Libano, attacco forse non premeditato

Un attacco forse non premeditato a due blindati della forza di pace Onu che presidia il confine tra Libano e Israele. Due militari Unifil irlandesi morti e altri due feriti. La durissima situazione del Libano e le prospettive politiche in Israele
Libano
Il comandante dell'Unifil davanti alla bara, drappeggiata dalla bandiera delle Nazioni Unite, di uno dei due soldati irlandesi peacekeeper uccisi nella notte del 14/12 durante lo scontro con i residenti della città di Al-Aqbiya nel sud del Libano (Foto LaPresse)

«Un incidente non premeditato», lo definisce un media vicino al movimento sciita libanese Hezbollah, che in pratica controlla gran parte del sud del Libano. Il fatto è accaduto nella notte di mercoledì 14 dicembre, poco dopo le 23, a Aaqbiyeh, una località di campagna a metà strada fra Tiro e Sidone, nel sud del Libano, non lontano dalla costa. Zona abitata in prevalenza da musulmani sciiti. Due veicoli blindati dell’Unifil (il contingente Onu che dal 1978 controlla il confine fra Israele e Libano con compiti di peacekeeping), in viaggio verso Beirut e ormai fuori dalla zona di competenza, escono dalla route51 e si addentrano per circa 1 Km verso il villaggio. Il motivo di questa “pericolosa” deviazione dal percorso consentito non è noto, ma potrebbe anche essere molto banale. Ad un tratto, però, i due veicoli (ben riconoscibili per la grande scritta UN) si trovano circondati da un gruppo di persone, forse abitanti del villaggio, alcuni sono armati. Il fatto di per sè è assolutamente normale in quelle zone: è capitato senza conseguenze anche a due miei amici che si erano persi da quelle parti.

Mercoledì 14 dicembre, ad Aaqbiyeh, la piccola folla che blocca la strada ingiunge ai militari di non procedere oltre. Un autista dei Caschi blu, forse spaventato, innesta la retromarcia e in modo probabilmente non intenzionale investe uno degli abitanti. Scatta la reazione e partono dei colpi: un veicolo Onu è colpito, si schianta contro un palo e si ribalta. Un militare muore sul colpo, un secondo morirà più tardi in ospedale dove i soccorsi l’hanno trasportato, insieme ad altri due feriti lievi. L’altro blindato riesce ad allontanarsi. I due morti, così come i due feriti, sono militari irlandesi in forza all’Unifil.

Rimostranze arrivano da varie sedi diplomatiche, insieme alle condoglianze, comprese quelle di Hezbollah, per i due soldati morti. L’episodio ha suscitato commenti e preoccupazione ben oltre il Libano, e non solo nel mondo arabo, ma per comprendere meglio il contesto in cui si è verificato occorrono alcune esplicitazioni: sull’Unifil e più in generale sulla difficile situazione politica e sociale del Libano, e sul quadro politico che si sta delineando in Israele dopo le elezioni di novembre 2022.

La missione Unifil del settore occidentale, al quale appartiene anche il contingente irlandese, è attualmente composta da 3.800 caschi blu di 16 Paesi: il comando e poco più di mille militari sono italiani. Il 31 agosto scorso il Consiglio di sicurezza Onu ha prorogato il mandato della forza di pace, aggiungendo però un paragrafo in cui si dice che Unifil «è autorizzata a condurre le sue operazioni in modo indipendente». Prima non era così: ogni azione era sempre concordata con l’esercito libanese. Questa novità non è piaciuta a Hezbollah, tanto che il suo leader, Hassan Nasrallah, ha dichiarato senza mezzi termini, com’è sua abitudine, che la modifica è «una trappola che gli israeliani hanno teso al Libano». Anche se in settembre la missione Onu ha risposto assicurando che continuerà a collaborare con l’esercito di Beirut, il clima è rimasto teso.

Per quanto riguarda il Libano, è ormai uno stato fallito sia economicamente che politicamente: se alle 38 mila lire libanesi che ci vogliono per un solo dollaro (al mercato nero) si aggiunge il governo che non c’è, il presidente della repubblica scaduto che chissà quando verrà eletto, la magistratura bloccata sulle indagini dell’esplosione al porto, la corruzione, i veti incrociati di Arabia Saudita, Francia, Usa, Iran e Russia, la povertà sopra l’80%, il welfare che non esiste mentre stipendi e lavoro diminuiscono, la fuga all’estero (per poter sopravvivere) di intere categorie di professionisti, la drammatica e ormai cronica mancanza di energia, farmaci, pane, ecc. E poi il debito pubblico alle stelle e oltre, l’incapacità di assolvere alle condizioni poste dal Fondo monetario per l’erogazione di aiuti, le banche sempre sull’orlo del fallimento, i profughi siriani accampati da oltre un  decennio e quelli palestinesi da più decenni, la crisi delle scuole private, proprio quelle più qualificate… Dulcis in fundo, l’accordo faticosamente trovato con gli israeliani sui giacimenti di gas offshore che rischia di essere annullato dal prossimo ritorno al governo, in Israele, del Likud di Netanyahu, in alleanza con ultraortodossi e ultradestre, tutti rigorosamente contrari ad ogni accordo con un Libano ritenuto come un paese controllato da Hezbollah (e dall’Iran).

Nutro una grande ammirazione per la resilienza dei libanesi (e per la gente di tutte le 18 religioni o confessioni riconosciute dallo Stato, decisamente meno per la classe politica) e per la loro creatività nonostante tutto. Buon anno nuovo, Libano!

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