Lesbo, l’incendio del campo profughi di Moria

Nella notte fra l’8 e il 9 settembre un immenso incendio ha distrutto il campo profughi di Moria, nell’isola greca di Lesbo, dov alloggiavano 13.500 persone. Una tragedia per molti versi annunciata e mai veramente affrontata

I problemi al più grande centro di accoglienza profughi in Europa sono noti da molto tempo. Già il fatto che un campo costruito per ospitare 3.500 persone, in realtà ne ospitasse 13.500 bastava per creare tensioni e proteste da parte dei profughi ma anche da parte degli abitanti dell’isola di Lesbo. Però non ci si aspettava un rogo doloso di queste dimensioni appiccato, secondo fonti governative, da alcuni fra gli stessi profughi. Secondo voci non ufficiali, si tratterebbe di afghani, che sono la maggioranza dei profughi presenti a Moria.

Questo sviluppo è dovuto a certi fattori che lo spiegano in parte anche se non lo giustificano: primo, la stanchezza degli ospiti e le condizioni di vita spesso disumane; secondo, i ritardi nei procedimenti di asilo; terzo, il ruolo sospetto di certe Ong che, secondo alcune fonti, hanno diffuso tra i profughi l’idea che, se il campo di Moria fosse stato distrutto, loro sarebbero stati trasferiti in altri Paesi europei, che era il loro scopo fin dall’inizio; quarto, il lockdown totale imposto a tutti da oltre 6 mesi per la presenza di molti positivi al Covid-19.

AP Photo/Petros Giannakouris
AP Photo/Petros Giannakouris

L’incendio divampato nella notte dell’8 settembre (in realtà si è trattato di tre incendi) ha distrutto completamente il campo creando un caos assoluto, e lasciando tutti senza alcun riparo. Alcuni hanno trovato rifiugio nelle chiese, altri addirittura nei cimiteri, anche alla disperata ricerca di un po’ d’ombra, dato che la temperatura rimane molto alta per la stagione. Circa 2 mila hanno tentato di raggiungere il porto per salire su qualche nave, ma sono stati bloccati dalla polizia. Nel caos si sono eclissati tutti i Covid-positivi già identificati. Nelle condizioni che si sono create, l’identificazione dei positivi diventa molto difficile e si rischia l’esplosione di una bomba sanitaria.

In questa orribile situazione alcune Ong sembravano scomparse, almeno nei primi giorni, tanto più che il governo greco da mesi indaga per identificare le Ong non riconosciute e in particolare quelle che hanno diffuso le false voci sulla possibilità dei trasferimenti in caso di chiusura del campo di Moria.

Si tratta di una situazione difficilissima da gestire, oltre il limite delle possibilità di controllo. In più, gli abitanti e le autorità locali diventano sempre più insofferenti, e rifiutano ormai in molti sia i campi all’aperto che la costruzione di strutture chiuse. Sono numerosi quelli che non vogliono più profughi sull’isola e che si rifiutano di cooperare con il governo nella gestione di questa crisi. Eppure, all’inizio (2015) e per molto tempo i residenti hanno accolto profughi e migranti  con molta tenerezza, dimostrando una grande solidarietà. Ma dopo anni senza prospettive, sono numerosi quelli che si sono stancati non vedendo soluzione alla crisi dell’economia e del turismo nell’isola, ormai gravemente compromessi. Inoltre molti migranti, esasperati, hanno cominciato a distruggere chiese e patrimoni locali, a rubare e a comportarsi in modi che certo non attirano alcuna simpatia. Una soluzione andrà comunque trovata, ma ogni giorno che passa diventa sempre più difficile individuare strategie efficaci.

Profughi, migranti e greci si sentono traditi dall’Ue, e le isole del Nord Egeo sono diventate depositi di persone. Si parla di tre navi in arrivo per evacuare i profughi, ma finora non si vedono. Per il momento la Germania ha deciso di accogliere 400 minorenni, la Francia 49. La Norvegia sta per mandare personale medico specializzato, la Polonia ha promesso l’invio di 156 tende. Ma è poco, molto poco per le dimensioni del problema. Ci vuole una soluzione definitiva, giusta e soprattutto secondo i principi europei di solidarietà. Solidarietà pratica, non solo parole, questa volta.

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