Libano, è tornato il premier Hariri

Clima leggermente più disteso nella terra dei cedri, dove il primo ministro è tornato e ha accettato di ritardare le sue dimissioni. Il nodo del ruolo militare di Hezbollah nella regione.

Saad Hariri è tornato a Beirut, accogliendo l’appello espresso simbolicamente nei cartelli innalzati da alcuni partecipanti alla grande Maratona internazionale di Beirut (almeno 48 mila i partecipanti alla 15a edizione del 12 novembre scorso): «We want our PM back» (“vogliamo indietro il nostro Primo Ministro”); «Corriamo per te» e «Ti aspettiamo».

Hariri, arrivato a Beirut il 21 novembre, si è recato dal presidente della Repubblica, Michel Aoun. Dopo il colloquio, ha così annunciato il risultato della consultazione: «Oggi ho presentato le mie dimissioni al presidente Michel Aoun e lui mi ha chiesto di aspettare e di attendere ulteriori consultazioni in merito alle motivazioni e ai retroscena politici e io ho acconsentito al suo desiderio… Desidero servire gli interessi più alti del Libano prima di qualsiasi altro interesse, e tutelare la pace del popolo libanese».

Dopo aver accettato di sospendere le sue dimissioni, Hariri ha aggiunto due ringraziamenti: al capo dello Stato e al presidente del parlamento. «Ringrazio Aoun – ha detto – per l’affetto che mi ha dimostrato». Ha quindi ringraziato «per il suo impegno saggio nel rispetto della Costituzione» il presidente del Parlamento libanese e leader del partito sciita Amal, Nabih Berri, che era presente all’incontro tra il premier e Aoun. Hariri ha quindi presenziato alla parata in occasione del 74esimo anniversario dell’Indipendenza del Libano.

Prima di atterrare all’aeroporto di Beirut, il premier aveva fatto due soste molto rapide: la prima al Cairo, dove aveva incontrato il presidente Abdel Fattah Al-Sisi, e la seconda a Cipro, dove si era intrattenuto brevemente con il presidente Nicos Anastasiades.

Perché e cosa ci sia dietro tutto ciò, si intuisce, ma resta non espresso. Alcuni autorevoli giornalisti dipingono un quadro a tinte fosche, prospettando una imminente «guerra siriana» anche per il Libano, cosa che Hariri vorrebbe scongiurare e per questo starebbe cercando alleanze internazionali e un dialogo interno.

Due osservazioni ulteriori si impongono: qual è l’attuale atteggiamento di Hezbollah e quello dei sauditi? Per quanto riguarda Hezbollah, il partito sciita che partecipa al governo di coalizione nazionale presieduto da Hariri, tiene fin dall’inizio della vicenda, tre settimane fa, un profilo molto basso e aperto, lanciando segnali di distensione all’interno e strali contro i sauditi e i loro alleati (Usa, Emirati e Israele soprattutto) all’esterno. Intanto a Soci si riunisce l’altra alleanza (Russia, Iran, Turchia) per discutere sul futuro della Siria liberata dal Daesh. Hariri sa bene che secondo i sauditi dovrebbe mettere Hezbollah fuori dal governo, ma sa altrettanto bene che questo è impossibile senza aprire una difficile e pericolosa crisi per il Paese.

Comunque l’impressione è che la mossa saudita di fare pressione sul Libano si sia sgonfiata: il “delfino” saudita Mohammed ibn Salman e il suo ministro degli esteri, il “falco” Adel al-Jubeir, non si aspettavano, sembra, che la Francia di Macron e forse anche l’Egitto di al-Sisi appoggiassero apertamente Hariri e il Libano. Molto dipenderà, probabilmente, dall’evolversi della situazione interna all’Arabia Saudita, dove è in corso una lotta per il potere che non ha ancora né vincitori né vinti.

Le speranze e le preghiere dei libanesi chiedono pace e stabilità per il loro Paese e per il Medio Oriente in questi momenti molto delicati, legati a precari equilibri tra forze molto più grandi di loro.

 

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