ad occuparsi di educazione ambientale, gestione faunistica, incontri con le scolaresche, osservazione del territorio e degli animali. Un mestiere che in qualche modo conserva ancora intatto il contatto con la natura. Potrei guadagnare molto di più facendo un altro lavoro, soffrirei meno l’umidità, andrei incontro a meno rischi. Ma lei mi ci vede a stare dentro un ufficio?, diceva un guardiaparco di stanza nel cuneese, incontrando un gruppo di visitatori. In effetti, a guardare come si mimetizzava nell’ambiente, come si muoveva, come si entusiasmava a far divertire i bambini in una sala attrezzata ecologicamente, era difficile immaginarlo in altro posto. Perché la natura, comunque, non ha ancora perso la sua poesia. MALATO IL 21 PER CENTO DEI FIUMI Sono cinquemila i reati registrati ai danni dei corsi d’acqua dal 2003 al 2005 con Lazio, Abruzzo e Toscana ai primi posti per l’illegalità. È quanto emerge dal dossier Fiumi informa, redatto da Corpo forestale dello Stato e Legambiente. Il 21 per cento dei fiumi nazionali risulta malato. Tra i 20 fiumi più grandi che attraversano l’Italia per circa 5000 chilometri, il bollino rosso va al Simeto in Sicilia, con solo il 20 per cento delle sue acque qualitativamente positivo, al Reno che attraversa l’Emilia (34 per cento) e all’Arno (56 per cento). Grave anche la situazione del Tevere con un terzo delle stazioni di monitoraggio che segnalano una qualità delle acque non sufficiente. Gli scarichi illegali sugli affluenti, l’uso eccessivo di pesticidi e la mancanza di depurazione (con l’eccezione di Roma che pulisce il 92 per cento delle sue acque), hanno reso il quadro di questo fiume abbastanza critico.

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