L’Italia al cuore della crisi

L’estate è stata torrida, con una densità di avvenimenti che avrebbe soddisfatto la cronaca di un anno.
Jean-Claude Trichet

L’estate è stata torrida, con una densità di avvenimenti che avrebbe soddisfatto la cronaca di un anno: attacchi ripetuti ai titoli di Stato, due manovre, defatiganti trattative interne al governo per trovare gli accordi necessari, annunci di provvedimenti e poi smentite… Tutto, sotto gli occhi dei mercati e dell’intera comunità internazionale. Sì, perché stavolta la posta in gioco è davvero alta e riguarda né più né meno la sopravvivenza della moneta unica, dell’euro. L’Italia si trova oggi al cuore della crisi, un po’ vittima un po’ concausa, per via dei ritardi nel varare le riforme strutturali necessarie ad affrontare il problema ormai cronico della bassa crescita economica. La tenuta dei conti pubblici, che sembravano in sicurezza (il vanto del governo), è stata di colpo messa in discussione dalle nuove crisi della borsa, fino a paventare il rischio di insolvenza.

 

In un’Europa sempre più somma di singoli Stati piuttosto che compagine unitaria, ridotta alle iniziative personalistiche di Angela Merkel e di Sarkozy, l’unico organismo che conserva con certezza una visione d’insieme, se non altro perché posto a guardia dell’euro,  resta la Banca centrale europea: è su si essa che anche l’Italia ha potuto contare nei momenti più bui. Infatti, dobbiamo alla Bce e alla sua decisione di acquistare i nostri titoli di Stato il ritorno a una certa normalità del mercato sui nostri titoli di Stato pluriennali.

 

Ma non potrà durare a lungo. L’Italia è chiamata a dare prova di capacità di comunicare credibilità e tranquillizzare i mercati, attraverso una rafforzamento dell’iniziativa politica, nel metodo e nei contenuti, facendo dimenticare i “tira-e-molla” della manovra di agosto.

 

L’autunno sarà comunque difficile, primo di una serie di stagioni difficili. Di queste ultime settimane restano alcune cose che dovremo tenere bene a mente: ravvivare il senso di appartenenza al Paese, per affrontare i sacrifici che siamo chiamati a fare (speriamo con equità) e accrescere il nostro senso di appartenenza all’Europa, perché abbiamo avuto conferma del fatto che oramai ci lega un destino comune.

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