L’interprete briccone

È un gradito ritorno la riedizione de L’interprete briccone, unico romanzo (Grand Prix littéraire de l’Afrique Noire 1974) di una delle personalità di maggior spicco della letteratura africana, Amadu Hampaté Bâ. Emblema dell’anziano africano custode delle ricchezze culturali e spirituali della sua gente, che al tempo stesso ha assimilato la cultura occidentale, questo filosofo, linguista, etnologo, scrittore, poeta e diplomatico originario del Mali, morto in età avanzata nel 1991, ha lasciato scritti scientifici e di profonda spiritualità (era di religione musulmana), ma soprattutto una monumentale raccolta documentaria di quanto ha potuto salvare della cultura orale del suo continente. Questo apostolo della tolleranza e del dialogo noto in Italia soprattutto per una autobiografia – Amkoullel il bambino fulbe (Ibis) – che lo colloca meritatamente tra i grandi autori della letteratura novecentesca, si è basato, per l’opera di cui parliamo, sulle testimonianze dello stesso protagonista e di altri personaggi che figurano in essa. Un romanzo che già nella stessa lingua originale – un francese piano e classico, traduzione di una lingua bambara di grande bellezza – si propone come sintesi di culture diverse. E veniamo all’argomento: chi è l’interprete e perché briccone? Ambientato agli inizi del Novecento, quando nel Mali (allora chiamato Sudan francese) l’amministrazione coloniale cercava di formare una classe locale occidentalizzata per governare il paese, il romanzo descrive lo strano destino di Wangrin (titolo originale), al servizio dei colonizzatori con le funzioni d’interprete: un arrivista dalla non comune furbizia che, attraverso una serie infinita di peripezie, arriva a conoscere la potenza e la disgrazia, l’obbedienza e il comando, l’intrigo e la burla, la ricchezza faraonica e l’estrema povertà . Anche per quanto riguarda la religione, Wangrin sa destreggiarsi abilmente tra la fede nell’Islam e le antiche credenze animiste. Ma c’è un rovescio della medaglia: La sua avidità sconfinata – che non nascondeva, e che odiava sinceramente senza però riuscire a liberarsene – non gli impediva, infatti, di avere un cuore d’oro, incline alla carità. Certo, era disposto a giocare brutti tiri per far soldi: ma sempre ai danni dei colonizzatori, dei capicantone o dei ricchi commercianti che considerava sfruttatori della massa contadina . Generoso verso i poveri e gli infelici, come meravigliarsi se da loro viene venerato come un santo? Inoltre è estremamente coraggioso e sincero, e (a suo modo) leale. Sarà anche per queste qualità che, malgrado tutte le sue bricconerie, il lettore arriva a provare simpatia per questo eroe negativo non privo di una sua dignità, e infine a rammaricarsi per la tragica conclusione della sua stupefacente carriera. Fin dall’inizio del romanzo lo scrit- tore dichiara la sua intenzione di non lanciare messaggi, quasi voglia abbandonarsi unicamente al piacere di narrare. In realtà tutta la vicenda, descritta con serena ironia e senza azzardare giudizi, è una esemplificazione della parabola dell’esistenza, che illustra le molte facce della natura umana col suo intreccio di debolezze e di eroismi. Ricco di riferimenti culturali e sociali, mosaico vivacissimo di un mondo legato alle tradizioni ancestrali nel suo impatto con la civiltà europea, L’interprete briccone si distingue dalle opere di altri autori africani per il superiore distacco e la meditata riflessione con cui l’autore, ponte lui stesso fra due culture, osserva e descrive la commedia umana che si svolge sotto i suoi occhi. Romanzo che rispecchia una visione sacra della vita e dell’uomo ed ha la potenza di un racconto biblico. Anche se Wangrin non si dichiara particolarmente praticante, non si è forse affidato alla divinità fin dalla fanciullezza? E la sua rovina non inizia quando comincia a venir meno al patto col suo dio protettore? Ma anche l’accettazione dell’avversità è indice di animo religioso. Come sembrano indicare le sue ultime parole, prima di morire: Io, che ero tutto e vivevo ridendo, diventai niente, ma continuai a ridere. Riderò degli uomini e delle cose, riderò di coloro che non sanno ridere né far ridere, perché chi non ride è malato o malvagio. E io non sono né questo né quello.

I più letti della settimana

Osare di essere uno

Chiara D’Urbano nella APP di CN

Focolari: resoconto abusi 2023

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons