Le sei vite di Michelangelo

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Michelangelo non si finisce mai di scoprirlo. E quando secoli di studi fanno pensare di conoscere tutto, ecco nuove rivelazioni, dalla scoperta del colore nelle Sistina ripulita, al veroMosè nel monumento restaurato, alla biografia. E finalmente a questi disegni di Casa Buonarroti a Firenze, fra i non molti residui di un corpo grafico sottratto ai falò che il vecchissimo Michelangelo fece a Roma, distruggendo capolavori, prima di morire. La meraviglia, osservando i sei esposti a Padova, è quanto essi rispecchino le tappe di un processo spirituale e umano che in Michelangelo appare senza sosta fino alla morte. Si tratta di prime idee per un progetto già in atto, a volte semplici studi, altre soggetti da donare, riservatamente – com’era del suo carattere ombroso – agli amici più cari. Il Volto virile a matita rossa risale agli anni della Volta Sistina, sul 1510. Sembra un ritratto tanta è l’intensità del raccoglimento, e la sua forza spirituale. Mai banale, Michelangelo pare concentrare in esso un sentimento di mesta accettazione della sventura, che riproporrà nel giovane abbracciato ad un albero nella scena tragica del Diluvio. Risale ancora agli anni della Volta – il Buonarroti è sui trentacinque anni, in piena vigoria – lo Studio di un braccio per una figura. Brano che mette a nudo l’amore sviscerato dell’artista per il corpo umano, con la tensione muscolare resa ombreggiata e palpitante dalla matita nera e che, giustamente, si riallaccia al gesto teso di Dio nella Creazione di Adamo. La grandezza del Buonarroti sta nel far scorrere, già in un semplice studio, quella stessa energia che poi si ritrova nell’affresco, a riprova di una fervida continuità di ispirazione. Sembra un’altra persona il Michelangelo che nel 1529 studia il progetto per una Fortificazione per la Porta al Prato d’Ognissanti. Inquieto repubblicano, l’artista si fa architetto militare quando Firenze è presa d’assalto dagli Imperiali per riportare i Medici in città (quei Medici che l’aveva- no protetto!). Ma la sicurezza della linea, la precisione del segno, i contorni plastici, rivelano l’anima dello scultore, che dà rilievo e forza anche ad un progetto militare come fosse una creatura viva. È un Michelangelo sessantenne, che già si avvia sull’immensa parete del Giudizio, quello che con violenza parossistica affronta il Sacrificio d’Isacco. Un groviglio, a matita rossa e nera, di linee, di ombreggiature, ad esprimere il dinamismo della scena, con quell’amore per la torsione dei corpi – il contrapposto – che in lui significa contrasto di sentimenti, ma anche volontà di sintesi drammatica, di ridurre la sinfonia emotiva nei vari aspetti ad uno solo. Ciò è ancor più evidente nel contemporaneo studio per un Cristo risorto, primo soggetto per la parete sistina, poi sostituito dal Giudizio. La vibrazione esplosiva della linea coglie il Cristo nell’atto di uscire dalla tomba, le braccia alzate in gesti di risveglio vittorioso: il chiaroscuro è lieve, l’intersecarsi delle linee rivela lo stato di grande emozione dell’artista, che disegna e ridisegna quelle gambe divaricate, piene di nuova vita. Stupore, fede, ma anche difficoltà nel rendere visivamente il miracolo fanno di questo disegno un capolavoro assoluto. È un viaggio metafisico ormai quello di Michelangelo. A ottantacinque anni, mentre scolpisce la Pietà Rondanini e attende ogni giorno la morte, fornisce la Pianta per la chiesa romana di San Giovanni dei Fiorentini. L’amore per la struttura centralizzata, di classica memoria, e per le membrature architettoniche rilevate – che calca con la mano sul foglio – dà l’idea di come per il Buonarroti l’architettura ormai fosse un cielo capovolto in terra, possente, infinito. Una monumentalità non retorica, ma uno spazio imprigionato da strutture gigantesche: un cielo metafisico concretizzato. Scultore fino all’ultimo, Michelangelo cerca l’anima dentro un blocco o un affresco o un tempio. La estrae, con decisa violenza. E la lascia alla nostra contemplazione.

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