Legge elettorale. La Consulta fissa i paletti

Con il deposito delle motivazioni della sentenza con la quale il 4 dicembre aveva bocciato alcuni punti del Porcellum, la Corte Costituzionale definisce il quadro normativo entro il quale il Parlamento dovrà approvare una nuova legge elettorale. Adesso si può accelerare, senza più alibi
Il Parlamento

Due i punti da correggere per la Consulta.  In primo luogo:  il premio di maggioranza, per la cui attribuzione la legge Calderoli non stabiliva una congrua e predefinita soglia di voti di lista (o di coalizione di liste), producendo in tal modo una «distorsione» e una «eccessiva sovra-rappresentazione». La Corte Costituzionale considera questa norma «non proporzionata rispetto all’obiettivo della stabilità del governo del Paese e dell’efficienza dei processi decisionali», trasformando «una maggioranza relativa di voti, potenzialmente anche molto modesta, in una maggioranza assoluta di seggi», e determinando «una grave alterazione della rappresentanza democratica».

In secondo luogo: le liste bloccate, che quella legge prevedeva «troppo lunghe» e pertanto, secondo la Corte, tali da rendere «la disciplina in esame non comparabile né con altri sistemi caratterizzati da liste bloccate solo per parte dei seggi, né con altri che prevedono un numero di candidati talmente esiguo da garantire l’effettiva conoscibilità degli stessi». Secondo i giudici costituzionali le liste bloccate, come previste dal Porcellum, «sono tali da alterare per l’intero complesso dei parlamentari il rapporto di rappresentanza tra elettori ed eletti e coartano la libertà degli elettori nell’elezione dei propri rappresentanti in Parlamento».

La sentenza del 4 dicembre aveva già espresso, anticipandole, le ragioni della incostituzionalità di questi due punti della legge elettorale n.270/2005. Riguardo al primo punto, erano incostituzionali le «norme che prevedono l’assegnazione di un premio di maggioranza – sia per la Camera dei Deputati che per il Senato della Repubblica – alla lista o alla coalizione di liste che abbiano ottenuto il maggior numero di voti e che non abbiano conseguito, almeno, alla Camera, 340 seggi e, al Senato, il 55 per cento dei seggi assegnati a ciascuna Regione». E su questo punto le motivazioni depositate l’altro ieri confermano in toto le anticipazioni della sentenza.

Riguardo al secondo punto, nella sentenza di dicembre, la Corte aveva altresì dichiarato l’illegittimità costituzionale delle «norme che stabiliscono la presentazione di liste elettorali "bloccate", nella parte in cui non consentono all’elettore di esprimere una preferenza».

Le motivazioni depositate, tuttavia – e questa è una sorpresa – lasciano ancora in vita la possibilità di "liste bloccate", limitandosi a consentirle "molto più corte", per una parte esigua di seggi.

Come a dire: le oligarchie centrali dei partiti possono continuare a garantire l’elezione (leggi la nomina) di un certo numero di rappresentanti scelti da loro, purché non siano troppi… e men che meno tutti («l’intero complesso dei parlamentari», come previsto nel Porcellum).

E che il tema della espressione di preferenze da parte dei cittadini-elettori per la scelta dei propri rappresentanti in Parlamento non venga comunque considerato dirimente per la scelta di un nuovo sistema elettorale, lo si evince da alcuni passaggi delle motivazioni depositate dalla Consulta, laddove si legge che «eventuali apparenti inconvenienti, che comunque non incidono sull’operatività del sistema elettorale, possono essere risolti mediante l’impiego degli ordinari criteri d’interpretazione e mediante interventi normativi secondari». 

Due gli effetti della sentenza.  Primo : in ogni caso, essa mantiene in piedi, ancorché azzoppata, una legge elettorale: un sistema proporzionale puro, senza premi di maggioranza, e con l’espressione di un voto di preferenza. Secondo: l’attuale Parlamento continua a mantenere la piena legittimità anche dopo la sentenza della Corte che ha smontato l’attuale sistema elettorale, sulla base del «principio fondamentale della continuità dello Stato». È evidente – chiarisce la Consulta – che «l’annullamento delle norme censurate, avendo modificato in parte la normativa che disciplina le elezioni per la Camera e per il Senato, produrrà i suoi effetti esclusivamente in occasione di una nuova consultazione elettorale».

Adesso il Parlamento può accelerare. È già incardinata alla Camera la discussione delle proposte di legge relative ad una nuova legge elettorale. Diverse le opzioni sul tappeto. Dal ritorno al Mattarellum puro (75 per cento dei seggi eletti nei collegi e il 25 per cento col proporzionale) o rivisitato (con la rimodulazione in collegi più piccoli), al modello spagnolo (con piccoli collegi, in ciascuno dei quali eleggere 4-5 deputati, con un premio del 15 per cento al primo partito, e che garantirebbe altresì alla Camera al secondo partito per consistenza nazionale un congruo numero di seggi), al modello della elezione dei sindaci (doppio turno di coalizione), a un sistema ibrido.

Le posizioni in campo sono differenziate: Renzi ha proposto tre soluzioni, tutte con un impianto maggioritario. Forza Italia predilige il sistema spagnolo. Nuovo Centrodestra gradirebbe il modello dei sindaci, Il Movimento 5 Stelle preferisce il Mattarellum ma non disdegna il modello spagnolo.

Nonostante le variegate posizioni di partenza, si ha comunque la sensazione che stavolta la riforma possa finalmente prendere forma. Dopo la sentenza della Consulta non vi sono più alibi.

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