L’eredità di Bregantini

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Marina di Gioiosa Jonica è già un programma nel nome. I colori autunnali dell’Aspromonte alle sue spalle e, davanti, l’azzurro di un placido Jonio arricchiscono la cornice paesaggistica. Nel gennaio 2003, la località balneare fu teatro di un fatto noto a pochi e che Domenico non immaginava potesse accadergli. «Galeotta», lui dice, fu la visita pastorale di mons. Bregantini, che ai giovani del luogo sottolineò la necessità di scelte personali coerenti con il Vangelo e in funzione del bene comune della propria terra. Da questa difficile terra, lui se n’era già andato. Non senza sofferenza, ma senza alternative. A Bologna studiava giurisprudenza ed era prossima la collaborazione con la cattedra di diritto romano. Tuttavia, l e parole di padre GianCarlo si incuneano nelle scelte consolidate dello studente e maturano in fretta una svolta che ha il sapore di una rivoluzione ideale e di un rischio esistenziale. Nel 2004 consegue la laurea, torna a Marina, inizia la pratica legale in uno studio e la collaborazione con mons. Bregantini. Oggi, l’avvocato Domenico Vestito, 29 anni, è il responsabile della scuola di formazione all’impegno sociale e politico della diocesi. Scuola voluta dal vescovo per diffondere la cultura della partecipazione e favorire la crescita di una nuova classe dirigente. Mauro vive in una graziosa villetta a Locri. 33 anni, laurea in ingegneria informatica a Cosenza, fa il consulente per aziende e per la curia. Al Nord avrebbe potuto fare un bel po’ di soldi, ma la vita, secondo lui, è anche altro. E in questo “altro”, l’ing. Gliozzi ci ha messo dentro l’intento di non lasciare la propria terra per contribuire a cambiarla. «E dopo?», gli chiese il vescovo. «Vorrei restare». «Bravo!», replicò pronto Bregantini, la cui presenza ha consolidato la scelta di rimanere in una situazione di precarietà. «Padre GianCarlo ci ha insegnato a guardare lontano, a progettare a lunga scadenza, impegnandoci subito in prima persona». La sorella di Mauro, Micaela, è dottoressa di ricerca in farmacologia all’università di Catanzaro, il fratello Marco, laurea in geologia a Cosenza, ha svolto consulenze durante l’ammodernamento della statale jonica e supplenza in un istituto scolastico. Andare altrove non è mai entrato nei loro progetti. Dare una mano al vescovo per trasformare la Locride, sì. E ora? La notizia della promozione di Brigantini alla sede arcivescovile di Campobasso da parte di Benedetto XVI è giunta inaspettata per il popolo della Locride. Sconcerto, lacrime, interrogativi. Ma niente reazioni scomposte. Il vescovo ha dichiarato che, pur soffrendo, obbediva al papa. E i giovani e i 74 parroci e la sua gente hanno fatto altrettanto. Addolorati, ma in piedi e compatti. Mai una promozione aveva suscitato qui tanti quesiti: perché ora? Perché all’improvviso? Perché in mezzo al sinodo diocesano (prontamente fermato)? perché mandato lontano dal cuore delle zone delle organizzazioni malavitose? «Mons. Bregantini è diventato un punto di riferimento non solo per la comunità ecclesiale calabrese ma anche per la società civile della regione – evidenzia Enzo Crupi, docente di letteratura italiana all’università di Reggio Calabria. Non bastano gli anatemi contro la ‘ndrangheta. Bregantini ha offerto un “di più”: segni concreti di speranza soprattutto verso i giovani. Ha fatto prendere coscienza anche delle collusioni politiche nel territorio. Il suo parlare chiaro, la concretezza e il coraggio hanno dato fastidio a molti». Il giovane religioso Bregantini, trentino, arrivò in Calabria nel 1976. «Se fosse stato uno di noi – sostiene il reggino Crupi – non avrebbe fatto altrettanto». E ne dà una motivazione: «Il fatto di non essere calabrese gli ha consentito di avvicinarsi alla nostra terra con una mente sgombra da pregiudizi, che gli ha permesso di calarsi davvero nella realtà e far emergere le possibilità di riscatto». Il 20 gennaio prossimo avverrà il trasferimento. Il trasloco non costituirà una preoccupazione per il vescovo: «Mobili miei non ne ho ci riferisce – e l’auto è una Golf di seconda mano che mio fratello mi regalò 13 anni fa». Con lui a Campobasso si sposteranno anche l’anziano confratello padre Tarcisio e la mamma Albina, 87 anni, «vero superiore della comunità», precisa, sorridendo divertito. Cosenza è il capoluogo di provincia più a nord della Calabria. Locri è lontana. E la distanza non è solo geografica. Eppure l’annuncio della partenza di Bregantini ha stupito. Anche all’università (36 mila studenti), la prima nata i Calabria. Anche alla facoltà di Lettere e Filosofia, dove il consiglio, «ferito dalla notizia», ha compiuto un gesto insolito, quello di scrivere una mozione in cui «ricercatori e professori chiedono che le autorità ecclesiastiche riconsiderino la decisione di trasferire il vescovo, per non deludere la speranza e la fiducia che stanno emergendo nella società calabrese». Non si fa mistero di una convinzione: «Mons. Bregantini – si legge – è un riferimento solido per tanti, credenti enon credenti». «Qui in Calabria – commenta Maria Intrieri, docente di Storia greca all’università cosentina – si fa fatica a lavorare insieme, a fare rete sul lavoro e a collaborare a volte anche in ambito ecclesiale. Siamo persone generose e accoglienti, ma un po’ ripiegate su sé stesse». A suo parere, Brigantini ha colto nel segno individuando come strategico il problema culturale, liberando dal pessimismo e creando opportunità per farcela con le proprie gambe. «Non ha portato un progetto dall’esterno, ma ha aiutato tanta gente a tirare fuori le capacità personali». «Lascia un’eredità che non morirà afferma sicura –. Le iniziative culturali e produttive avviate con i giovani proseguiranno, perché ha innescato un meccanismo e ha offerto un esempio riproducibili altrove. Non è perciò il caso di dire che dopo Bregantini non ci sarà futuro». A Canolo, sull’Aspromonte, la base dei nuclei antisequestri – resa necessaria quando si aprì la tragica stagione dei rapimenti di persone è stata trasformata in funzionale struttura per ospitare escursionisti e scout, che in gran parte arrivano dal Nord Italia. Ad Ardore, il carcere mandamentale è diventato casa per ferie senza barriere architettoniche, con 50 posti letto e una parte adibita ad autogestione. «È affidata alla cooperativa Pinocchio illustra Patrizia Ieraci, 35 anni, da dieci a tempo pieno sul fronte dell’assistenza sociale –, una delle iniziative nate in questo periodo. Il vescovo ha saputo valorizzare i piccoli semi trovati e ha introdotto l’intuizione delle cooperative e il legame con il Trentino». Il consorzio Goel, sede a Gioiosa Jonica (www.consorziosociale. coop) raggruppa dieci cooperative sociali, una agricola, due associazioni di volontariato una fondazione per l’accoglienza dei minori. «Non stiamo resistendo – dichiara Vincenzo Linarello, 37 anni, presidente del consorzio e responsabile della pastorale del lavoro della diocesi – ma addirittura vincendo». E snocciola dati: in dieci anni creati mille posti di lavoro, in agricoltura lavorano 500 stagionali, il fatturato è salito a 1,6 milioni di euro. Sono sorti il consorzio sociale regionale Calabria Welfare e la rete Comunità Libere a difesa di chi viene attaccato dalla malavita. Le cooperative, come ricorderete, sono state oggetto di attentati e di strategie diffamatorie, ma il fatto di essere visibili e legate tra loro ha prodotto un effetto inatteso: non più l’isolamento dopo il fattaccio ma la solidarietà locale e nazionale di tanti, con offerte ricevute superiori all’entità del danno subito e con ordinativi che hanno garantito la ripresa e il futuro aziendale. Un vero autogol per la ‘ndrangheta. Come proseguirà tutto questo, una volta partito Bregantini? È il quesito che incombe sulla gente della Locride. E non manca una qualche preoccupazione, confermata da un episodio. Su La Stampa, domenica 18 novembre, è apparso un articolo in cui si dava conto di intercettazioni telefoniche da cui sembrava emergere il ruolo di mons. Bregantini nella tregua in atto tra le cosche a San Luca con un vertice tra i boss al santuario della Madonna di Polsi. Immediate la presa di posizione dei sindaci della Locride e la smentita della procura di Reggio. Ma un sospetto sul vescovo era tato lanciato. Da qui, la pronta reazione legale del vescovo nei confronti del quotidiano torinese. Ora che è in procinto di andare via, potrebbe risultare meno difeso e divenire oggetto di diffamazioni. Il segnale contro Breigantini può aprire una fase preoccupante. «Senza più il presidio costituito dalla figura del vescovo – afferma Linarello – ‘ndrangheta e massoneria deviata tenteranno di mettere in crisi totale le nostre cooperative. Ecco perciò l’idea di coinvolgere persone, enti e aziende in tutta l’Italia, perché se noi perdiamo, perde l’intero Paese». È stato così diffuso nei giorni scorsi un appello da sottoscrivere (vedi sito del consorzio Goel) per un’alleanza nazionale tra quanti hanno a cuore l’obiettivo di questi calabresi: non interrompere il percorso compiuto con Bregantini, «che ci ha restituito – scrivono la certezza di poter cambiare la nostra terra». Appuntamento il prossimo 1° marzo nella Locride. «Loro ci vogliono a lutto – dice Linarello –, noi organizziamo una festa». Intervista a MONS. BREGANTINI : I giovani svuoteranno la ‘ndrangheta Quale eredità lascia a questa gente? «Lascio in consegna due parole: consolazione e speranza. La consolazione è la capacità di stare accanto a chi soffre, capire, ascoltare, amare, pazientare, non accettare analisi sbrigative, facili, soprattutto sommarie, su cui puntano in genere i mass media. La speranza, invece, è la capacità, dopo aver consolato, di guardare sempre avanti, ponendo però attenzione alle piccole cose che si possono già realizzare. Non una speranza utopistica e nemmeno angelica. Una speranza fatta di due elementi: sogno e segno. L’impegno sta nel mantenere alto il sogno e rendere coerente il segno». Quanto pesa nella gente il senso del destino? «Il destino è il vero grande nemico, perché si manifesta in rassegnazione, disistima, poca capacità aggregativa, fatica a progettare il futuro in termini di scadenze, voglia di lasciare questa terra già all’inizio dell’università». Su cosa ha fatto leva? «Il veleno della rassegnazione si vince con il progetto. Ho proposto così l’idea di sostituire il progetto al destino. Il progetto è il disegno di Dio su ogni persona, chiamata a realizzarlo con responsabilità e fiducia»». Risultati? «Amate, ascoltate, accompagnate tra sogno e segno, le persone si sono aperte ai progetti in tutti gli ambiti per crescere insieme. Questa è la forza che io vedo nei fedeli laici, nei giovani di qua. Con loro si è davvero creata una squadra». Cosa si porta via da questa gente? «Ho imparato soprattutto a stare in ascolto. Mi sono messo in discussione con loro, crescendo insieme, soffrendo insieme. Ho pianto con loro e insieme abbiamo trovato la speranza. La mia voce è stata efficace non perché era la mia, ma perché esprimeva con chiarezza le loro fatiche, le difficoltà, le attese. Tanti articoli e tanti libri sono nati non dal fatto di aver letto tanto ma perché ho ascoltato molto. Il Sud è prezioso, perché ricco di insegnamenti, proprio perché ricco di lacrime». La gente dice che lei è una persona speciale. Cosa c’è di vero? «Credo che non ci sia di vero se non il fatto di aver avuto la possibilità di camminare con la gente, che si è sentita interpretata, accompagnata, seguita, amata e stimata». A chi fa comodo, qui in Calabria, la sua promozione? «Hanno brindato la ‘ndrangheta, la massoneria deviata e la classe politica collusa. Ma le assicuro che non sono loro gli artefici del mio spostamento, nonostante quello che è stato scritto sui giornali». Trasferimento dettato da esigenze di protezione della sua integrità fisica? «No, perché non ho mai attaccato personalisticamente la ‘ndrangheta. La nostra tattica non è mai stata quella del muro contro muro, perché la mafia, se la contrasti in modo diretto, la rafforzi. Fai sapere loro che sono troppo importanti. Bisogna invece ridicolizzarla e svuotarla dall’interno, perché la mafia è stupida: dice di renderti forte, di assicurarti un futuro, ma poi vivi in una situazione di sudditanza, di ricatto, di solitudine, pregiudichi la tua famiglia e i tuoi affetti. La mafia è veramente fragile, si riveste della corazza che le diamo noi attribuendole forza». Però le serre sono state attaccate. «Certo,ma gli attacchi si sono rivoltati contro gli autori. Le serre, grazie a tanti aiuti, hanno non solo resistito ma registrato progressi. Se riusciamo a creare questa logica, per cui chi è attaccato si sente sostenuto, abbiamo tolto il pungiglione al male». Cosa serve per sconfiggere la malavita organizzata? «Servono tre cose. Uno Stato più vicino, che investa, che creda nella Calabria. Basta pensare alla questione dei trasporti. E poi ci mandano i carabinieri, ma non i finanzieri, che servono per colpire le trame finanziarie. Secondo. Occorre che cambi la logica dell’assistenzialismo, che ha distrutto la mentalità del reagire, del farsi da sé. Infine, superare ciò che è devastante per qui: la frammentazione. Serve un collegamento tra tutte le realtà positive». Partito il vescovo, finirà tutto? «Non credo, perché il tessuto che si è creato in questi anni è vasto ben connesso tra tanti collaboratori. Le radici delle iniziative anche sociali sono ormai profonde: le cooperative sono in piedi da dieci anni, non da dieci mesi.Va via il vescovo, ma la rete resta ed è più consapevole. Ci sono laici capaci di vero eroismo. Fare seriamente l’avvocato qui non è come altrove. Se tu rifiuti i soldi dei boss, spesso non hai il pane». Cosa augura alla gente della Locride? «Un’unica grazia chiedo al Signore: che il nuovo vescovo non pensi di ricominciare di nuovo, ma che cammini sulla strada tracciata, come io ho fatto con mons. Ciliberti, che aveva iniziato il percorso». La testimonianza di mons. Bregantini ha prodotto effetti anche su altri versanti: in 13 anni ha ordinato una ventina di sacerdoti e 11 sono gli attuali seminaristi; sono nati monasteri di suore di clausura e una costellazione di eremi maschili e femminili. Significativi i progressi nel cammino ecumenico con le altre Chiese cristiane.

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