Liberazione, il bisogno di ricordare

Giorgio Catti e i cristiani che si opposero al regime nazifascista. Intervista a Vittorio Rapetti dell’Azione Cattolica piemontese

 

La festa della Liberazione dal nazifascismo fa emergere, ogni 25 aprile, i nodi irrisolti della storia di un Paese profondamente segnato da 20 anni di un regime totalitario con una forte adesione di massa. Tanto che ancora oggi esponenti politici di primo piano si lasciano sfuggire dei distinguo sulle “cose buone” compiute da una dittatura violenta, promotrice delle leggi razziali, stretta in un patto d’acciaio con Hitler. Si rischia così di perdere la memoria di quegli italiani che fecero la scelta della Resistenza dopo l’8 settembre del 1943, quando il re scappò da Roma dopo aver decretato l’Armistizio con le forze angloamericane. Nello sbandamento di una Nazione occupata, uomini e donne di ogni età decisero di ribellarsi agli ordini della repubblica di Salò, satellite dei nazisti.

Molti di loro erano giovanissimi, come Giorgio Catti che aveva solo 19 anni quando fu ucciso dai paracadutisti repubblichini della Folgore. Gli trovarono addosso una foto di Pier Giorgio Frassati, esempio di impegno cristiano e punto di riferimento del popolarismo antifascista a Torino. Segno di una radicata memoria collettiva tra i cattolici torinesi se un ragazzo nato nel 1925 aveva come ispirazione la figura di un giovane testimone di fede morto nello stesso anno della nascita di Catti.

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Sul senso e il significato di questa vicenda ha dedicato particolare attenzione l’Azione Cattolica piemontese. Ne abbiamo parlato, in vista del 25 aprile del 2019 con Vittorio Rapetti, che si occupa della formazione sociopolitica e storica nella delegazione dell’Azione Cattolica del Piemonte e Valle d’Aosta.

La storia della Resistenza è ancora tutta da esplorare in tante testimonianze ancora sconosciute. Cosa muove oggi la vostra associazione ad approfondire la conoscenza di questo giovane partigiano?
La ricerca di testimonianze sulla partecipazione dei cattolici (ma anche di protestanti ed ebrei) alla Resistenza non è nuova. Già nell’immediato dopoguerra furono raccolte numerose documentazioni e memorie in merito. Poi l’attenzione si è affievolita e anche la sensibilità della comunità cristiana sul tema della Resistenza si è avvertita di meno. Tra l’altro contribuendo al rischio di assimilare la Resistenza ad una sola parte politica.

E, invece, cosa sta avvenendo adesso?
Da alcuni anni, non solo in Piemonte, lo studio e la riflessione sono ripresi, in relazione soprattutto a due questioni. Una, di carattere anagrafico, con il venir meno dei testimoni diretti, si è sentita l’esigenza di raccogliere le tracce di questo importante contributo dato alla Liberazione del nostro Paese, che rischia di andare altrimenti perduto. C’è poi la questione di carattere culturale e politico.

Cioè?
L’attacco al significato della Resistenza ha costituito negli ultimi 20-25 anni un passaggio chiave dell’attacco alla Costituzione; anche su questo versante il contributo dei cattolici è stato molto importante, ma sovente è dimenticato. Da qui una serie di progetti e di pubblicazioni, alcune elaborate proprio dall’Azione Cattolica, volte a rinnovare la memoria, ma anche ad offrire un contributo storiografico e divulgativo su questioni decisive per il futuro del nostro Paese.

In effetti, dopo il lavoro di demitizzazione della Resistenza da parte di Giampaolo Pansa, emerge ancora di più il senso dei “ribelli per amore“, capaci di avere il senso del limite anche nella risposta alla violenza più dura. Che messaggio rappresenta per il nostro tempo?
La Resistenza è stata un fenomeno intenso e complesso: se l’opera di smitizzazione giova a coglierne più in profondità i caratteri (ed anche i limiti e le contraddizioni) ben venga. Se invece è strumentalmente volta alla denigrazione e alla equiparazione al fascismo, allora non giova né alla comprensione storica, né alla educazione civile e allo sviluppo di una memoria consapevole delle radici della nostra Repubblica. Certo una delle questioni chiave riguarda proprio l’uso della violenza ed il nodo (culturale ben prima che militare) della guerra.

Cosa emerge da questa ricerca sulla risposta alla forza dei violenti?
Sotto questo profilo, i partigiani cristiani si sono dovuti misurare con un dilemma di piena attualità: come lottare per la libertà e fronteggiare la violenza più brutale, senza ridursi anch’essi all’esercitare violenza? Le risposte sono state diverse, ma certo dalla loro testimonianza affiora un’attenzione per la persona, aldilà della divisa che indossa e della parte per cui combatte, mentre in alcuni c’è stata la scelta esigente e profetica di praticare la nonviolenza. Ciò ha molto a che fare con le motivazioni spirituali e con quell’allenamento al controllo di sé (fortezza, purezza, sacrificio), tipico dell’educazione cattolica di quel tempo.

Come si pone la vicenda di Catti all’interno del cattolicesimo torinese?
La figura di Giorgio Catti (a cui è dedicato il Centro Studi di Torino che si occupa in particolare della partecipazione dei cattolici alla Resistenza) si affianca a quelle di numerose altre, come Gino Pistoni, Ottavio Ferraretto, Teresio Olivelli. Essi hanno dato testimonianza di donazione totale, che si affianca a quella di centinaia di giovani, uomini e donne, che in varie forme hanno collaborato alla Liberazione e alla costruzione di un’Italia nuova. Attraverso la vicenda personale di Catti, affiora un fenomeno più ampio e sovente poco considerato dalla storiografia: il ruolo della formazione associativa, principalmente morale e spirituale. Dalla fine del Partito Popolare con l’affermazione del regime fascista, ossia dalla metà degli anni ’20, l’Azione Cattolica resta l’unica forma associativa consentita, nonostante forti tensioni con il fascismo. Essa diviene una delle poche possibilità per i giovani e le giovani di maturare idee diverse (se non alternative) a quelle propagandate dal fascismo. Questo avviene non solo nei cosiddetti “movimenti intellettuali” del cattolicesimo italiano, ma anche nell’associazionismo di base, vissuto nelle parrocchie e nelle associazioni diocesane.

Fu una formazione politica vera e propria?
Non si trattò di una formazione politica, ma pose le basi educative e culturali per approdare non solo alla lotta antifascista ma anche alla costruzione di un diverso modello di convivenza sociale e politica. Per questo la vicenda di Giorgio Catti è significativa per il suo sacrificio personale, esito di un percorso educativo e spirituale, ma anche emblematica di un fenomeno culturale più ampio, che ha toccato una intera generazione di cattolici.

Qui un profilo della storia di Giorgio Catti.

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