L’enigma Gogol’

Gli “scritti spirituali inediti” del grande autore ucraino, ora anche in italiano, testimoniano la ricerca spirituale di un’anima tormentata e non da tutti compresa
Gogol'
Nikolàj Vasìl’evič Gogol’ ritratto da Moller, 1840, Galleria Tret'jakov (Foto di Otto Friedrich Theodor Moeller, Tretyakov Gallery, Pubblico dominio, Wikimedia Commons)

Quando, verso la fine della sua breve esistenza, Nikolàj Vasìl’evič Gogol’ (1809-1852) diede alle fiamme il secondo volume de Le anime morte – ed erano pagine giudicate “perfette” da chi gliele aveva sentite leggere –, da non pochi critici e colleghi tale scempio venne attribuito ad una crisi mistica, alimentando il pregiudizio trasmesso fino ad oggi di un Gogol’ bigotto che avrebbe ucciso il Gogol’ artista.

I suoi testi successivi riguardanti tematiche etico-religiose non fecero che rafforzare lo sconcerto di quanti non riconoscevano più in lui l’autore geniale di capolavori narrativi, il “patriarca” dei grandi scrittori russi venuti dopo di lui, come riconosceva lo stesso Dostoevskij: Gogol’ era diventato per tutti un enigma. Perfino l’illustre critico Belinskij non gli lesinò rimproveri: «La Russia vede la sua salvezza non nel misticismo, nell’ascetismo, nel pietismo, ma nei successi della civiltà, dell’educazione, dell’umanitarismo. Essa non ha bisogno di predicatori (è da tanto che li sta ad ascoltare), né di preghiere (è da tanto che le ripete), ma del risveglio nel popolo del sentimento della dignità umana».

Ucraino di Soročynci, Gogol’ era approdato alla Chiesa dopo una ricerca tormentata, attraverso la conoscenza dei Padri e dottori della ortodossia e la personale frequentazione con i monaci del celebre monastero di Optina Pustyn’. Per tutta la vita si era sforzato di essere un cristiano coerente, portando la croce di un temperamento irrequieto, eccessivamente sensibile e tendente alla melanconia, unito ad un fisico debole e malaticcio. Fin da giovanissimo attratto a fare qualcosa di grande e di utile per il prossimo, dopo aver tentato invano (fino agli ultimi anni) di farsi accettare in un monastero, considerava sua missione l’arte, l’equivalente per lui del sacerdozio. Ma questa spasmodica ricerca di senso e di verità non gli permetteva di tollerare, in quanto andava scrivendo, il men che perfetto: di qui il suo ripudio de Le anime morte numero 2.

Gogol’ amava sinceramente l’uomo e per non giudicarlo troppo severamente nelle sue debolezze e nei suoi vizi aveva cambiato la verga del fustigatore con le punzecchiature dello scrittore satirico-grottesco. Ma in lui il riso nasceva da un senso tragico della vita. E tragicamente concluse la sua a Mosca il 4 marzo 1852, in mano a medici incompetenti, fra torture di bagni freddi e caldi e applicazioni di sanguisughe.

Al Gogol’ dei romanzi, dei racconti, delle commedie, dei discussi Passi scelti dalla corrispondenza con gli amici e perfino delle Meditazioni sulla divina liturgia (riproposte nel 2007 da Nova Millennium Romae) vanno ora aggiunti gli “scritti spirituali inediti” Non siate anime morte…, pubblicati da Aragno con testo russo a fronte. In questa raccolta Gogol’ ci comunica la sua esperienza di credente che deve fare i conti con difetti come l’irascibilità, l’indole timorosa, apprensiva e insicura, la propensione ad abbattersi. «Talvolta – scrive nell’introduzione il traduttore e curatore Lucio Coco – si tratta di semplici appunti su pagine sciolte, altre volte di alcune righe su quaderni vari, oppure di preghiere che coprono un arco temporale che si chiude con le note scritte da Gogol’ in punto di morte a testimonianza di un cammino spirituale che lo avrebbe visto impegnato fino all’ultimo suo istante di vita». Come negli esempi che seguono.

La vera forza: «Coloro che talvolta ci sembrano più forti solo perché hanno una natura dura e severa, coloro che non conoscono la pietà, che sono capaci di offendere, di essere dispotici, di mostrare un temperamento capriccioso, costoro mostreranno solo una parvenza di forza […] Al primo irrompere di una avversità mostrano la loro piccineria, bassezza, impotenza, come dei bambini, mentre i più deboli vanno crescendo come giganti, in presenza di qualsiasi sciagura: “La mia forza si realizza nella debolezza”, ha detto il Signore per bocca dell’apostolo Paolo».

Dal suo Testamento del 1845: «Se anche mi è capitato di realizzare qualcosa di buono […] e la morte mi ha portato via al principio di un’azione progettata non per piacere a qualcuno ma per l’utilità di tutti, non per questo bisogna consegnarsi ad una sterile afflizione. […] Terribile è la tenebra spirituale: perché si vede solo quando l’inesorabile morte sta già davanti agli occhi?».

Agli amici: «Vi ringrazio molto, amici miei. Voi avete reso molto bella la mia vita. Ritengo un dovere dirvi adesso una parola d’addio: non turbatevi per nessun avvenimento che dovesse accadere attorno a voi, faccia ognuno la sua opera, pregando in silenzio. La società migliora solo quando ogni singola persona si impegnerà e vivrà da cristiano, servendo Dio con quegli strumenti che gli sono stati dati e sforzandosi di avere una buona influenza sulla piccola cerchia di amici che lo circonda. Tutto allora andrà a posto, da sole si stabiliranno corrette relazioni tra le persone, si definiranno i giusti limiti per tutti. E l’umanità andrà avanti».

Ultime raccomandazioni: «Non siate anime morte ma vive. Non c’è altra porta se non quella indicata da Gesù Cristo».

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