“Le vere intercettazioni sono sulle strategie energetiche”

Matteo Luigi Napolitano, docente di relazioni internazionali all’università Marconi di Roma, legge il Datagate e la crisi diplomatica tra Stati Uniti e Paesi Nato. «L’intelligence fa solo il suo lavoro e le informazioni vengono scambiate tra le varie agenzie. I monitoraggi sono sulle fonti di energia e sul reperimento dell’acqua, oltre a capire i rapporti tra Europa e Cina»
National security agency

Lo scandalo Datagate, che da settimane ha irrigidito i rapporti tra Stati Uniti e alleati Nato per le intercettazioni operate dall’agenzia americana Nsa a danno di capi di Stato e di governo europei, non è cosa nuova per Matteo Luigi Napolitano, docente di Relazioni internazionali all’università Marconi di Roma. «La paura di essere spiati e intercettati – spiega – c’è sempre stata. Il presidente Wilson, quando nel 1919 arrivò alla conferenza di Parigi per mettere fine alla Prima guerra mondiale temeva di essere spiato da valletti, camerieri e cuochi francesi che parlavano tutti inglese e li vedeva come spie assoldate dal governo francese, pronti a captare le conversazioni che si tenevano all’interno della delegazione americana per poi riferirle al capo di Stato della Francia».

Il Datagate odierno però mette in atto un sistema di sorveglianza di Paesi amici e alleati…
«Sono convinto che i servizi segreti dei Paesi alleati si passino da sempre informazioni fra di loro. Si tratta certamente di dati non sensibili e che non riguardano i capi di Stato e di governo altrimenti si tratterebbe di alto tradimento e non si giustificherebbe in alcun modo. Le informazioni scambiate servono a fare prevenzione ad esempio contro il terrorismo. È cosa risaputa che dopo le Torri Gemelle i carabinieri italiani abbiano dato lezione agli americani perché avevano maturato grande esperienza con il terrorismo di matrice brigatista. Quando nel 2004 sono stato al Pentagono, vari esperti americani mi ripetevano: “I vostri carabinieri ci hanno insegnato la prevenzione perché noi o spariamo e annientiamo i nemici con le armi o siamo inermi”. Dal punto di vista informativo tutti abbiamo bisogno di tutti».

Come cambieranno le relazioni tra gli Stati dopo il Datagate?
«Tra Paesi amici, in superficie, non cambierà molto, ma i quadri intermedi, i ministeri e i loro dirigenti si parleranno su ben altri toni. Non sono in ballo le alleanze, ma potrebbero esserlo alcuni accordi economici. Non sappiamo bene il campo su cui queste intercettazioni sono state fatte, ma io penso ai grandi capitali d’industria, alle scelte strategiche degli amministratori delegati, ad esempio dell’Eni. L’Italia si rivolgerà al Kazakhstan per il rifornimento di fonti energetiche o no? Cosa comporterà l’apertura di canali alternativi alla Russia per il rifornimento del gas? Mi sembrerebbe strano se non fossero state monitorate queste scelte strategiche».

Quindi non interessa la politica?
«A mio parere c’è meno interesse a monitorare il telefono di un capo di Stato come quello italiano che non ha la possibilità di fare scelte politiche decisive come quelle di un amministratore delegato di un ente energetico che fa scelte non solo industriali, ma politiche, perché contratti e concessioni hanno riflessi nelle relazioni tra gli Stati. Se ad esempio si deve saltare il canale russo nel rifornimento di gas, ci sarà un cambiamento nelle relazioni con la Russia? Penso che i settori che operano scelte economiche e commerciali a seguito del Datagate pretenderanno chiarimenti e si chiederanno e chiederanno: “Cosa avete saputo? Come lo avete saputo?”. Altro caso sono i rapporti con la Cina: una scelta necessaria per favorire un canale di sbocco per i prodotti italiani. Le grandi istituzioni culturali, come il Confucio institute, che stanno sviluppando una rete di soft power, cioè di diplomazia cultuale, hanno in realtà una grande incidenza. Mi meraviglierebbe che una buona spia non vedesse queste relazioni e questi mutamenti al di là del quadro politico classico di riferimento Occidente con Occidente, Mosca che cerca di fare le sue alleanze, etc. Servirà chiarezza e si prenderanno le dovute accortezze per il futuro».

Ma allora qual è il vero lavoro dei servizi segreti?
«Il lavoro di intelligence riguarda più i macrosistemi, le scelte che riguardano tutta l’alleanza atlantica come la lotta al terrorismo, i rapporti con la Russia e la Cina, con i cosiddetti Brics. Ci si accorda sulle scelte di campo ufficiali, ma poi c’è una specie di magma non stratificato di scelte politiche, di contatti commerciali ed economici che ogni Paese cerca di stringere per il proprio interesse e per il proprio sistema Paese più che in nome dell’Alleanza o dell’essere Paesi occidentali: nei settori dell’energetico o degli idrocarburi dove abbiamo risorse scarse è probabile che questo accada e sta accadendo anche per l’approvvigionamento di acqua, altro campo strategico su cui si sta studiando, non ancora venuto sufficientemente in evidenza ma si sa che sul controllo delle risorse idriche si giocano varie attività di spionaggio».

Si parla di 46 milioni di telefonate intercettate, un dato notevole. Ma cosa si farà di queste informazioni?
«Bisogna precisare che le agenzie che fanno capo a un sistema istituzionale di indagine non sono poche. La Nsa non è l’unica e negli Stati Uniti ce ne sono altre che fanno capo al Pentagono, alla Cia e quindi immagino che nella stessa Nsa ci siano vari subappalti per arrivare a 46 milioni di telefonate e a 35 capi di Stato intercettati. Personalmente ritengo che ce ne siano molte di più. Ritengo che  gran parte di queste informazioni sarà inutilizzabile perché sono state incise casualmente e in vari momenti della vita politica e sociale di uno Stato, non sempre minacciose nei confronti degli interessi americani. La sovranità tecnologica di cui godono Usa e Russia consente di avere decisamente molte notizie, molte di più di quelle che riusciamo a immaginare, ma poi si è capaci di elaborare queste informazioni? A una grande massa di dati non è detto che corrisponda grande capacità di trovare ciò che è utile, perché molti argomenti saranno spazzatura e tante informazioni riguarderanno la vita privata della gente e non avranno grande nesso con lo scopo dell’intercettazione. Sono portato a pensare che questo sia stato un gioco costante della comunità di intelligence e che è d’uso scambiarsi questo materiale da decriptare, perché cose che ad un americano non dicono nulla, un italiano le riesce a capire e viceversa».

Serve una riforma dei servizi segreti?
«Le soluzioni non sono né facili né immediate e ripeto che lo spionaggio c’è sempre stato. Lo spionaggio è un’attività istituzionale, per quanto ciò possa sembrare bizzarro. Il servizio di intelligence sta lì a fare quello e se non lo facesse non starebbe svolgendo il suo lavoro. Certo è imbarazzante sapere di essere intercettati, a propria insaputa, da un Paese amico, ma fa parte del gioco. Sulle motivazioni per cui ciò sia stato fatto permangono tanti interrogativi. Per l’Italia, ad esempio, il quadro politicamente instabile non faceva certo preludere a un ritorno dei comunisti, come in tempi di Guerra fredda, forse si vogliono acquisire notizie su dinamiche delicate già presenti sui giornali italiani e per farlo non serviva certo che i servizi segreti entrassero in campo. Però ci sono Paesi con una politica più stabile come la Germania che vengono intercettati lo stesso e quindi non è il quadro politico che sollecita l’interesse dell’intelligence ma sono ben altri fronti».

Sembra che anche papa Francesco sia stato intercettato…
«Pensare che Wojtyla potesse essere intercettato, dopo l’elezione alla cattedra di Pietro, da parte dell’Unione sovietica poteva avere qualche ragione in tempi di Guerra fredda. Pensare ora che gli americani intercettino papa Francesco fa sorridere perché quello che emerge fuori del papa è quello che vive dentro. Non penso lo abbiano intercettato in conversazioni politicamente interessanti per gli Stati Uniti, anche perché la linea della Santa Sede su solidarietà, aiuto al Terzo mondo e allo sviluppo è chiara da tempo e quindi non mi stupirebbe trovare affermazioni che si trovano già in relazioni o atti resi pubblici del Vaticano. Che il papa sia stato intercettato è uno scoop, ma fa parte delle regole: la tecnologia per sua natura consente queste cose con uno scanner e un ricevitore multifrequenza e aggiornando i vari sistemi si superano anche i limiti di crittazione delle istituzioni. Poi ci possono naturalmente essere deviazioni dei servizi che scelgono di vendersi l’intercettazione a un giornale che ha lo scoop garantito. La situazione resta per tutti imbarazzante».

I più letti della settimana

Tonino Bello, la guerra e noi

Mediterraneo di fraternità

Il voto cattolico interessa

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons