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L’inclusione… è vincente!

di Marco Catapano

- Fonte: Città Nuova

Nella vita, come nello sport, in soli pochi minuti, può accadere ciò che non si sperava capitasse neppure nell’arco di tanti anni. È quello che è recentemente successo al Canada, grazie a diversi atleti accumunati da storie familiari di immigrazione e di accoglienza

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Il canadese Vasek Pospisil, a destra, e Felix Auger Aliassime festeggiano con il capitano della squadra canadese Frank Dancevic, dopo aver sconfitto gli italiani Matteo Berrettini e Fabio Fognini durante la semifinale di doppio di tennis della Coppa Davis tra Italia e Canada a Malaga, in Spagna, (Foto AP/Joan Monfort)

A volte un momento restituisce ciò che molti anni hanno tolto. O, per dirla con altre parole, in un momento può succedere ciò che si era desiderato per lungo tempo, ma sembrava non dovesse accadere mai. Parliamo di “momenti magici”, che non si possono misurare con l’orologio, ma solo con i battiti del cuore. Quelli dei tanti sportivi canadesi, ad esempio, che alcune settimane fa hanno battuto all’unisono quando, nell’arco di una manciata di minuti, sono accaduti due fatti senza precedenti per il Paese della foglia d’acero. Era il 27 novembre, e il Canada, proprio negli stessi momenti, era impegnato contemporaneamente su due fronti: a Malaga, in Spagna, per la finale di Coppa Davis, la massima competizione mondiale a squadre nazionali del tennis maschile, e ad Al Rayyan, in Qatar, per la seconda partita della fase a gironi del campionato del mondo di calcio.

E già, i rappresentanti del Paese più esteso al mondo dopo la Russia, quel giorno, erano attesi da due veri e propri appuntamenti “con la storia”. Mai prima di allora, infatti, erano riusciti ad aggiudicarsi “l’insalatiera più ambita al mondo”, ovvero il trofeo realizzato per la prima edizione del torneo disputata oltre cento anni fa (precisamente nel 1900), e che da allora spetta alla nazione vincitrice della Coppa Davis di tennis. Mai prima di allora, ugualmente, la squadra di calcio canadese era riuscita a realizzare un gol nell’evento sportivo più seguito nel pianeta dopo le Olimpiadi, ovvero il mondiale di calcio maschile. Invece, nell’arco di appena una decina di minuti, ecco accadere quello che molti appassionati di sport del Paese che occupa la parte nord dell’America settentrionale, pensava potesse essere solo un sogno.

A riuscire nella (doppia) impresa, sono stati i componenti di due squadre che rappresentano un Paese in continua evoluzione, multiculturale e… multietnico (pensate che oggi un canadese su cinque è immigrato, e si stima che questo rapporto, nell’arco di una decina d’anni, diventi addirittura di uno su tre). Più in particolare, gli artefici del successo in Coppa Davis (dopo aver sconfitto, ahimè, proprio l’Italia in semifinale, i canadesi hanno poi vinto la finale superando l’Australia), sono stati i singolaristi Denis Shapovalov, di nascita israeliana e di origine russo-ucraina, e Félix Auger-Aliassime, lui invece nato si in Canada, ma da padre togolese e madre di origine franco-canadese. E anche Vasek Pospisil, schierato in doppio insieme ad Auger-Aliassime, nonché il capitano non giocatore Frank Dancevic, con legami lontani dal loro Paese di nascita (il primo, infatti, è di origine ceca, mentre il secondo è di origine serba).

Questa “caratteristica” multietnica è riscontrabile anche in diversi componenti della squadra di calcio che, proprio a pochi minuti di distanza dalla vittoria della Coppa Davis, è riuscita a sfatare il tabù rappresentato dal fatto di non essere mai riusciti sino a quel momento a segnare un gol in una partita dei mondiali di calcio. Dopo l’apparizione nella rassegna iridata disputata in Messico nel 1986, in cui il Canada tornò a casa con tre sconfitte (1-0 contro la Francia, 2-0 contro l’Ungheria, e ancora 2-0 contro l’Unione Sovietica), anche l’esordio del mondiale 2022 non era andato come si poteva sperare (sconfitta 1-0 con il Belgio). Poi, al secondo minuto di gioco del match con la Croazia, ecco la rete tanto attesa (anche se la partita alla fine è stata però vinta dalla compagine europea per 4-1). A segnarla, uno dei giocatori più rappresentativi della nazionale canadese. Un ragazzo, neanche a dirlo, con una storia di immigrazione alle spalle.

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Il portiere canadese James Pantemis, da sinistra, Alphonso Davies, Richie Laryea, i canadesi Mark-Anthony Kaye e Ismael Kone durante la partita tra Canada e Marocco allo stadio Al Thumama di Doha, in Qatar (AP Photo/Pavel Golovkin)

Parliamo di Alphonso Davies, considerato da diversi opinionisti come uno dei più promettenti terzini sinistri del mondo. Alphonso, che ha da poco compiuto 22 anni, è nato in un campo profughi di Buduburam, in Ghana, dove i suoi genitori erano stati costretti a rifugiarsi allo scoppio della guerra civile in Liberia. All’età di cinque anni, con la sua famiglia, Davies si è trasferito in Ontario (la più popolosa delle tredici province del Canada, quella dove vive un terzo dei canadesi e il cui capoluogo è l’affascinante metropoli di Toronto). Poco dopo il suo arrivo in terra canadese ha cominciato a giocare a calcio, e il suo talento lo ha portato a diventare il più giovane calciatore della storia ad esordire con la maglia della nazionale canadese e, appena diciottenne, a sbarcare addirittura al Bayern Monaco, una delle società di calcio più prestigiose del mondo che milita nella Bundesliga, e con la quale vanta già quasi 100 presenze.

Quella di questo ragazzo, non è però una storia isolata. La rosa della squadra dei “Diavoli rossi” che ha preso parte ai recenti mondiali, infatti, comprende altri giocatori che manifestano in modo esplicito il risultato delle politiche di accoglienza che da decenni caratterizzano il Paese nordamericano. L’attuale portiere titolare, Milan Borjan, è nato in Serbia ed è emigrato in Canada all’età di tredici anni, il capitano, Atiba Hutchinson, ha origini trinidadiane, mentre Jonathan David, l’altra stella della squadra, calciatore dal grande fiuto del gol che in questa stagione gioca in Francia, precisamente nel Lilla, è nato a New York da genitori haitiani. E l’elenco potrebbe continuare con Ike Ugbo, nato in Inghilterra da genitori nigeriani, con Lucas Cavallini, attaccante figlio di un emigrato argentino, con Junior Hoilett, di origini giamaicane, con Ismael Konè, nato in Costa d’Avorio, e ancora con David Wotherspoon, nato in Scozia, o Jonathan Osorio, di origini colombiane, o Sam Adekugbe, anche lui con origini nigeriane.

«Abbiamo in squadra colombiani e scozzesi, serbi e giamaicani, haitiani e nigeriani. È la nostra bellezza e la nostra forza. Questi giovani possono far crescere il nostro movimento calcistico. Tanti bambini hanno visto Alphonso Davies segnare contro la Croazia. Presto diventeremo un Paese calciofilo … e forse già lo siamo», ha raccontato ai cronisti presenti in Qatar John Herdman, alla guida della nazionale maschile dal 2018, dopo aver vinto in precedenza due medaglie di bronzo olimpiche (a Londra 2012 e a Rio 2016) come commissario tecnico della nazionale di calcio canadese femminile. Ah, dimenticavamo… ovviamente anche lui non è nato in Canada ma a Consett, una piccola cittadina della contea di Durham, in Inghilterra.

Lo scorso 27 novembre, per gli sportivi canadesi, sarà un giorno difficile da dimenticare. Ora però è tempo di fissare nuovi traguardi. Magari, quello di provare a vincere finalmente una partita ai prossimi mondiali di calcio che si disputeranno nel 2026, e che proprio il Canada ospiterà insieme a Stati Uniti e Messico. Con un gruppo di talenti come quelli di cui può disporre la multietnica nazione del continente americano, inseguire nuovi sogni, credere in altri momenti magici, non è vietato.

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