L’importante è la rosa

La bandiera di chi non vuole arrendersi alle brutture del mondo

«Perché mette una rosa sul carretto?». Questa domanda l’hanno rivolta in molti a Michel Simonet. Tanto che per rispondere lui ha scritto un libro, Lo spazzino e la rosa.

Michel fa lo spazzino in Svizzera, a Friburgo. Sposato, padre di 7 figli, un diploma di Commercio, due anni di Teologia, poi la scelta di fare lo spazzino. Una vocazione. Perché si sente al suo posto a lavorare sotto il cielo, per rendere la città il più presentabile possibile per i suoi cittadini.

«Sono un cristiano dell’aria aperta, parrocchiano della strada… Credo così come respiro, come respiro l’aria vivificante del mattino, quando attacco a lavorare». E la rosa, offerta quotidianamente da amici commercianti, sta lì sul suo carretto maleodorante, dal compito apparentemente così ingrato.

Sta lì. A mettere un po’ di bellezza dove nessuno s’aspetta di trovarla. La rosa è il fiore dell’immaginazione, per questo nella letteratura fiabesca è tanto amata dalle fate. Che nel racconto di Peter Pan adoperano i suoi petali come piatti e i suoi calici come bicchieri e tazze. La nostra quotidianità è afflitta da stravolgimenti epocali che ci appaiono così invadenti, ma che rappresentano soltanto i primi segnali di eventi di ben più grande portata che stanno alle porte.

Per affrontare questo futuro c’è un disperato bisogno di immaginazione. E c’è spazio per gente capace di interagire con la realtà come in una fiaba. Perché la fiaba non è l’antitesi della realtà, ma un modo alternativo di percepirla. Alle volte il più sensato per viverla.

Quando si dà spazio all’immaginazione, una rosa su un carretto dell’immondizia diventa una bandiera, di chi non vuole arrendersi alle brutture del mondo. Diventa una bandiera come quella bucherellata dai colpi di mitragliatrice che orgogliosamente segna ancora il confine della propria patria invasa.

Nei momenti più difficili della mia vita tenevo sempre in casa un vaso con dei fiori recisi. Non rose, ma tre ben più proletarie gerbere arancioni. Erano la mia bandiera. Il segno che non intendevo mollare. Che volevo portare avanti la mia vita con tutta la fantasia di cui ero capace.

Nel XIII secolo il poeta persiano Sa’di, nel suo capolavoro Il roseto, definiva il giardino delle rose come il luogo dove si raggiunge il più alto grado di contemplazione. Oggi più che mai c’è bisogno di gente capace di trasformare in roseti i luoghi di lavoro, le case, gli spazi virtuali, i social.

C’è bisogno di una nuova generazione di mistici, non isolati, ma quotidiani, mescolati agli altri, che hanno deciso di non arrendersi alla banalità del presente. Per portare bellezza e speranza là dove uno meno se lo aspetta. Gilbert Bécaud cantava: L’important c’est la rose. Aveva ragione. L’importante è la rosa.

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