È noto che ogni mese il papa chiede ai cattolici di pregare per una o due intenzioni che stanno particolarmente a cuore al pontefice nell’attualità della vita della Chiesa cattolica e del mondo, in generale. Si tratta di una consuetudine nata in Francia, a metà del XIX secolo, presso una delle case di formazione dei gesuiti, che presero l’abitudine di ricordare nelle loro preghiere, in modo particolare, i loro missionari in India e, via via, altri che annunciavano il Vangelo nel mondo. Si formò una catena di preghiere con intenzioni varie. Alla fine del secolo, il papa stesso se ne interessò e riconobbe questa prassi come propria. Da allora ogni mese, d’accordo con la Santa Sede, i gesuiti pubblicano e diffondono nella Chiesa cattolica un brevissimo bollettino che riporta l’intenzione del papa, per la quale chi desidera può pregare o avere un ricordo speciale. Oggi è il papa stesso che registra un video dove spiega l’intenzione e la motivazione per la quale chiede preghiere a tutti i cattolici nel mondo. Ripercorrendo a ritroso queste intenzioni, si potrebbe ricostruire la storia della Chiesa all’interno della storia dell’umanità nell’ultimo secolo e mezzo.
L’intenzione particolare, che papa Leone all’inizio di ottobre ha rivolto al mondo riguarda il dialogo interreligioso e la pace. Forse, si potrebbe precisare: il dialogo interreligioso per o in vista della pace. Gli stimoli che arrivano da Prevost al riguardo rappresentano una vera sintesi efficace di cosa il dialogo fra credenti di altre fedi possa significare in un mondo dove la guerra non è più solo un terzo conflitto mondiale combattuto a pezzi, come sosteneva papa Francesco, ma una tragica realtà che potrebbe portare ad una conflagrazione globale. Inoltre, non si può negare che le religioni, anche questa volta, sono state coinvolte nel conflitto o nei conflitti, che di per sé non avrebbero nulla di religioso. Eppure, loro malgrado spesso le religioni appaiono anche oggi come un fattore importante dello scontro.
Di fronte a questo, papa Leone invita a pregare perché le tradizioni religiose possano collaborare fra loro. E, soprattutto, affinché non siano usate per costruire muri fra i popoli e i gruppi sociali. Leone XIV vede nelle diverse fedi dei ponti e delle profezie che contribuiscono a realizzare il bene comune. E la pace è il bene comune sommo per tutto il genere umano. Il binomio inscindibile religioni-pace era stata l’intuizione di Giovanni Paolo II nel convocare l’incontro di preghiera di Assisi quando, nel 1986, leader di tutte le tradizioni erano saliti sui colli umbri per scongiurare un conflitto atomico durante la Guerra Fredda. Da allora, l’impegno di migliaia di fedeli a costruire il dialogo è cresciuto con le iniziative più diverse. Purtroppo, a fronte di questo, ha continuato a trovare nuove formule anche la fantasia perversa dell’odio che porta allo scontro e alle stragi di vita umane, come vediamo accadere quotidianamente davanti ai nostri occhi. Le piazze delle nostre città strapiene di gente che chiede pace e dignità sono segno di quanto tutti siamo sempre più sensibili alla necessità di questo dialogo.
Si comprende, dunque, l’invito di Leone IV a pregare perché i credenti delle diverse tradizioni religiose possano trovare modalità di collaborazione per favorire la pace. Tanto si fa, ma quanto ancora si potrebbe fare di fronte a quanto vediamo. Soprattutto, il papa coinvolge ogni credente – a prescindere dalla rispettiva fede – a purificare il cuore per poter comprendere e realizzare ciò che unisce piuttosto che ciò che ci divide. Non posso non pensare a quanti ho sentito parlare, nei mesi scorsi, dell’impossibilità di contribuire alla pace, se il proprio cuore non è in pace. Ho avuto l’occasione di partecipare a varie manifestazione di carattere interreligioso e interculturale, in diverse parti del mondo e, potrei dire dovunque, i veri credenti – ho incontrato buddhisti theravada, buddhisti won, musulmani, indù e cristiani – hanno ribadito come le rispettive scritture ci portino a essere in pace con tutti, prima di tutto nel nostro cuore. È lì, infatti, che possiamo riconoscere, come auspica papa Leone, ciò che ci unisce per collaborare con tutti a costruire, non a distruggere.
Come cristiani, il nostro modello di pace resta Gesù. Ed è proprio lui che le persone di altre fedi ci chiedono di testimoniare, come mi chiese un sikh, nel gennaio 1981 in occasione del mio primo incontro interreligioso a Mumbai (India). «Voi – disse a me a altre tre cattolici – dovete mostrarmi chi è Gesù». E Gesù è via di pace. Come accennato, nel corso degli ultimi decenni, si sono moltiplicate le esperienze di dialogo e di collaborazione per le religioni, proprio in vista della costruzione della pace. Spesso tutto questo non si vede. «L’albero che cade fa più rumore della foresta che cresce», recita un sapiente adagio presente in diverse culture. Il papa auspica che tali esempi possano aprire vie coraggiose per costruire o ristabilire la pace anche oggi.
Infine, mi sembra importante collegare l’invito papale a pregare per il dialogo fra credenti di diverse religioni con l’intervento rivolto, qualche giorno prima, al Working Group for Intercultural and Interreligious Dialogue del Parlamento Europeo, con il quale Prevost si è incontrato brevemente a fine settembre. In quell’occasione, il papa agostiniano ha sottolineato l’importanza della politica nel «vivere una sana laicità, cioè uno stile di pensiero e di azione che affermi la valenza della religione preservando la distinzione – non separazione né confusione – rispetto all’ambito politico». Una politica, dunque, che non strumentalizzi – o ignori – la religione, ma la sappia rispettare, permettendo che esprima tutto il suo valore per la pace e il bene nelle relazioni locali e internazionali. In particolare, Prevost ha sollecitato il “politico di ispirazione cristiana” a promuovere il dialogo, come elemento qualificante del suo agire e pensare. E non ha esitato a tracciare una road-map chiara e sintetica, ma altrettanto pregnante: «Essere uomini e donne di dialogo significa rimanere ben radicati nel Vangelo e nei valori che ne promanano e, nello stesso tempo, coltivare l’apertura, l’ascolto, il confronto con quanti provengono da altre ispirazioni, ponendo sempre al centro la persona umana, la sua dignità e la sua costituzione relazionale e comunitaria». Un impegno radicale per i credenti e i diversamente credenti, in giorni in cui la pace sembra, finalmente, tornata a essere una questione di “popolo”.