L’Iraq e i soldati italiani

Il grave attentato nei pressi di Kirkuk, forse un colpo di coda del redivivo Daesh, pone anche degli interrogativi sulla presenza di nostri militari nel Paese del Tigri e dell’Eufrate
ANSA / MARIO DE RENZIS-ARCHIVIO / PAL

In questi giorni tutti i media nazionali stanno parlando dell’attentato contro la colonna di soldati italiani in Iraq. L’esplosione di un ordigno artigianale (Ied) ha provocato cinque feriti, tre dei quali gravi.

I militari appartengono a un gruppo misto di truppe speciali: due sono paracadutisti del reggimento “Col. Moschin” e tre sono incursori “Comsubin” della Marina. Si trovano in Iraq nell’ambito di “Prima Parthica” (circa un migliaio di militari italiani), una missione Nato con compiti di addestramento anti-Daesh dei peshmerga iracheni e, almeno fino a pochi mesi fa, di sorveglianza armata della diga di Mosul, il principale bacino idrico della regione.

La bomba, nascosta sotto la strada, è esplosa o forse è stata fatta esplodere mentre i soldati italiani passavano vicino a Makhmur, a circa 100 Km da Kirkuk e 70 da Erbil, ai confini meridionali del Kurdistan iracheno. Nella regione si nascondono ancora numerosi jihadisti del Daesh, che starebbero tentando di recuperare terreno dopo le sconfitte subite lo scorso anno a Mosul e poi in Siria con la morte in particolare del loro leader al-Baghdadi.

Numerosi i messaggi di solidarietà e sostegno ai soldati da parte delle istituzioni e di politici italiani (di tutti i partiti, di destra e di sinistra), con l’unica eccezione dell’ex ministro Salvini, che non ha perso l’occasione per trasformare la solidarietà ai militari feriti in propaganda anti-islamica.

Ci si chiede quanto la continua presenza di militari italiani, di solito con contingenti di poche centinaia di italiani rispettati e amati dalle popolazioni locali (a parte la massiccia e utilissima presenza nel sud del Libano alla frontiera con Israele), nei Paesi mediorientali (Siria, Israele, Palestina…) più esposti alla violenza, sia fruttuosa e condivisibile. Ogni presenza ha una sua ragione d’essere, che però con gli anni muta e talvolta diventa meno necessaria rispetto all’inizio della missione. Serve quindi un attento monitoraggio di tali presenze.

Oltre alla ripresa delle attività terroristiche dell’Isis, l’Iraq sta vivendo un momento molto difficile dall’inizio di ottobre, quando sono scoppiate le proteste popolari contro la corruzione, il carovita, la mancanza di lavoro e i salari troppo bassi.

Recentemente la rivolta popolare – che, va ricordato, non ha nulla a che vedere con le azioni del Daesh e che ha aspetti assolutamente condivisibili – è sfociata in opposizione al governo e insofferenza verso quanto viene percepito come ingerenza dell’Iran nella politica irachena. La dura repressione di queste proteste ha purtroppo già provocato centinaia di morti fra i civili.

 

 

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