Lettere che aiutano a vivere

Solo chi ha perso tutto è capace di accogliere quel Tutto che è Dio. Alla scoperta di un Padre segue poi quella dei suoi figli: ed ecco la gioia immensa di scoprirsi parte di una famiglia più vasta e più bella di quella naturale. È questa in sintesi, da diciott’anni, l’esperienza che va facendo Sarah (preferisce farsi chiamare così), attualmente in carcere a Rebibbia, ultima sua destinazione. Protagonista, alla fine degli Ottanta, di un episodio di cronaca nera che ha fornito abbondante pascolo ai giornali, ora che si è spento il chiasso mediatico attorno al personaggio, resta invece ignota ai più la parte più interessante e straordinaria della vicenda: quella cioè che riguarda la sua rinascita spirituale. Sarah, la cui prospettiva è di finire di scontare la propria pena nel 2018, ha ottenuto da qualche anno la semilibertà. Un invito a pranzo mi fornisce l’occasione per ascoltare la storia di questa donna che reca in volto i tratti di una bellezza purificata dal dolore. Tra frequenti e comprensibili pause dovute alla commozione. Ho ricevuto una formazione cristiana presso una scuola-convitto tenuta da suore. Crescendo, però, la mia fede si è andata affievolendo… anche perché quando uno possiede tutto (ed io conducevo una vita agiata) è facile che dimentichi Dio. Improvvisamente mi è capitata questa immane disgrazia. E cosa è accaduto? Rimasta sola, senza nessuno a cui confidare la mia angoscia, la Bibbia è diventata l’unico mio conforto. Così, invece di staccarmi da Dio, come spesso avviene a tanti disperati che finiscono in una cella, io mi sono avvicinata a lui. A me è accaduto questo miracolo. Dunque tutto è iniziato da sola? Assolutamente! I primi tempi, eccetto qualche fugace visita del cappellano, ero proprio sola. Presto però, con mia grande sorpresa, ho cominciato a ricevere lettere un po’ da tutta Italia, essendo la mia storia diventata di dominio pubblico. Lettere di insegnanti, parroci, casalinghe, perfino ragazzi… che mi davano coraggio e forza per andare avanti giorno per giorno, anche nella mia ricerca spirituale. Questo scambio epistolare (mi mandavano anche il francobollo per la risposta, poiché i mezzi io non li avrei avuti per rispondere a tutti) è tuttora un’esperienza meravigliosa di cui non saprei più fare a meno: perché è vero che mi ero attaccata a Dio, però anche i momenti di sconforto sono stati così tanti, in questi anni, che a volte ho pensato anche di farla finita. E cosa strana, proprio quando mi dicevo: oggi sarà l’ultimo giorno, così non posso più andare avanti, arrivava una lettera che sembrava scritta apposta per la mia situazione. Attraverso questa corrispondenza ho potuto conoscere altre storie dolorose di fronte alle quali la mia prova si ridimensionava. Come ad esempio quella di mamma Maria, di Aosta, vent’anni su una sedia a rotelle a causa di un intervento sbagliato: una donna straordinaria che non ha cessato di prodigarsi per gli altri finché è vissuta. Sono nate così amicizie vere, profonde, di quelle che danno la forza per continuare a vivere… Una volta poi ottenuta la semilibertà, ho potuto incontrare alcune di queste persone. Tante, approfittando della loro venuta a Roma per il Giubileo. E ogni volta, misteriosamente, era come se le conoscessi da sempre: emozioni che non si possono esprimere! È stato così anche con Meyra, una carissima amica di Verona, che nonostante l’età avanzata non manca periodicamente di venirmi a trovare. Grazie a lei ho conosciuto la spiritualità di Chiara Lubich, la Parola di vita, Città nuova, e tutta una famiglia di amici, quella dei focolarini. Tra questi padre Flavio e sua sorella Graziella, tra i primi ad offrirmi ospitalità per dei periodi di vacanza (da anni ormai sono loro ospite durante l’estate). Di padre Flavio, poi, non posso dimenticare una frase tratta da una sua lettera che continuo a rileggere: Il dolore è una cura di bellezza terribile, ma insuperabile e certissima. Anch’io, però, ho contribuito a questa catena d’amore mettendo in contatto tra loro persone che, pur facendo parte dei Focolari, non si conoscevano: da Maria Luisa di Padova a Cristina di Sassari, a Pierina di Mestre, a tanti altri che hanno lasciato un segno profondo nella mia vita. Dunque lei va riscoprendo il valore della corrispondenza proprio in un’epoca di cellulari e di messaggini… Per carità! Vede, la telefonata se la porta via l’etere, ma la lettera ti resta per sempre. Io a volte, quando ne sento il bisogno, vado a rileggermene alcune che, arrivate in momenti particolari, come le dicevo, hanno saputo dirmi la parola giusta, darmi fiducia di continuare. E poi il valore di una lettera sta anche nel fatto che qualcuno ha trovato il tempo – fra i tanti impegni di questa vita così frenetica – di prendere un foglio, scrivere a mano (io adoro la lettera scritta così), mettere il francobollo e poi andare ad imbucarla. Quando ricevi una lettera, non la leggi soltanto, ma è come ritrovarsi in compagnia della persona che l’ha scritta. Prima lei accennava alla scoperta della Bibbia. Come ha cominciato? Ho cominciato col leggere i salmi. Quello che ho fatto mio per tanto tempo è stato il n. 5, il salmo del grido e della disperazione. Poi anche tutti gli altri: attraverso un amico sacerdote, padre Paolo, sono arrivata ad approfondire il salmo 138, che recito ogni sera quando rientro nella mia cella e ringrazio Dio perché mi concede ancora la vista, le forze, perché bene o male sono riuscita a superare un altro giorno. Il Signore è il mio pastore, invece, che recito al mattino prima di uscire, inizialmente non riuscivo a farlo mio. Ecco le mie preghiere principali, assieme al Padre Nostro… Prima non lo facevo: e questo mi viene dal cuore. Naturalmente medito anche il vangelo! Per esempio, un brano che trovo stupendo è quello, in Matteo, dove Gesù parla del Padre celeste che pensa agli uccelli e ai gigli del campo, il cui splendore neppure Salomone riusciva a uguagliare. Io ho fatto e continuo a fare questa esperienza della provvidenza di Dio! Pensi, quando ho iniziato ad andare al lavoro non avevo quasi niente come vestiario, mi ricordo che era inverno e sono uscita con un abito leggero e un paio di scarpette basse. Poi, senza che avessi chiesto mai niente a nessuno, hanno cominciato ad arrivarmi indumenti magari usati, ma come nuovi: tanta di quella roba che poi a mia volta regalo, perché più di tanto non mi permettono di tenere là dove sono. La settimana scorsa, andando a trovare certe mie amiche suore, suor Maria Rosa mi ha detto: ti sono arrivati due pacchi… ma è la tua festa? Dico: veramente no… Contenevano indumenti invernali, che presto mi torneranno utili; e fra le altre cose ho trovato un paio di ciabattine. Subito il pensiero è andato a lui, Gesù: sei stato tu! Tu solo sapevi che ne avevo proprio bisogno, perché io non ne ho parlato con nessuno! E con quelle ciabattine in mano ho cominciato a piangere, con grande stupore di suor Maria Rosa. Guardate i gigli del campo…: sì, ecco un brano di vangelo non solo letto, ma vissuto: una cosa bellissima!. Può descrivermi una sua giornata tipo? È molto semplice. Al mattino esco per andare a fare certi lavoretti presso un istituto religioso. Nel pomeriggio passo a trovare le mie amiche suore benedettine. A volte ho modo di recitare i vespri con loro; molte domeniche mi invitano a pranzo, mettendomi a capotavola perché – dicono – per loro rappresento Gesù- povero, rimasto senza nulla in tutti i sensi, anche socialmente. E questa non è una cosa da poco. La sera, non vedo l’ora di ritornare nella mia cella. Lì, ho i miei libri, le foto delle persone care. Quello è il mio mondo. Io non guardo la te levisione, leggo oppure scrivo, scrivo tante lettere, e inoltre tengo un diario giornaliero. O tutt’al più ascolto musica classica, che a me piace moltissimo perché mi rilassa. Quindi una solitudine densa di presenze… Non sapevo che il silenzio avesse una voce. Da tanti anni, ormai, ho imparato ad ascoltare il silenzio. Giorni fa una conoscente mi ha chiesto: Ma a te non manca niente di tutto quello che avevi? Le ho risposto: niente. È questo il miracolo. Nessuno me lo ha inculcato, è una trasformazione che è avvenuta in me. A distanza di tempo, che senso dà a quanto le è capitato? Vede, quando uno sta bene, vive nel benessere e ha tutto, è circondato da amici che poi nella disgrazia spariscono. Mentre gli amici veri sono quelli che, pur senza conoscerti, ti hanno teso una mano quando tu eri nessuno. Mi sono convinta che tutto rientra in un disegno superiore. Certo, nessuno si augurerebbe una disgrazia come la mia, eppure a me è servita per conoscere la grandezza dell’amore di Dio. Quell’amore che mi permette ora di vivere momento per momento – e a volte le mie giornate sono tutt’altro che facili! Ultimamente, ad esempio, ho passato dei brutti momenti per dei problemi di salute; sospettavo un nodulo al seno. Sono andata in chiesa e ho detto: Gesù, sono sicura che questo me lo fai passare, perché io ne ho già tante, non potrei avere anche questo. E in seguito, effettivamente, è risultato che non c’era motivo di essere in apprensione…. Quindi il momento presente ha per lei un valore speciale… Sì, speciale! Io non penso mai al futuro. Ad esempio, io oggi ho pranzato con lei seduta ad un tavolo (cosa che normalmente non mi capita). E dentro di me ho ringraziato immensamente Gesù. Eppure non mi viene in mente di chiedere che si ripeta anche domani. Potrei averlo, ma non mi manca.

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