L’intervista dell’angelo a Maria

Che cosa ha a che fare Maria con la comunicazione? Certo, al suo nome si rifanno le testate di diverse riviste, radio e televisioni; ella ispira artisti e scrittori, e suscita la preghiera personale di numerosi comunicatori. Ma Maria è anche il medium per eccellenza, perché madre del Figlio unigenito Gesù Cristo, “la Parola”, la seconda persona della Trinità. Ignazio di Antiochia scriveva: “Gesù, la Parola, è nato da Maria e da Dio”. L’evento principe della storia dell’umanità è avvenuto “per mezzo” di Maria. La tradizione dei primi secoli ha poi attribuito a Maria una serie infinita di nomi che evidenziano la funzione di medium di Maria. Ad esempio, “lampada che non si spegne”, “annuncio per gli increduli”, “colei che trae fuori dall’abisso dell’ignoranza”, “colei per mezzo del quale i profeti proclamano, i pastori glorificano, gli arcangeli cantano inni”. E sulle labbra di Maria sono state poste parole impegnative: “Ho udito la Parola, ho concepito la Parola, ho dato alla luce la Parola. Ho generato la luce”. Un altro motivo è la convinzione che tutta la sua esistenza sia un esempio di vera comunicazione: anche se serbava nel suo cuore quanto vedeva, con il suo essere, più che con discorsi e proclami, trasmetteva la Parola. In un recente convegno di NetOne, laboratorio che riunisce numerosi comunicatori sensibili alla spiritualità dell’unità, Chiara Lubich ha parlato di “Maria e la comunicazione” (cf. Città nuova n° 12/2003, 13/2003 e 15- 16/2003), al quale rimando per una trattazione approfondita del nostro tema. La Lubich proponeva Maria a modello dei comunicatori perché madre di Dio e perché modello di virtù. In questo articolo, invece, cercherò di mostrare come Maria sia stata comunicatrice, prendendo in considerazione alcuni episodi della sua vita. L’ambasciatore Maria non viene nominata di frequente nei libri del Nuovo Testamento. Col suo nome una decina di volte e solo in quattro episodi sono riportate dagli autori sacri parole a lei attribuite. Nell’annunciazione entra in gioco l’angelo, il messaggero, colui che trasmette la comunicazione divina, l’ambasciatore. Ma anche il giornalista ante litteram. A Nazareth ha luogo una sorta di intervista tra l’angelo e la giovane donna. La notizia che viene dal cielo è straordinaria, fuori di ogni logica umana. Maria cerca perciò una “verifica della fonte”, che le viene offerta dalla citazione del caso di Elisabetta, rimasta incinta in età avanzata. “Eccomi, sono la serva del Signore. Avvenga di me quello che hai detto” (Lc 1, 38), risponde Maria. Per questo suo “sì” fiorisce subito in lei una realtà nuova: l’incarnazione del Verbo nel suo grembo. Analogamente a Maria, il comunicatore, ricevuta la notizia, deve rispettarla, deve darle il giusto posto, sottomettendosi in ogni caso alla verità. Luca racconta poi la visita di Maria a Elisabetta (Lc 1, 39-56), un atto di carità più che di semplice cortesia. La voce di Maria fa sussultare in grembo il piccolo Giovanni Battista. La voce, primo medium a disposizione dell’uomo per comunicare, suscita una reazione inattesa, superando barriere all’apparenza insormontabili. La comunicazione talvolta, se basata sulla carità, apre in effetti orizzonti inattesi. Maria pronuncia quindi il Magnificat (Lc 1, 46-55). Al di là del fatto che la Madre di Gesù abbia realmente pronunciato quelle parole, appare evidente la grande portata storica e ideale dell’avvenimento riportato da Luca. Maria dice cose grandi e gravi con la sua voce di giovane donna. Parla citando le Scritture, a testimoniare il suo ruolo di semplice “canale”, di puro “trasmettitore”. Nel contempo però denuncia le ingiustizie e i soprusi, ma in un contesto costruttivo, perché annuncia la speranza. Maria comunica “solo” la buona novella del Salvatore. L’umiltà del comunicatore non è contraddittoria con la forza del messaggio. Al contrario. L’annuncio ai pastori “Non c’era posto per loro nell’albergo ” (Lc 2, 7), è scritto. Maria, pur gravida, non aveva dove partorire. È una delle condizioni tipiche del comunicatore quella di essere sempre nella precarietà, senza fissa dimora, a scrivere in condizioni impossibili. La notizia per eccellenza, “lo scoop assoluto” verrebbe da dire, viene comunicata dall’angelo a un pubblico di pastori illetterati. Le notizie vere spesso non sono credute, anche se so- no verità, e chi le accoglie non è sempre chi ci si aspetterebbe: “Tutti quelli che udirono, si stupirono delle cose che i pastori dicevano” (Lc 2, 18). La nascita di Gesù per chi segue la spiritualità dell’unità ha sempre ricordato anche la rinascita di Gesù in mezzo ai suoi (Cf. Mt 18, 20), un dono di Dio che si prepara con l’amore reciproco insegnato dal vangelo. Per cui, quando – in forza del dono dell’unità – si ha Gesù in mezzo con altri, si può dire di imitare Maria, perché si dà Gesù spiritualmente al mondo, come lei lo ha dato fisicamente. Il brevissimo passaggio della circoncisione (Lc 2, 21) è significativo anche per noi comunicatori, perché in quell’occasione fu messo il nome al bimbo, che certamente venne concordato con Maria. Il comunicatore non fa che “nominare” continuamente persone, cose e avvenimenti. Ciò lo fa per la capacità di nominare che viene da Dio stesso. Una facoltà che pone l’uomo al di sopra di ogni altra creatura, perché permette il primo atto della comunicazione, il riconoscimento delle cose significate. Alla presentazione di Gesù al tempio (Lc 2, 33-35), poi, Simeone, uomo giusto e timorato di Dio, riconosce nel bambino la “luce per illuminare le genti” (Lc 2, 32) e annuncia che Gesù sarà “segno di contraddizione, perché siano svelati i pensieri di molti cuori” (Lc 2, 34-35). Troviamo qui un altro aspetto della vocazione del comunicatore, che è quella di svelare la verità, segno di contraddizione rispetto alle verità di questo mondo. Tutto ciò va naturalmente pagato: “E anche a te una spada trafiggerà l’anima ” (Lc 2, 35): Chi si mette sulla strada della verità e dell’amore, anche nelle nostre professioni, sa che dovrà pagare. Nel suo cuore Dopo l’Annunciazione e la Visitazione, Maria parla una terza volta allorché Gesù viene ritrovato tra i dottori nel tempio (Cf. Lc 2, 41-50). È un rimprovero e una supplica, quello di Maria, in cui traspare l’angoscia e l’incertezza: sentimenti che è dato di conoscere assai spesso ai professionisti dei media. La risposta di Gesù è tagliente: “Perché mi cercavate?” (Lc 2, 49). C’è qualcosa di deciso in quest’affermazione, che rimette al loro giusto posto i genitori. Così accade anche nei mestieri della comunicazione, in cui ci si deve esporre di continuo, ma pronti a tornare al nostro posto. La comunicazione è in effetti una disciplina al servizio delle altre discipline. L’evangelista chiude così: “Essi non compresero le sue parole” (Lc 2, 50). Il comunicatore ha sempre a che fare con l’ignoranza, sua propria e altrui di fronte al mistero. Al termine dei brevi racconti sull’infanzia di Gesù, l’evangelista scrive una nota sul modo di essere di Maria a Nazareth: “Sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore” (Lc 2, 51). Ma i comunicatori, al contrario, dovrebbero cercare di ripetere e amplificare le notizie. Ma non è così, sembra dire Maria: il comunicatore è colui che sa scegliere il tempo giusto della comunicazione, per raggiungere sì il massimo effetto, ma nel rispetto della verità e della carità. È invece l’evangelista Giovanni ad averci trasmesso quel reportage preciso e documentato che è il miracolo di Cana (Gv 2, 1-12). Il dialogo tra la madre e il figlio è un capolavoro. Basti rilevare come Maria non abbia timore di indicare a Gesù la mancanza di vino. Di fronte alla reazione decisa del figlio – “che ho da fare con te, o donna?” (Gv 2, 4) – la madre intuisce tuttavia quanto avverrà, e dice ai servitori di seguire le sue istruzioni. È un esempio, questo di Maria, di comunicazione senza timore, che non lascia le cose come stanno, ma fornisce gli elementi perché poi chi di dovere prenda le decisioni necessarie. È servizio e speranza. Ai piedi della croce Non si può non chiudere queste righe con le parole di Giovanni: “Gesù allora, vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: “Donna, ecco il tuo figlio”. Poi disse al discepolo: “Ecco la tua madre”. E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa” (Gv 19, 26-27). Chiara Lubich ne ha parlato diffusamente nel tema già citato, a cui rinvio. Nell’ora in cui ella avrebbe voluto stare più vicina al figlio, dovette rinunziarvi. Nessun diritto le veniva ormai dal fatto di essere stata madre sua. Se Gesù, nel momento dell’abbandono, non aveva, per così dire, né Padre né madre, era come un nulla nato dal nulla, così Maria era pure sospesa nel vuoto. La sua grandezza era Gesù, figlio suo. Per cui la Desolata appare separata dal Figlio che solo si offre per tutti, compresa lei. Il comunicatore si trova spessissimo a dover perdere le proprie intuizioni, la propria prosa, la propria ispirazione, sotto il peso delle contingenze umane e professionali. Scriveva Giordani: “Contemplando l’esistenza con gli occhi di Maria Desolata, come uno può compiacersi d’uno scritto, d’una lode, quando accanto a noi pende il figlio in croce?”. Ma, al di là della abissale perdita del Figlio, ecco che la Provvidenza divina pone dinanzi a Maria il discepolo che egli amava. C’è sempre da spostare lo sguardo su qualcun altro, da offrire la propria ispirazione, la propria competenza all’altro, al bene comune

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