L’Europa che ricuce

Il volontariato nutre l’amicizia tra i popoli, globalizza la solidarietà, genera la cultura dell’umanesimo, ma in Italia il Terzo settore è sotto attacco

«Una delle cose che più mi ha toccato quando, 6 anni fa, sono arrivato a Roma, è il volontariato italiano. È grandioso!». Parola di papa Francesco, che più volte è tornato sul tema. «Spesso la società civile è arrivata – ha spiegato il presidente Mattarella nel suo discorso di fine anno –, con più efficacia e con più calore umano, in luoghi remoti non raggiunti dalle pubbliche istituzioni. È l’“Italia che ricuce” e che dà fiducia. Così come fanno le realtà del Terzo settore, del no profit, che rappresentano una rete preziosa di solidarietà».

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Tra i valori fondanti della nostra Repubblica, sin dal suo sorgere, emerge la solidarietà come base della convivenza sociale. «La Repubblica – si legge nell’art.2 della Costituzione italiana – riconosce e garantisce i diritti inviolabili (…) e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale». A cui siaggiunge l’articolo 18: «I cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione». Lo stesso avviene in Europa, dove il diritto di associazione è riconosciuto dalle Costituzioni di quasi tutti i Paesi, da Est a Ovest, dalla Polonia al Portogallo, da Nord a Sud, dalla Svezia alla Grecia. La solidarietà è associata alla libertà, alla volontà di costruire coesione sociale dal basso, agendo nella sussidiarietà, nel voler cercare il bene dei più poveri.

Radici che affondano nella storia antica della rivoluzione etica del cristianesimo, che cambia lo sguardo sul povero, non più un maledetto, ma una persona meritevole di aiuto.

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Schuman, il profeta

Una solidarietà senza frontiere che è stata alla base dell’idea stessa della nascita della Comunità europea sulle macerie della Seconda guerra mondiale. Robert Schuman, ministro degli Esteri francese, intuì, nel 1950, che solo l’audacia di trasformare il carbone e l’acciaio, da strumenti di guerra a utensili per la pace, avrebbe garantito prosperità all’Europa. «Il suo – scrive su Avvenire il professor Edoardo Zin – è un gesto di un autentico profeta: la sua eredità apre un avvenire radioso all’Europa intera in cui i popoli si possano comprendere, rispettarsi per portare a termine una comune opera d’unità fondata non solo sull’economia, ma sui valori spirituali e culturali dell’Europa e soprattutto a favore degli uomini che più hanno bisogno».

La solidarietà, non le chiusure e i nazionalismi che portarono alla guerra, rimarginò le ferite di un folle conflitto.

«L’Europa – dichiarò Schuman il 9 maggio del 1950 – non potrà farsi in una sola volta, né sarà costruita tutta insieme; essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto». Una solidarietà di fatto che in Europa in 70 anni ha fatto passi da gi- gante, è l’anima invisibile che unisce il Vecchio Continente. È l’Europa che ricuce, ma resta ancora incompiuta nonostante 14 milioni di europei, 2,8 milioni di organizzazioni, 82 milioni di volontari lavorino nell’economia sociale; nonostante l’occupazione negli anni della crisi, dal 2008 al 2014, sia cresciuta del 40% nel Terzo settore europeo e il 25% dei fondi per la coesione sociale nell’Ue siano destinati al Terzo settore.

Lo studio di Eurostat

Per la prima volta Eurostat, l’ufficio statistico dell’Unione europea, ha svolto un’indagine mettendo a confronto i numeri del volontariato in 33 Paesi dell’Europa su una popolazione di età maggiore di 16 anni. Dallo studio emerge che la media europea per il volontariato informale non organizzato si attesta al 22,2% e quello formale, svolto presso organizzazioni di ispirazione sociale, religiosa, politica, raggiunge il 19,3%. I Paesi del Nord Europa vedono una partecipazione a organizzazioni di volontariato che interessa circa il 40% della popolazione e un volontariato informale ancora più diffuso. Guida la particolare “classifica” l’Olanda con l’82,5% di volontariato informale e il 40% di volontariato formale, seguono la Finlandia (74,2% informale e 34,1% formale) e la Svezia (70,4% informale e 35,5% formale). A Est spiccano la Polonia e la Slovenia, soprattutto per il volontariato informale, mentre l’Italia raggiunge solo il 22° posto sull’Europa a 28 con l’11,2% della popolazione coinvolta nel volontariato informale e il 12% nel volontariato formale. Le variazioni sono dovute alle diverse concezioni culturali e sociali del volontariato.

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Il volontariato ingrossa il fiume del Terzo settore, è il vero protagonista, nutre l’amicizia tra i popoli, nasce nella libertà di associazione, promuove l’empatia tra gli esseri umani, globalizza la solidarietà, genera la cultura dell’umanesimo e la coesione sociale.

Terzo settore sotto attacco

Eppure, perché in Italia il Terzo settore è sotto attacco? Passi ostili contro la fiducia dei cittadini verso la solidarietà sono stati  intrapresi con i fondi per l’integrazione tagliati e i Cara (Centri di accoglienza richiedenti asilo) progressivamente chiusi; le Ong criminalizzate per i salvataggi in mare; i tagli alle misure alternative al carcere, mentre la recidiva crolla solo per chi impara un mestiere in un programma di rieducazione; gran parte dei decreti attuativi mancanti per la riforma del Terzo settore; prima il raddoppio dell’Ires per gli enti non commerciali, poi il ripristino della tassa al 12%; addirittura la richiesta di una commissione d’inchiesta parlamentare sul sistema delle comunità d’accoglienza per i minori senza una famiglia; l’esclusione dei senza fissa dimora dal reddito di cittadinanza; la retromarcia nel decreto crescita che equiparava in un primo momento gli enti del Terzo settore ai partiti politici e il tetto al 5 per mille.

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Oltre alla necessità di tagliare risorse al sociale per reperire i fondi per il reddito di cittadinanza e quota 100, il Terzo settore è avvertito come un campo di libertà, autonomo, critico perché  plurale e non omologabile. Come se fosse un’idea civile scomoda che si insinua tra una visione statalista senza corpi intermedi e la cultura mercantile. Il risultato è il rischio di uno “Stato asociale”, che erode il tessuto della comunità e non riesce a valorizzare il contributo della solidarietà per garantire servizi essenziali. Basti pensare alla donazione del sangue, degli organi, alla disabilità, all’educazione, al contrasto alla povertà, alla difesa dell’ambiente. Il Terzo settore è una risorsa che genera più di 336 mila enti, associazioni, istituzioni, quasi 6 milioni di volontari, 788 mila dipendenti e 64 miliardi di euro di valore economico.

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Unione sociale

La crisi economica mondiale ci mostra il volto di un libero mercato vorace: crescono i profitti di pochi e, allo stesso tempo, i poveri e i disoccupati. Una nuova economia sociale può fornire delle riposte per una società più equa, più solidale, creativa, partecipativa. Forse il contrario di un disegno sovranista senza cittadini liberi e forti? L’argine alla deriva di politiche nazionalistiche di piccolo cabotaggio si possono superare solo con una nuova visione profetica per far ritornare attraente l’Europa dei cittadini con una vera Unione sociale che contempli scelte capaci di costruire un sistema di alleanze capaci di aumentare il peso dell’economia sociale nel Vecchio Continente per avvicinare i cittadini alle istituzioni e tra di loro.


È il “come” che conta

CLAUDIA FIASCHI – Portavoce del Forum del Terzo settore

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Perché assistiamo a un attacco al Terzo settore?

C’è una scarsa consapevolezza non solo nella classe politica, ma anche nei cittadini, di quanto le reti di solidarietà siano fondamentali nella qualità della vita. Curarsi negli ospedali, l’educazione dei bambini, il tempo libero, lo sport, buona parte delle cose che facciamo tutti i giorni sono realizzate con l’apporto del Terzo settore. Abbiamo assistito alla strumentalizzazione di rare esperienze non di qualità per screditare il settore e portare a una diffidenza diffusa. Con la riforma il Terzo settore si è preso degli impegni sulla qualità con il bilancio sociale, il patto sociale, le rendicontazioni economiche, una politica trasparente delle remunerazioni con vincoli precisi. Ha già tracciato in modo positivo e senza resistenze, di rendere più leggibili i propri comportamenti rispetto alla propria missione.

La sussidiarietà, prevista dall’art. 118 della Costituzione, ha un valore in sé?

Al netto di tutte le cose buone che questi soggetti fanno, c’è il come lo fanno. Mobilitando relazioni nella comunità, promuovendo uno scambio relazionale, si creano relazioni umane di fiducia che aiutano a vivere bene. Non si vive bene solo perché mi posso curare bene con efficacia, ma si vive bene perché vivo in un tessuto sociale di prossimità. Ricucire la comunità non è fare delle buone cose, è fare delle buone cose dicendo: «Vieni a farle con me, aiutami a risolvere questo problema perché insieme lo facciamo meglio». Lo abbiamo nella Costituzione perché questa è la storia del Paese. Prima i cittadini decidono di farsi carico di un problema che dopo diventa un piano pubblico di servizio. Quando ragioniamo di sussidiarietà, dobbiamo immaginare una circolazione che passa da una mano all’altra, dall’associazionismo allo Stato. In questo dialogo tutto migliora. Il Terzo settore non è nato perché bisognava esternalizzare, spendere poco o risolvere un problema, non sono nate così le opere pie, le associazioni, le cooperative sociali, il volontariato. La nostra è una storia fantastica che ci dice che io posso fare delle cose e con altri le posso fare meglio.

E in Europa come invertire la rotta?

Rafforziamo il Pilastro sociale dei Diritti sociali. L’accordo di Göteborg, in Svezia, per l’occupazione equa e la crescita è un primo passo per mettere al centro obiettivi di eguaglianza sociale e solidarietà tra i cittadini europei. Bisogna insistere perché si adotti l’Agenda 2030 dell’Onu impegnando gli Stati membri dell’Ue con specifici obiettivi non solo economici ma di cambiamento della qualità della vita dei cittadini rispetto alla povertà, la salute, l’ambiente, l’educazione.


Da solo nessuno si realizza

STEFANO TASSINARI – Vicepresidente Acli, responsabile per il Terzo settore

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Quali sono i motivi culturali di un attacco al Terzo settore?

C’è una visione della democrazia un po’ semplificata, come fosse una Spa. Il Terzo settore difende chi è più debole e questo fatto urta chi governa. C’è un attacco verso chi non solo fa solidarietà, ma la lega alla libertà, all’art. 2 della Costituzione. Lo stesso per la sussidiarietà. Sta prevalendo una cultura per cui il Welfare lo gestisce solo lo Stato, che vuole distribuire risorse ai cittadini con misure semplici senza il loro coinvolgimento. La sussidiarietà è comoda solo per colmare emergenze. E non è solo delle maggioranze di destra l’idea che la sussidiarietà vada bene solo quando ce n’è bisogno. Se non ci sono corpi intermedi, ogni singolo essere umano non si esprime, da solo nessuno si realizza. Solo con la capacità di relazioni, di costruire dimensioni associative, si edifica il corpo sociale.

Dei 41 decreti attuativi della riforma quali sono i più importanti?

È importante che si attui il Registro unico nazionale del Terzo settore. Firmato l’accordo con le Camere di commercio, partirà da marzo 2020. A breve dovrebbe essere licenziato il decreto attuativo che chiarirà bene entro quali limiti si possono svolgere le attività secondarie che devono essere strumentali rispetto alle finalità delle associazioni. L’adeguamento degli statuti dal 2 agosto potrebbe slittare al 30 giugno 2020 con il rischio che si vada oltre il Registro. Nel Forum del Terzo Settore si propone che la proroga della scadenza sia legata all’entrata in funzione del Registro. Ci sono poi i ritardi sul decreto per la raccolta fondi, i modelli di bilancio e le linee guida del bilancio sociale, la partecipazione dei lavoratori alle attività degli enti anche se con il ministero del Lavoro c’è una buona collaborazione e le norme sono in via di definizione.

Nella riforma c’è una preminenza data all’impresa sociale?

Il rischio c’era in una prima fase della riforma, ma poi si è provveduto. La critica ha delle ragioni su imprese sociali dai grandi numeri e su un’impostazione che meglio doveva tener conto del fatto che la grande maggioranza del Terzo settore è costituita da realtà piccole, che di fronte a troppi vincoli potrebbero scegliere di restare informali. La riforma spinge sull’impresa sociale, ma ci sono anche grandi spinte innovative, come la dimensione dell’impatto sociale e la co-progettazione tra tutti gli enti del Terzo settore e la Pubblica amministrazione volta a coinvolgere attivamente i cittadini non solo nel welfare, ma nell’immaginare e creare uno sviluppo locale equo e sostenibile.


IL TERZO SETTORE
«Per Terzo settore si intende il complesso degli enti privati costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale e che, in attuazione del principio di sussidiarietà e in coerenza con i rispettivi statuti o atti costitutivi, promuovono e realizzano attività di interesse generale mediante forme di azione volontaria e gratuita o di mutualità o di produzione e scambio di beni e servizi». (Legge 106 del 6/6/2016)

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