Liberare l’acqua dalla Borsa

Le istanze contro la privatizzazione dell’acqua ad un anno dalla prima quotazione in Borsa avvenuta negli Usa. La prevalenza dei meccanismi di mercato nella gestione dei beni comuni. Dalla mancata applicazione del referendum del 2011 al ddl concorrenza del governo Draghi. La strada in salita dei movimenti dell’acqua
Borsa e finanza. foto Ap

La Borsa di Milano e Palazzo Montecitorio a Roma saranno gli obiettivi, dal 7 al 9 dicembre, del “popolo dell’acqua”, una rete di cittadini e movimenti che si oppongono alla privatizzazione progressiva di un bene essenziale per la vita di tutti.

Una campagna di pressione portata avanti da soggetti che non dispongono di grandi mezzi e sanno bene di non avere il sostegno delle maggiori forze politiche ma che in maniera sorprendente nel 2011 sono riusciti a vincere un referendum sulla gestione dell’acqua. Una vittoria che deve ancora concretizzarsi a livello di legislazione nazionale.

Perché la Borsa? Non si tratta solo dei prezzi irrisori che grandi società pagano ogni anno per la concessione mineraria delle fonti di acqua minerale ricavandone notevoli profitti. Quello che è in gioco adesso, come sanno bene e da molto tempo i decisori politici, è lo stesso accesso all’acqua potabile. Un diritto desinato a diventare sempre più difficile, anche in Paesi che non hanno mai sofferto problemi di siccità.

Guerre, carestie e migrazioni sono state da sempre originate da questioni legate all’acqua. Ma ora la rarità di tale bene è arrivata ad un punto che vede scendere in campo il mercato finanziario.

Il primo segnale si è registrato il 7 dicembre 2020 negli Stati Uniti quando, come spiega un dossier della Campagna, «per la prima volta nella storia, la Chicago Mercantile Exchange, la società privata che gestisce la più importante Borsa mondiale nel campo delle materie prime, ha aperto l’acqua, come materia prima, alle transazioni speculative a partire dell’acqua in California. Il prezzo fissato  dal  contratto  di  compravendita  a  lungo  termine  (detto  “futures”)  di  un  certo quantitativo d’acqua diventa oggetto di speculazione finanziaria. Fino alla scadenza del contratto, il prezzo convenuto è “titolo” finanziario (cioè, un avere finanziario: un credito per il venditore, un debito per l’acquirente)».

Nel caso particolare ad entrare nel gioco delle scommesse del mercato finanziario è «il prezzo delle transazioni sui diritti idrici di acqua per l’irrigazione nelle cinque regioni più grandi e più attivamente negoziate nello stato della California». Un mercato che vale oltre un miliardo di dollari l’anno come sappiamo dai tempi di Furore di Steinbeck con le moltitudini di lavoratori impiegati nelle sterminate piantagioni e produzioni agricole che richiedono un notevole consumo d’acqua.

Il contratto future, ideato come strumento di garanzia, è diventato, per meccanismi endogeni al mercato, oggetto di scommesse e speculazioni in base alla quotazione del bene oggetto della vendita. «Quando si scambiano i futures – precisa il dossier- non c’è uno scambio reale di un bene, l’acqua in questa caso, ma un continuo cambio di acquirenti e venditori con conseguenti cambi di prezzo che generano profitti non collegati con l’economia reale. In questo modo un bene essenziale alla vita, un diritto umano diventa uno strumento al servizio del profitto speculativo».

Quello che appare un fenomeno complesso e difficile da capire teoricamente ha la capacità molto concreta, con l’andare del tempo, di rendere inefficace la risoluzione dell’Onu del 2010 che ha dichiarato il diritto all’acqua come “un diritto umano universale e fondamentale”. La definizione progressiva di un prezzo per l’accesso ad una risorsa così preziosa ha il potere di escludere intere fasce di popolazione da un bene che è per definizione “comune”.

La sede delle transazioni finanziarie è sempre di più il centro del potere reale in assenza della politica, cioè di un intervento pubblico in grado di mettere ordine secondo equità. Il referendum del 2011 puntava ad escludere le imprese private dalla gestione del ciclo idrico nella convinzione che il loro interesse prevalente risiede nella ricerca del profitto invece dell’accesso per tutti all’acqua secondo regole di giustizia.

Tale istanza è stata assunta dal M5S tanto che il presidente della Camera, Roberto Fico, ha dichiarato tra i punti prioritari da perseguire l’approvazione della legge di iniziativa popolare presentata dal Forum dei movimenti dell’acqua. Ma il testo langue ancora in qualche commissione e l’orientamento prevalente dell’attuale governo Draghi si è manifestato nel ddl sulla concorrenza, come denuncia Marco Bersani di Attac, nella forte spinta alla «privatizzazione dei servizi pubblici locali». È questa, d’altra parte, la visione prevalente e trasversale delle forze politiche che assegnano al pubblico un ruolo di controllo e non di gestione diretta di un servizio destinato alla collettività.

Una impostazione che ha tra i massimi teorici il professor Francesco Giavazzi, consigliere economico della Presidenza del Consiglio. Con tali presupposti sembra, quindi, che il nostro Paese continuerà a seguire quanto avvenuto negli ultimi 30 anni con l’affidamento dei servizi di gestione dell’acqua potabile alle grandi società ( come ad esempio Suez, Veolia,HERA, ACEA, IREN, A2A, ecc.) che si contendono il mercato reso ancora più aperto dalla nuova normativa del governo di larghe intese.

L’iniziativa per contestare la presenza dell’acqua in Borsa si presenta decisamente in salita ma si basa sulla convinzione dei movimenti di cittadinanza globale di invertire la rotta, come sostiene Riccardo Petrella, professore emerito dell’università cattolica di Lovanio, in Belgio, tra i maggiori pensatori e ispiratori dei movimenti per l’acqua.

Secondo Petrella  ormai «i poteri pubblici hanno oramai poco da dire. Sono in posizione subordinata in moltissimi paesi del mondo dove i poteri decisionali sono passati, a seguito della privatizzazione della gestione dei servizi idrici, nelle mani di società private per le quali l’acqua è puramente un prodotto utilitario. Non per nulla le società di gestione sono chiamate “utilities”. Nell’Unione Europea, con l’adozione della Direttiva Quadro Europea sull’Acqua dell’anno 2000, i poteri reali di decisione nel campo dell’acqua sono stati affidati ai portatori d’interesse le cui scelte, specie per le società multiutilities e, ad ogni modo, delle società idriche quotate in borsa, sono valutate e giudicate dai mercati borsistici».

Alla mobilitazione che si manifesterà il 7 dicembre con gli attivisti che circonderanno la Borsa di Milano con secchi pieni di acqua, partecipa come promotore anche il Monastero del bene comune, originale comunità religiosa cattolica dei padri teatini, e il movimento delle mamme NoPfas. Quest’ultime hanno accompagnato l’inviato speciale dell’Onu in visita nel Veneto per verificare le inadempienze politiche nell’accesso all’acqua dovuto al mancato controllo dell’inquinamento industriale che interessa una delle più grandi falde acquifere d’Europa. Visita delle Nazioni Unite richiesta dalle stesse donne che combattono contro la presenza delle sostanze chimiche dannose nel ciclo alimentare del loro territorio e si battono per la necessaria bonifica della vasta area inquinata che tarda però a concretizzarsi.

Qui il link alla petizione sulla liberazione dell’acqua dalla Borsa

 

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