L’incontro-scontro tra culture

Cosa succede quando due individui o due gruppi si incontrano? Quali sentimenti e atteggiamenti provoca la diversità culturale? Che tipo di comunicazione sottende?  Ne Il conflitto generativo Ugo Morelli analizza il conflitto tra le culture, un fenomeno, per effetto della globalizzazione, tipico delle nostre società.
il conflitto generativo

La diversità culturale, secondo Carlo Ginzburg, è per la specie umana una ricchezza inestimabile, ma si tratta di una ricchezza generatrice di conflitti spesso tragici.

Le relazioni intercorrenti tra gli aspetti più strettamente culturali dei com­portamenti umani e i modi di elaborarli da parte dei soggetti coinvolti ci consentono di individuare nel conflitto di culture una delle costanti della nostra storia evolutiva.

Le differenze culturali si configurano come segnali inviati da uno all’altro e capaci di suscitare inquietudini, preoccupazioni, ansie, incom­prensioni e potenziali antagonismi. D’altra parte, la possibilità di inviare segnali che siano in grado di essere almeno in par­te compresi, o che siano capaci di presentare le posizioni in maniera sufficientemente chiara, richiede un investimento in termini di costi psichici particolarmente rilevante.

Dalla storia della gazzella e del lupo raccontata da Amotz e Avishag Zahavi, emerge chiaramente che, per poter funzionare, i segnali che uno invia all’altro devono essere attendibili e, per essere attendibili, quei segnali devono essere costosi. Le rela­zioni costituite di regole, rischi, malintesi, possibilità, blocchi, drammi, opzioni, ci segnalano che ogni comunicazione che le caratterizza è anche una prescrizione mentre costituisce un’a­pertura: istituisce un contesto, una cornice.

Quando contesti diversi e cornici diverse vengono a confronto, si configura un incontro tra differenze che può essere elaborato perché potreb­be diventare occasione di processi antagonistici (raramente sfo­cia spontaneamente in processi cooperativi e di accordo).

Ciò vuol dire che c’è una componente ambigua, opaca o oscura in ogni comunicazione, un gioco, che è condizione della comuni­cazione stessa. Ogni elemento oscuro, ogni messaggio deviato, ambiguo, cambia qualcosa, causa tormenti, provoca, in certi casi, panico; così come ogni ridondanza può produrre noia. Ma tutte queste situazioni, come la ridondanza o il rumore, ad esempio, possono produrre emergenza, originare storie, gene­rare innovazione. Molto dipende dal modo in cui viene gestito il conflitto tra le culture che sottendono questi processi.

Nelle relazioni interpersonali, le condizioni costitutive e gli esiti pos­sibili delle relazioni possono essere caratterizzati dal vincere, dal perdere o dalla conversazione intesa come un orientamento emergente verso una direzione condivisa. La diversa caratteriz­zazione è decisamente influenzata dai contesti culturali in cui i processi psicodinamici si manifestano. Non bisogna mai dimen­ticare infatti che l’uomo, mentre vive la sua esperienza di vita sul pianeta Terra e nelle relazioni con gli altri, ha uno statuto politico, cioè produttivo. […]

Ogni volta che un orientamento di valore o un riferimento culturale così strutturati si confrontano con altri orientamenti di valore o riferimenti culturali, si creano occasioni di incontro tra differenze culturali, appunto, che danno adito a esigenze di elaborazione e, quindi, a possibili conflitti.

La differenza, si sa, ha un proprio specifico potere inquietante. La nostra valuta­zione di pericolo, che ci deriva da una certa situazione, la quale si presenta come differente e almeno in parte non conosciuta, è originata dai nostri processi emozionali in buona misura in­consapevoli. Le manovre difensive che ne derivano possono es­sere perciò decisamente incomprensibili.

Ciò comporta il fatto di fare poca distinzione tra le differenze e di muoversi, spesso rimuovendo quella differenza o negandola.

Tutti questi pro­cessi nascono da una spinta fondamentale volta a scongiurare il pericolo e a produrre una negazione dell’altro come forma di rimozione del rischio e della possibilità di divenire ciò che l’al­tro rappresenta, e che è vissuto con paura. Le forme di fuga dal significato che l’altro e le altre culture con la loro presenza ci propongono sono pertanto modalità di negazione del conflitto.

Affrontare il conflitto culturale o il conflitto di cultura com­porta, del resto, un’applicazione e una capacità particolarmente significative di contenimento della paura. Sappiamo che i senti­menti di paura e di colpa limitano la conoscenza delle differenze che abbiamo di fronte e l’elaborazione di una possibile condi­visione derivante da una buona elaborazione del conflitto che ogni incontro comporta. L’effetto di una negazione del conflitto delle differenze culturali è di fatto una deprivazione delle pos­sibilità creative che possono nascere dall’incontro tra culture.

Il presente sembra mostrarci oggi una particolare difficoltà di noi tutti a trovare vie di esistenza creativa. Sperimentiamo una continua situazione in cui risultiamo derubati della possibilità di appropriarci del nostro percorso di individuazione sogget­tivo e collettivo e spesso, per queste ragioni, viviamo situazioni antagonistiche.

La distruttività e la forza della rabbia omicida, così come vengono espresse in tragici episodi di vita quotidiana, divengono un segnale dei costi della passività o della negazione delle differenze culturali. Molte persone sembrano non accede­re alla possibilità di emancipazione che da una buona elabora­zione dei conflitti delle differenze culturali potrebbe derivare e, quindi, di non fruire di condizioni che potrebbero dare corso a sentimenti e desideri differenti in modo da produrre simboli e progetti culturali innovativi, figli di una reciprocità attiva nelle relazioni interpersonali e sociali.

Ne deriva, a fronte di una negazione dei conflitti delle differenze culturali, un impoverimen­to dei linguaggi, una penalizzazione delle culture e un dominio di oggetti saturi che spesso non sono più in grado di generare significati originali, generativi, evolutivi.

Viviamo, d’altra parte, in buona misura di paura. L’elabora­zione antagonistica antica della paura che le differenze culturali ci propongono è una costante del XX secolo.

Joanna Bourke in un saggio importante sulla storia della pauramette in evidenza le paure delle donne e degli uomini del XX secolo che definisce agghiacciati, atterriti, trasformati dall’urto della storia. Le emo­zioni non sono semplicemente resoconti di stati interiori. Se­condo la Bourke è fondamentale affermare che emozioni come la paura non appartengono soltanto agli individui o ai gruppi sociali, ma di fatto mediano tra l’individuo e la società. Riguar­dano le relazioni di potere. Le emozioni portano a negoziare i confini tra il sé e l’altro o tra una comunità e un’altra. Avvicina­no o allontanano le comunità ed è come se mediassero i confini tra lo spazio corporeo e lo spazio sociale.

In tal senso la pau­ra è una forma di lavoro emozionale che conferisce agli oggetti e agli altri significato e potere.

Se quei significati e quei poteri conferiti risultano particolarmente minaccianti per le persone, possono portare, per motivi difensivi, a una negazione dell’altro o a diverse forme di intolleranza che comunque si propongono come negazione del conflitto.

I conflitti di culture riguardano oggi molteplici aspetti della nostra esperienza e coinvolgono i movimenti migratori, le periferie urbane, le religioni e le etnie, il confronto tra diversi statuti dei diritti umani nelle diverse po­polazioni. Si tratta di fenomeni conflittuali tutti connessi al pro­cesso di planetarizzazione che porta noi esseri umani a vivere in un unico contesto ravvicinato.

Allo stesso tempo sembrano al­lontanare le possibilità di dialogo a causa delle forme di cattiva elaborazione delle differenze che ogni incontro esige. Il conflit­to culturale vede fronteggiarsi perciò almeno due soggetti, due gruppi o due collettivi, ognuno dei quali è impegnato in proces­si di reciproca interpretazione, in flussi dialogici, in forme di ne­goziazione, in strategie discorsive, in processi di cooperazione interpretativa, in forme di carità interpretativa come condizione di concessione di fiducia e attendibilità alla base della possibili­tà di riduzione dell’irriducibile differenza nella comunicazione interpersonale, in simulazioni ontologiche, in atti mimetici, in operazione di reciproca invenzione.

Appare così evidente che la qualità delle relazioni sociali e la civiltà presente nelle comu­nità umane solitamente dipendono in misura significativa dalla nostra disposizione a ridurre la mediazione del conflitto delle differenze culturali e a sviluppare una buona capacità della loro elaborazione.

 

Da Ugo Morelli, Il conflitto generativo, la responsabilità del dialogo contro la globalizzazione dell’indifferenza (Città Nuova, 2014).

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