Le vicende russe viste dal mondo

Da chi considera il presidente bielorusso Lukashenko il vero vincitore, a chi osserva le posizioni della Cina, a chi prevede ulteriore instabilità, i media internazionali hanno scritto estesamente del tentativo di golpe in Russia. Mentre il principale giornale russo dipinge Putin come il salvatore della Patria.
ANSA/ALESSANDRO DI MEO

I giornali di tutto il mondo hanno naturalmente dato ampio risalto a quanto accaduto in Russia nel corso del fine settimana passato, con l’annunciata e poi ritirata “marcia su Mosca” da parte del leader della Wagner Evgenij Prigožin

A dare ampia attenzione sono ovviamente stati i media americani, dato che Washington è tra i principali osservatori di quanto accade tra Russia e Ucraina. Il New York Times ad esempio afferma che «con il futuro della Wagner in dubbio, l’Ucraina potrebbe avvantaggiarsi del caos», nonostante le difficoltà che la controffensiva sta incontrando; e allo stesso tempo dedica un articolo a «Prigožin e la lunga e sciagurata Storia delle ribellioni russe», rifacendosi alle innumerevoli congiure di palazzo mai andate in porto sin dai tempi degli zar – al netto della nota rivoluzione d’ottobre, che però ebbe connotati ben diversi da quelli di una congiura di notabili. Il Washington Post dal canto suo titola che «i funzionari (occidentali, ndr) si chiedono se la tregua al Cremlino reggerà», discutendo di come sia negli Stati Uniti che in Europa si stia ancora valutando quale sia il reale impatto di quanto avvenuto.

Venendo in Europa, lo spagnolo El Paìs osserva da un lato che «Non è stato l’ultimo assalto tra Prigožin e Putin», prevedendo che l’amnistia da lui promessa ai miliziani che si sono tirati indietro apra ad una fase di instabilità; e dall’altro che ad uscire vincitore da tutto questo è il presidente bielorusso Lukashenko, che «ha il migliore olfatto d’Europa […] ed è ora nella posizione di mediare tra russi».

Al di là dei Pirenei, in Francia, Le Monde apre la sua home page puntando l’attenzione sulla posizione della Cina in questa vicenda – segnale di come il gigante asiatico sia ritenuto un attore in grado di fare la differenza: facendo notare che «La Cina minimizza quello che definisce un incidente [..] Dopo aver tergiversato, i media di propaganda lunedì hanno effettuato una virata, evidenziando la capacità di Putin di gestire situazioni complesse». Definisce poi quello della ritirata della Wagner dall’Ucraina un rischio calcolato per Putin, tanto più che dopo la caduta di Bakhmut non erano comunque più in prima linea.

Più radicale il tedesco Der Spiegel, che in un editoriale di Mathieu Von Rohr afferma che «La guerra che Putin ha voluto ora minaccia la sua stessa autorità. […] Dopo la rivolta fallita della Wagner, il “sistema Putin” appare vuoto. E una Russia senza di lui è inimmaginabile».

Oltremanica, il Guardian ritorna su temi già toccati da altri media: la posizione della Cina, la ribellione della Wagner come mostro che si ribella al suo stesso creatore; e in un editoriale di Samantha De Bendern afferma che «Putin umiliato non ha saputo che cosa fare. Dovremmo preoccuparci di che cosa farà adesso». Interessante anche l’analisi del britannico The Economist di come il golpe fallito di Prigožin, definito come “strano”, sia «un segno del malessere della Russia che ha danneggiato tutte le parti coinvolte»: tutto è successo in 24 ore, senza che né l’uno né l’altro leader abbiano davvero chiarito che cosa sia accaduto e le ragioni dietro alle proprie mosse, lasciando il mondo a chiedersi che cosa ci fosse realmente dietro a quella che per ora rimane più una messa in scena sui social media che qualcosa di davvero rilevante sul terreno.

Ma in Russia che si dice, verrebbe da chiedersi? La Komsomol’skaja Pravda apre con un articolo dal titolo «Un giorno di ribellione: chi ha davvero salvato la Russia e fermato le colonne di Prigožin». Naturalmente la risposta è Putin, anche se alcuni di quello che viene definito “esercito del divano” (noi li chiameremmo probabilmente “leoni da tastiera”, o “allenatori da divano”) si ostinano a dire che sia stato Lukashenko. Dipinto come una persona che odia gli spargimenti di sangue e le decisioni difficili, ma che è pronto a prenderle e a mantenervi fede, di lui si afferma che considera i “prigožnicy(neologismo che sta ad indicare i seguaci di Prigožin, ndr) dei «russi perduti [..], che non intendeva assolutamente distruggere». Quasi un padre in attesa del figliol prodigo, insomma, al contrario di un «Elcyn che, nell’ottobre del 1993, diede un ordine che nella società è sentito ancora oggi» (il riferimento è alla crisi costituzionale e agli scontri che ne seguirono, causando centinaia di morti). Dopo tanta bontà, tuttavia, l’articolo si chiude con un avvertimento: «Com’è dare ordine di uccidere diverse migliaia di russi? Non lo si augura a nessuno. Ma non c’è dubbio che, se questi attraversassero quella “sottile linea rossa” e iniziassero a rappresentare una minaccia per il Paese e le autorità, verrebbe dato un tale ordine».

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