Le sfide del nuovo presidente

Si insedia Peña Nieto in un momento che sembra promettere forti cambiamenti nel delicato contesto geopolitico del Paese. Urgono riforme in campo sociale, educativo, giudiziario, senza ostruzionismi dell’opposizione ma frutto di un serio confronto democratico.
Nuovo presidente messicano

L’ambiente politico in cui Enrique Peña Nieto, esponente del Pri  lo storico “partito rivoluzionario istituzionale” già al governo ininterrottamente dal 1929 al 2000, assume la presidenza del Messico è promettente.  Pochi giorni prima solo le differenze  interne del partito di sinistra, Prd, hanno frenato la firma di un accordo su una agenda comune di riforme. Ma tutto fa sperare che è solo una breve interruzione  e l’accordo sarà sigillato. Questo  episodio è di un enorme significato politico perché segnerebbe un’inversione di tendenza: dal clima di scontri senza fine si passerebbe alla negoziazione che permetterà di giungere alle riforme necessarie.  Di fatto il continuo ostruzionismo di un’opposizione irresponsabile è stata una delle cause che ha oscurato i sei anni di Felipe Calderón, del partito di centro destra Pan, con un Congresso paralizzato dal groviglio  di interessi  elettorali  e dall’offuscamento ideologico che hanno di fatto dominato gli approcci alle iniziative dell’esecutivo.

 Le attese della popolazione sono rivolte tutte ad alcuni problemi le cui conseguenze si riveleranno drammatiche per la loro vita, e che richiederanno al nuovo Presidente di promuovere politiche mirate ed efficaci.   Fra i temi più sentiti c’è quello della sicurezza per il quale sarà doveroso introdurre elementi correttivi alla lotta contro la delinquenza organizzata, che ha registrato più di 50 mila uccisioni durante i sei anni di Felipe Calderón La strategia, che contempla l’intervento dell’esercito è di fatto sotto accusa, perché priva di un sufficiente lavoro dei servizi segreti e di lotta al riciclaggio dei proventi di narcotraffico e illeciti vari.  

A suo favore, il governo di Calderón ha registrato un forte investimento in infrastrutture, e la prudente  gestione delle finanze pubbliche durante le ripetute crisi internazionali ha mantenuto il Messico in una zona di relativa calma e stabilità. In questo campo i pronostici sul Paese sono ottimisti e prevedono uno sviluppo ancora più sostenuto che potrebbe portarlo ai primi posti nella crescita tra le nazioni del Latino America, senza però al contempo  garantire  la soluzione all’eterno problema della ingiusta distribuzione della ricchezza. La percentuale dei poveri si mantiene alta, pari al 50 per cento della popolazione ed il Paese è privo di un sistema equo di spesa sociale.  Questo governo dovrà, inoltre, affrontare una riforma fiscale che permetta allo stato un margine di manovra per investire su questo fronte su cui si gioca gran parte del suo successo e del sostegno popolare.

Sotto studio è anche la riforma energetica dove esiste un intenso dibattito sull’allargamento alla  partecipazione dei privati nello sfruttamento delle risorse petrolifere.   E poi c’è la riforma dell’educazione troppo condizionata da un forte potere sindacale, ideologico, propenso a difendere privilegi e poco impegnato invece  sul miglioramento della qualità dell’educazione.  Non ultimo il nuovo governo dovrà mostrare imparzialità nel campo dei media  per affrontare  i giganti delle comunicazioni della telefonia e televisione che lavorano in condizioni più simili al monopolio che alla concorrenza.  

Non a caso i primi Paesi, visitati, come presidente eletto da Enrique Peña sono stati i paesi dell’America Centrale e gli Stati Uniti, con i quali il Messico condivide problemi legati alla migrazione non solo d’origine ma anche di transito.  La popolazione latina, nelle ultime elezioni americane, ha votato nel 70 per cento dei casi per Obama, per cui si spera che una riforma della politica migratoria che rispetti i diritti e la dignità del migrante, oltre a riconoscere il contributo economico e culturale che arricchisce il Paese di destinazione, sia ora possibile.

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