Leonardo tra Amboise e Firenze

La solitudine dorata del genio negli ultimi anni della sua vita. Le ultime invenzioni, il taccuino, il testamento. Sempre in cerca di cose nuove.
Le Chateau du Clos Lucé, ultima dimora di Leonardo (Amboise - Francia)

Nell’anno dedicato al Genio un viaggio ad Amboise sarebbe utile, per non dire necessario. La cittadina – 12mila abitanti – nella verdissima Valle della Loira che vi scorre tranquilla, è un gioiello. Vi domina imponente il castello di Francesco I, ancora gotico nella struttura elegante, ma aperto alle suggestioni rinascimentali da parte di un re giovane e intelligente che amava l’arte italiana, tanto da portarsi via Leonardo nel 1516. E regalargli una dimora, poco lontana dal castello, ora restaurata benissimo, spaziosa, aperta su un parco e con una splendida veduta naturale.

Le Chateau du Clos Lucé si chiama la casa leonardesca, goticheggiante ancora all’esterno, ma dentro con stanze belle e arredate: la camera da letto, con il baldacchino, dove il genio dormiva e morì il 2 maggio 1519 a 67 anni, secondo la leggenda, tra le braccia del suo re. Lo studio, che pare simile a quello dipinto da Antonello da Messina nel suo San Girolamo di Londra.

L’atelier dove, circondato dai suoi allievi, Leonardo lavorava ancora alla Gioconda, al san Giovannino, alla Madonna col Bambino e sant’Anna. Tutti finiti al Louvre, perché donati dal pittore al re. Un ambiente signorile, certo, e si sa che al genio piaceva una vita raffinata. Non mancano la cappella, dove pregava Anna di Bretagna, moglie del re Carlo VIII, la cucina rigorosamente vegetariana per l’artista, con il camino ai piedi del quale egli si riscaldava d’inverno; e nella cantina una vasta esposizione delle “macchine”, ossia le ultime invenzioni di Leonardo anziano.

Anziano ma lucido, come si vede nel testamento dettato il 23 aprile 1519 in cui distribuisce le sue cose tra gli allievi e il re, chiedendo di venire sepolto nella cappella del castello e di essere perdonato da Dio «per avere offeso Lui e gli uomini non lavorando alla sua arte come avrebbe dovuto».

La tomba di Leonardo purtroppo non esiste più, perché la cappella nel castello fu demolita ai primi dell’800. Ma le ossa furono ritrovate e ora giacciono in un’altra cappella, sempre nel castello di Francesco I, sotto una semplice lastra marmorea. La gente vede, fotografa, qualcuno pensa.

Impossibile non avvertire il fascino di quest’uomo, specie negli ultimi anni di vita. Malato certo, ma con la mente fresca, nella sua casa dentro una natura ridente e piena di vita che amava e che studiava.

Il pensiero ritorna allora a Firenze, la sua città, che gli ha dedicato – al Museo Galileo, fino al 22 settembre –, una rassegna intitolata significativamente Leonardo e i suoi libri. Il genio onnivoro, assetato di conoscenza, si nutriva, lui che s i chiamava “omo sanza lettere”, di manoscritti di autori antichi e moderni. Quasi duecento opere, un record all’epoca. Ovviamente, la maggior parte dei suoi libri è andata dispersa, ma un codice in pergamena, bellissimo, si è conservato e si può ammirare: Il Trattato di architettura e macchine del senese Francesco di Giorgio Martini, pittore e architetto. Leonardo vi ha vergato con la sua grafia da destra a sinistra ben dodici commenti autografi.

La rassegna riesce ad individuare anche il percorso formativo e culturale del Genio. Si va dalla Bibbia, a Dante ad Ovidio, ai contemporanei fra’ Luca Pacioli (matematico), Leon Battista Alberti (architetto), fino ai classici antichi e medievali di scienza e letteratura. Fa piacere sapere ad esempio che a Leonardo piacevano le Favole antiche di Esopo e che ne scriveva pure lui, o che lesse il Decameron di Boccaccio.

Sorprende ancora di più il suo primo taccuino di appunti, del 1485 (ora a Parigi), un manoscritto zeppo di osservazioni. Si entra nel microcosmo leonardesco della giovinezza e ci si ricollega mentalmente alla solitudine dorata di Amboise, ormai celebre e ammirato, in cerca sempre e comunque di cose nuove dentro alla natura infinita. (Catalogo Giunti)

 

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