La Casa di Jack, ultimo lavoro del regista, spia la vita di un uomo malvagio (uno stupefacente Matt Dillon). Volontariamente. Cioè presenta ed indaga il male, le sue radici perverse e le sue azioni attraverso la storia di Jack, artista fallito, psicopatico fin da bambino, condannato per libera scelta a compiere delitti efferati come opere d’arte sempre più perfette. Una follia distruttiva in cui tra musiche di Bach suonate da Glenn Gould, tele di Blacke, Delacroix e Géricault, spezzoni di filmati di eccidi, si snodano gli omicidi – di donne per lo più ma pure di bambini – di un uomo che obbedisce ad una sola legge: la perfezione dell’arte – dell’umanità – attraverso la crudeltà. Una sorta di Virgilio – un perfetto Bruno Ganz,da poco scomparso – ne accompagna in un dialogo quasi ininterrotto le vicende, come un reflusso di coscienza che lascia Jack solo davanti alle sue scelte. Egli è libero di continuare a uccidere, di nutrirsi di sangue e di morte. Tra la prima parte del lungo film e l’ultima, c’è una forte cesura. Se dapprima von Trier racconta con dettagli raccapriccianti e compiaciuti le crudeltà di Jack, poi l’uomo, vestito di rosso come un novello Dante, scende con Virgilio all’inferno. Da cronaca di un trhiller sanguinoso – Jack è ricercato dalla polizia a cui spesso sfugge – il film si trasforma in metafora. Nell’inferno di lava e di fuoco, pare un fioco lume di coscienza attraversi Jack quando vuole scalare la montagna infernale: verso la luce, la libertà o per esplorare altre forme del male? L’esito dipende dal rischio a cui accetta di sottoporsi o meno.
Nel complesso racconto-metafora, von Trier include ogni follia umana del passato e del presente, perché Jack è figura – forse – dell’uomo contemporaneo che gode della morte e della crudeltà. Senza freni morali, tutto – per l’arte (!) è accettabile, possibile. L’arte è potere, il potere è arte, la morte è la più sublime forma d’arte. È la società attuale o di sempre, ed è pure – a quanto pare – l’inferno dentro l’anima del regista stesso? Dio, quel Dio che in qualche misura misteriosamente appariva in Melancholia,qui tace, travolto dalla performance del male e dalla volontà di non evitarlo. Un pessimismo crudele. È ciò che siamo o che saremo la domanda di questo film imperfetto, certo, eccessivo ed inquietante? A ciascuno dare la propria riposta.
Mario Dal Bello