L’esperienza (vera) della poesia

Nell’Ottocento appena inoltrato, all’inizio dei trionfi della borghesia, Hölderlin scrisse, con ironia inarcata in un sublime colpo d’ala, che pieno di meriti, ma poeticamente, abita l’uomo su questa terra. La poesia non è ornamento né surrogato, né fiore all’occhiello né ciliegina sulla torta. È necessità profonda e vitale dello stesso esistere – umano – in questa vita. E si vede, senza poesia, dove siamo approdati: ai trionfi del brutto, dello sciatto, del volgare, a una banalità senza luce e riscatto. Perciò mi sono trovato ad approvare, con speranza crucciosa, se posso dirlo, la nuova offerta di poesia: sia pure per gadget e traino economico di quotidiani e riviste, la poesia entra nelle case a poco prezzo. È un’opportunità, ma non bisogna credere che ora fili liscio il destino della poesia e dei suoi fruitori: in realtà, anche se a cinque euro, il prezzo vero della grande poesia rimane altissimo, come sapeva e ammoniva Hölderlin; chi la sente necessaria, sia come poeta che come lettore (che attivamente la rivive in sé), sa di percorrere sempre un cammino arduo e bellissimo come un inerpicato sentiero, che mozza il fiato e insieme allarga il respiro. Ma saperlo significa farne esperienza, conoscerla non sentimentalmente ma come tempo e luogo dell’anima (un verso gigante di Emily Dickinson suona: Portami in quel luogo chiamato mattino), sua dimensione insurrogabile che relativizza e ridimensiona vertiginosamente i calcoli e gli schiamazzi dell’esteriorità, della vanità imperante; e impararne il linguaggio scorciato, balenante, che rende di colpo obsoleti e goffi i linguaggi utilitari. Ci aiuta in questo itinerario di povertà (solo i poveri in spirito hanno intimità con la poesia) il libro per tanti versi stimolante e sottilmente profondo di un filosofo-letterato prematuramente scomparso, i cui amici hanno raccolto alcuni suoi saggi con il titolo appropriato L’esperienza della poesia; e viene subito da pensare che nell’area semantica di esperienza c’è sia l’esperimento che il pericolo: ma dove è il pericolo , avverte ancora Hölderlin, cresce ciò che ti salva . Veramente, allora, non importa non essere d’accordo a volte con l’autore – che interpreta, ad esempio, il peccato originale come necessaria maturazione dell’uomo (sulla linea che va da Bruno ad Hegel) -; non importa perché il centro interiore del suo discorso gravita sull’incontro della carne e dello spirito, della parola e della cosa vissuto con i gemiti inesprimibili di cui parla san Paolo e di cui continua a dire, sempre, con perfetta imperfezione, la grande poesia, cogliendo nelle cose ciò che in esse merita di esser portato al linguaggio. È vero che, proprio nella più alta esigenza della poesia, ogni cosa è, in se stessa, indicibile. Tuttavia il luogo può essere indicato: nell’esperienza della poesia facciamo esperienza di noi stessi, facciamo esperienza dell’uomo . Ma non, certo, come nella distratta e superficiale vicinanza quotidiana quotidiana alle nostre abitudini: è la forma (nel senso greco antico) che la poesia produce; e infatti Platone, pur ostile ai poeti, doveva riconoscere nello Ione che il poeta (= produttore) è un produttore di tipo tutto speciale. La forma è l’essenza, la verità propria di una cosa, che la poesia porta alla luce in modo che la cosa si illumina di senso. Ecco perché la poesia non serve a niente: perché… regna; e proprio in questa sua umile sovranità di linguaggio che portando le cose alla loro essenza rivela, dice anche l’essenza di sé stesso, che è il nominare dell’Adamo biblico nel giardino di Eden, quello che dà, ad ogni cosacreatura la propria identità e la propria differenza. La poesia rappresenta dunque il luogo dove le cose sono a casa loro. Belle poi le pagine della sezione Origine o inizio? dedicate al rapporto (incarnazione) della parola con la cosa, ricche di reminiscenze evangeliche, come quando l’autore dice, con grande delicatezza, che la poesia può evitare l’illusione di essere identica con la cosa o di esserne il sostituto virtuale capace, alla fine, di cancellarne l’irrilevante differenza. Questo rispetto di sé, questo essere presso di sé per essere sé stessa, è poesia. Una approfondita trattazione del maggiore teatro greco (Aristotele e l’esperienza tragica) e una sensibile esplorazione delle Elegie duinesi di Rilke (uno dei vertici del Novecento) completano questo davvero non trascurabile libro. rancesco Calvo, L’esperienza della poesia, Il Mulino, pp. 270, euro 17,50. Friedrich Hölderlin Rainer Maria Rilke

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