L’entrata nel “seno del Padre”. Un’esperienza mistica

L'itinerario mistico di Chiara Lubich inizia il 16 luglio 1949. Il "patto di unità" con Igino Giordani. Un'esperienza trinitaria, pasquale, eucaristica, cristologica, ecclesiale e comunitaria.
M’avvolge il Padre

nell’amoroso seno,

mi bacia il Verbo

qual saettante raggio,

il Santo Spirito

lieve venticello

l’anima accarezza

qual colomba bianca.

La Trinità

impera dentro me.

La Trinità

impera dentro me”.

 

Così testimonia Chiara Lubich il suo rapporto con la Trinità[1].

A Chiara, non sono ancora stati attribuiti titoli prestigiosi in ambito ecclesiale, se non un modesto “grande mistica cattolica del nostro tempo”, apparso recentemente nella prefazione di una sua raccolta di lettere[2], ma ne avrà presto di straordinari perché straordinaria è stata la sua esperienza mistica.

 

Il suo testo, ancora inedito, intitolato Paradiso ‘49, è destinato a diventare un grande classico della letteratura cristiana. Esso copre un arco di tempo relativamente breve nell’esperienza mistica di Chiara, poco più di due anni, dal 20 luglio 1949 al settembre del 1951, durante il quale le vengono mostrati circa 150 “quadri”[3]Ricordo – annota lei stessa rileggendo gli scritti di allora – che in quel periodo non riuscivo a dormire, perché le visioni si succedevano, anche di notte, l’una dietro all’altra, in modo sempre più celere”., con una intensità vorticosa.

 

Il più ampio itinerario mistico della fondatrice del Movimento dei Focolari andrà ricostruito, a partire dalla documentazione straordinariamente vasta che ci ha lasciato, comprendente scritti, audio, video. Ma quel periodo di luce, iniziato il 16 luglio 1949, segnerà per sempre la sua vita.

 

Personalmente, la prima cosa che mi colpì, quando lo sentii leggere da Chiara stessa, fu la dimensione estetica del testo, scritto con un linguaggio moderno, senza nulla di superfluo. Mi sembrava rispondesse alle aspettative del teologo Garrigou-Lagrange, quando scriveva: “I grandi mistici, per farci conoscere la loro esperienza, è opportuno che siano dei grandi poeti”. Il Paradiso’49 è altissima poesia. Anche nella forma lascia intuire che Dio è Bellezza, che il Paradiso è bello. Devo confessare che davanti a tanta bellezza a volte mi sono sentito come rapire. Una volta Chiara mi ha detto che c’erano momenti in cui ero talmente preso dalla sua lettura che, guardandomi… le sembrava di vedere un angelo!

 

Il Paradiso’49 testimonia soprattutto una esperienza mistica di inaudito spessore. Chiara stessa, rileggendo quell’evento straordinario che nel 1949 la porta a vivere per mesi, con una consapevolezza unica, nel seno del Padre e a contemplare il Paradiso, parla di “esperienza” e insieme di “dottrina” frutto dell’esperienza. Il patto d’unità con Igino Giordani, che è all’origine del suo entrare nella Trinità, “ha dato inizio – come testimonia lei stessa – all’esperienza straordinaria del Regno dei cieli fra noi. Non solo: ha dato pure inizio ad una nuova dottrina”.

 

Rileggendo tutto il testo del Paradiso – scrive ancora –,… mi sono resa conto che l’esperienza del ‘49 è stata un fatto straordinario, una grazia. Il fatto stesso che ho ‘visto’il seno del Padre e in esso le varie realtà del Paradisoho ‘visto’ con gli occhi dell’anima, non con quelli del corpo – è una grazia… È stata inoltre un’esperienza vissuta in una spiritualità ‘collettiva’, una spiritualità nuova, ed in questa esperienza è nata l’Opera, un’Opera nuova nella Chiesa. Perciò è un’esperienza che non è mai esistita, è stata – ripeto – una grazia. Nello stesso tempo è vero che la dottrina contenuta nel Paradiso ha le sue radici nella Scrittura ed è in continuità con i venti secoli di vita e di sviluppo dottrinale della Chiesa”.

 

Il racconto indirizzato ai gen

 

Il racconto dell’inizio di questa esperienza mistica, qui pubblicato (supra, pp. 3-11), riguarda appena i primi giorni del periodo di grazie e di luci speciali che coprono poco più di due anni, eppure è sufficiente per farci intuire la ricchezza del dono che Chiara ha ricevuto; anche da solo basterebbe per annoverarla tra i grandi mistici.

L’irrompere del mistero trinitario, fino a “imperare” in lei, ha una data precisa, il 16 luglio 1949, al mattino presto, in un luogo determinato, la chiesa dei Cappuccini a Fiera di Primiero, sulle Dolomiti. Quel momento puntuale è preceduto da un intenso cammino di anni che conosce tappe significative.

 

Una delle prime possiamo riscontrarla in una esperienza eucaristica, quando, a sei anni, durante un tempo di adorazione, ripete insistentemente a Gesù di entrare in lei con la sua luce e il suo calore. Potremmo ricordare altri momenti: come quando a 13 anni, improvvisamente, in fondo a via del Torrione, nella sua città di Trento, si sente invitata al martirio; o quando, sulla strada della Madonna bianca, ha l’impressione che il cielo si apra e avverte la chiamata a darsi tutta a Dio o ancora a Loreto, quando si vede seguita da una bianca schiera di vergini…

 

Ma Chiara, rievocando quel 16 luglio 1949, non pensa tanto alle tappe della sua vita, quanto piuttosto a quelle percorse insieme alla nuova comunità a cui ella ha dato vita, il focolare, assegnandone l’inizio al 7 dicembre 1943, giorno della sua personale consacrazione a Dio nella verginità.

Erano dunque passati quasi sei anni dall’inizio del Movimento e già ella aveva compreso e fatti propri, assieme a tutta la comunità, alcuni capisaldi della nuova spiritualità, come Dio Amore, la volontà di Dio, veder Gesù nel fratello, il comandamento nuovo, Gesù Abbandonato, Gesù in mezzo, l’unità. Ora, alla vigilia del 16 luglio, Chiara e i membri del nascente Movimento erano concentrati sulla “Parola di vita”, che vivevano con una particolarissima intensità.

 

L’itinerario spirituale percorso fino a quel momento, per quanto di una straordinaria progressiva accelerazione, non giustifica l’esperienza mistica che le è dato da vivere. La manifestazione di Dio è improvvisa, inattesa, totalmente gratuita, al di là di ogni immaginazione. “Mio Dio, ma perché? Perché a me tanto? – esclama Chiara – Perché tanta Luce e tanto Amore?”.

Chiara stessa ha raccontato più volte quel periodo di luce[4]. Quello che pubblichiamo in questo numero della rivista ha un sapore tutto particolare. Innanzitutto per il pubblico che Chiara ha davanti a sé: 2.000 giovani provenienti da tutto il mondo. Quando mai una mistica ha raccontato la propria esperienza a una folla così grande? E poi di giovani!

 

Abitualmente si pensa il mistico che condivide certamente i doni di Dio al confessore o a una cerchia di pochi intimi, al massimo alla propria comunità, come faceva Teresa di Gesù. Il dono in genere è fatto con parsimonia, quasi centellinato; qui invece è dato abbondantemente, a pieni mani.

Già questo fatto denota la natura comunitaria dell’esperienza di Chiara: nasce dall’unità ed è destinata a creare unità. Come riceve con abbondanza, gratuitamente da Dio, così tutto ridona con abbondanza e gratuità.

 

In questo rivolgersi ai giovani, i “gen” in particolare, la “generazione nuova” del Movimento dei Focolari, si vede anche il chiaro intento di consegnare alla “seconda generazione” ciò che costituisce il patrimonio della “prima generazione” e quindi un chiaro intento di trasmissione del carisma, dell’esperienza fondante.

Come ho avuto modo di rilevare altrove[5], colpisce, in questa narrazione, il rapido ma essenziale accenno al cuore dell’esperienza mistica: “la Trinità che abita in una cellula del Corpo mistico”. Ogni esperienza mistica cristiana è per sua natura esperienza trinitaria ed è sempre colta all’interno del mistero della Chiesa, ma qui l’esperienza a cui Chiara accenna è caratterizzata da una spiccata valenza comunitaria.

 

L’inabitazione trinitaria non è percepita soltanto nell’intimo della singola anima, ma tra più persone unite in “cellula” di Corpo mistico, in Chiesa. È un’esperienza che presenta un carattere di novità, in un tempo in cui la Chiesa non ha ancora preso pienamente coscienza del suo essere icona della Trinità, “popolo adunato nell’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”, come più tardi avverrà con il Concilio Ecumenico Vaticano II[6].

L’aprirsi degli “occhi dell’anima” sul “Regno di Dio, che è tra noi”, introduce Chiara alla percezione cosciente, sperimentale, del grande Mistero cristiano: Gesù che vive nella sua comunità, a Gesù che porta con sé il Padre e lo Spirito, e guida la comunità al Padre, nello Spirito, fino a consumare nell’unità trinitaria l’intera umanità e il cosmo.

 

L’entrata nel seno del Padre

 

Veniamo al momento iniziale, a quanto avvenne la mattina del 16 luglio, scritto in maniera particolareggiato da Chiara l’8 aprile 1986.

La scintilla che fece scattare quella che ella chiama “l’entrata nel seno del Padre” è il cosiddetto “patto d’unità”, stipulato tra lei e Igino Giordani, a cui aveva dato il “nome nuovo” di Foco[7]Cos’era avvenuto in quel patto d’unità che aveva aperto la porta del cielo? L’ha spiegato Chiara stessa l’8 dicembre di quel 1949, a pochi mesi dall’esperienza, quando aveva già compreso la portata cristologica e trinitaria dell’evento:.

 

… quando due di noi, sapendoci nulla, facemmo che Gesù Eucaristia patteggiasse unità sulle due nostre anime, avvertii d’essere Gesù. Sentii l’impossibilità di comunicare con Gesù nel tabernacolo. Provai l’ebbrezza d’essere in vetta alla piramide di tutta la creazione come su una punta di spillo: nel punto ove i due raggi convergono: ove i due Dio (per così dire) patteggiano unità, trinitizzandosi ove, essendo stati fatti Figlio nel Figlio, è impossibile comunicare con alcuno se non col Padre, come il Figlio comunica solo con Lui.

È il punto dove il creato muore nell’Increato, ove il nulla si perde nel Seno del Padre, ove lo Spirito pronuncia sulla nostra bocca: Abbà, Padre[8].

 

Quella vissuta il 16 luglio 1949 è un’autentica esperienza trinitaria in cui sono implicate tutte e tre le Divine Persone.

È innanzitutto un’esperienza pasquale, eucaristica, e quindi cristologica.

È esperienza pasquale come lo è ogni esperienza mistica che deve poter ripetere con Paolo: “Non sono più io che vivo” (è quindi un’esperienze di morte), e insieme “Cristo vive in me” (è un’esperienza di resurrezione). Nell’esperienza di Chiara la morte di sé (“Non sono più io che vivo”) diventa la tipica “morte” di Gesù: il “patto” è, infatti, stipulato sul nulla di sé, ossia sulla misura di Gesù abbandonato che è “infinita nullità”, è una immedesimazione col suo mistero di annientamento che, come vedremo, è via di accesso al Padre. Vivere l’amore fino alla misura dell’Abbandonato è ripercorre l’itinerario pasquale di vita e di morte di Cristo per giungere con lui alla risurrezione e alla pienezza della vita. Nell’esperienza di Chiara la risurrezione (“Cristo vive in me”) è il Risorto in noi e in mezzo a noi, con “Gesù in mezzo”.

 

È un’esperienza eucaristica che porta a piena maturazione la grazia del sacramento, la trasformazione in Cristo e la creazione della Chiesa quale Corpo di Cristo.

Chiara non può dire la parola “Gesù” perché immedesimata in lui: “avvertii d’essere Gesù”. È dunque esperienza cristiana, di trasformazione in Cristo.

 

È un’esperienza teologale perché, figlia nel Figlio, Chiara pronuncia la parola “Padre”. La pronuncia come la pronuncia il Figlio, nell’atto di tornare al Padre, nel donarsi a lui. Come il Figlio è cosa sola con il Padre e vive nel Padre, così Chiara, fatta una cosa sola con il Figlio, in lui diventa una cosa sola con il Padre e vive nel Padre. Questa realtà teologale le è dato non soltanto di crederla, ma anche di percepirla sensibilmente. È e si sente nel seno del Padre, come il Figlio, con il Figlio, perché fatta Gesù.

È un’esperienza spirituale perché è lo Spirito Santo che le mette sulla bocca la parola Padre. Si è trovata, come scrive lei stessa, nel punto “ove lo Spirito pronuncia sulla nostra bocca: Abba, Padre” (cf. Rm 8, 15-17; Gal 4, 6).

 

Un’esperienza ecclesiale e comunitaria

 

Una ulteriore dimensione fondamentale dell’esperienza di Chiara è, come abbiamo accennato precedentemente, quella ecclesiale, comunitaria. Ogni autentica mistica cristiana è tale perché fatta da una persona inserita nel corpo mistico e a vantaggio di tutto il corpo mistico. Lo è soprattutto quando essa avviene nell’ambito sacramentale, soprattutto in quello eucaristico, come è accaduto il 16 luglio 1949.

Se è vero che ogni esperienza mistica cristiana è ecclesiale, quella di Chiara lo è in modo più evidente, esplicito, e possiede tratti di novità.

 

Innanzitutto per la modalità iniziale: l’esperienza dell’entrata nel seno del Padre accade grazie alla reciprocità dell’amore. L’unità esplicita e dichiarata con il fratello è premessa all’accesso al mistero di Dio; e grazie al sacramento dell’Eucaristia, vissuto nella sua dimensione ecclesiale-comunitaria (cf. 1 Cor 10, 17).

Lo è soprattutto per il soggetto che compie l’esperienza mistica. Nel Paradiso non entra Chiara come singola “anima”, ma un “drappello” di “anime” fuse in uno, costituite prima da Chiara e Igino Giordani fatti un solo Cristo, poi dalle altre persone a cui Chiara, a mano a mano, comunica l’esperienza rendendole partecipi di essa.

 

Significative le prime parole che Chiara rivolge a Igino Giordani, subito dopo l’entrata nel seno del Padre, per metterlo al corrente di quanto il patto ha operato tra loro: “Sai dove siamo?”. A lui, che non sa “dove siamo”, Chiara svela non soltanto quello che ella è nella realtà mistica, ma anche quello che lui è e quello che egli sta vivendo con lei.

Non gli dice: “Sai dove sono?” perché consapevole che non da sola è entrata nel seno del Padre, ma nell’unità con lui, fatta un solo Cristo con lui. Lei non dice la propria personale esperienza, ma l’esperienza che insieme stanno facendo. Lei ne è consapevole, lui no, ma questa differenza è sul piano fenomenologico. Lei che ne è consapevole rivela a lui quello che sta avvenendo sul piano ontologico.

 

Ugualmente comunica tutto alle sue compagne; un comunicare che non è soltanto svelare la propria esperienza, ma introdurre nella propria esperienza, coinvolgere in essa e rendere partecipi di essa. Chiara stessa recentemente ricordava: “Descrivevo così perfettamente ogni cosa alle focolarine che anche esse ‘vedevano’ nella stessa maniera”. Vedevano nel senso che vivevano, partecipavano di quelle realtà, erano trasformate in esse: “Questi misteri avvenivano in me, Chiara, ma, non appena comunicati al resto dell’Anima, li avvertivamo comuni…[9].

 

Quello che ella “sente” lo comunica e lo rende presente in tutta l’Anima. E quello che dona comunicando si “moltiplica” nei fratelli proprio perché donato: “Quando tutto Dio sentiamo in noi… moltiplichiamoci nei fratelli, donandoci tutti: donando di noi tutto: anche Dio in noi”[10].

Il patto introduce in quel particolare tipo di esperienza – l’entrata nel seno del Padre e poi, come vedremo, “viaggiare il Paradiso” – perché l’unità consente una presenza nuova di Gesù, quella di lui “in mezzo a due o più riuniti nel suo nome” (cf. Mt 18, 20), che dona lo Spirito e, in sé Figlio, li rende insieme “figlio” – non “figli” – del Padre, l’unico figlio, e la introduce nella vita trinitaria, facendo vivere di essa.

 

Come per altri mistici la penetrazione del mistero è relativa all’amore, nell’esperienza di Chiara essa è relativa alla vita d’unità, amore consumato. Altrove scrive, ad esempio: “Chi vive l’unità vede il Vangelo con l’occhio di Dio e vi penetra in profondità più o meno a seconda dell’esperienza, cioè della santità raccolta nella sua vita di unità…[11].

L’esperienza spirituale non riguarda allora soltanto il singolo membro della comunità, ma la comunità intera, di cui quel membro fa parte, diventando autentica mistica ecclesiale. Nella spiritualità dell’unità il soggetto dell’esperienza è il gruppo reso uno, nel quale ogni singola persona diventa soggetto di esperienza in quanto divenuto “una sola persona” in Cristo.

 

Per esprimere questa duplice indivisibile realtà Chiara impiega due termini: “Anima” e “drappello”. Con il primo indica l’unità tra le persone coinvolte nell’esperienza mistica, con il secondo la distinzione tra le persone che non viene annullata dall’unità: perché vive l’unica esperienza nell’unità, ogni “anima” del “drappello” può dire propria l’esperienza dell’“Anima”.

Mi sembra di cogliere qui un ritorno all’esperienza di Pentecoste, quando l’esperienza spirituale per eccellenza – l’invasione dello Spirito – non fu un fatto individuale ma di Chiesa, o all’esperienza dei due di Emmaus: “Non sentivamo(plurale) come un fuoco nel cuore, quando egli lungo la via (“Gesù in mezzo”) ci parlava e ci spiegava la Scrittura?” (Lc 24, 32), o a quella della comunità giovannea: “Quello che abbiamo udito, quello che abbiamo veduto coi nostri occhi, quello che abbiamo contemplato e che le nostre mani hanno toccato…” (1 Gv 1,1-3), ancora verbi al plurale, che testimoniano un’esperienza di comunità.

 

La Chiesa torna ad essere il soggetto dell’esperienza mistica. Se infatti Dio è Unità nella Trinità, il soggetto più adeguato per conoscerlo è un soggetto “trinitario”, una comunità che vive dell’unità trinitaria e a modo della Trinità. In essa vi è la piena esperienza del mistero, l’esperienza mistica della Trinità. L’esperienza mistica è dunque frutto dello Spirito che “circola” tra quanti vivono l’amore reciproco e li “consuma in uno, in un solo Dio”.

 



[1] L’8 giugno 1972 Chiara scrive nel suo diario (inedito): “‘Se vuoi giungere al santo raccoglimento, devi avanzare non accettando, ma rifiutando’ (Giovanni della Croce). Riguardo al ‘raccoglimento’ sento anch’io da qualche tempo l’attrattiva a ‘vivere dentro’ dov’è – se sono in grazia – la Santissima Trinità. Così ho parafrasato le parole della canzone del film di san Francesco”. Segue il testo, datato Torvaianica, Santissima Trinità ‘72, di cui ho riportato la seconda strofa.

[2] F.-M. Léthel, in C. Lubich, Lettere dei primi tempi (1943-1949). Alle origini di una nuova spiritualità, Città Nuova, Roma 2010, p. 5.

[3] Cf. C. Lubich, “Paradiso ‘49”. Oberiberg (Svizzera), festa di San Paolo, 30 Giugno 1961, in Nuova Umanità 3 (2008) 285-296.

[4] L’8 aprile 1986 Chiara ha redatto un testo introduttivo agli scritti del Paradiso ’49, nella volontà di consegnare un resoconto esatto e completo di quanto avvenne per 16 luglio 1949. Esso ha ormai parte integrante del racconto della sua esperienza mistica che ella ha consegnato alla storia. Nel 1961 una delle prime rievocazioni, Paradiso ‘49, citato alla nota 3. Un’altra narrazione essenziale è quella pubblicata in Scritti Spirituali/3, Città Nuova, Roma 1979, p. 44.

[5] Sai dove siamo? Nel seno del Padre, in Unità e Carismi, 1 (2007) 13-23.

[6] Cf. Lumen gentium, 2-4; Ad gentes, 2-4.

[7] Il testo è stato ripetutamente analizzato. Vedi ad es. G. Rossé, Il «carisma dell’unità» alla luce dell’esperienza mistica di Chiara Lubich, in Nuova Umanità 1 (2000) 21-28; H. Blaumeiser, Il patto d’unità come accesso esistenziale e metodo della teologia. Alcune riflessioni alla luce dell’esperienza della “Scuola Abbà”, in Nuova Umanità 6 (2000) 781-787.

[8] Cit. da H. Blaumeiser, op. cit., pp. 782-783.

[9] Cit. da V. Araújo, La cultura del dare, in Nuova umanità 5 (1999) 500.

[10] Ibid.

[11] Inedito, citato da F. Ciardi, Lampada per i miei passi è la tua Parola, in Nuova umanità 1 (1997) 655.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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