Le “Sardine” e la prova inevitabile della maturità

A pochi mesi dalla sua comparsa il movimento spontaneo, a trazione giovanile, annuncia un’assemblea fondativa a marzo. Intanto, dopo Riace, il prossimo appuntamento è previsto per il 19 gennaio a Bologna, in vista delle elezioni regionali in Emilia Romagna.
LaPresse - Andrea Panegrossi

Il fenomeno delle “Sardine” è riemerso nel 2020 con un raduno a Riace, in Calabria, il paese simbolo dell’accoglienza dei migranti, ora amministrato dalla Lega dopo l’attacco subito dall’ex sindaco Domenico Lucano. Il 19 di gennaio è previsto il ritorno a Bologna, verso le elezioni regionali del 26 del mese. Data decisiva per la politica italiana se si confermeranno le percentuali della nuova destra emerse nel voto per il Parlamento europeo.

L’adunata, lo scorso 14 novembre, di 6 mila persone, strette come pesci in scatola in piazza Maggiore, voleva superare il numero dei supporter che, in quel giorno, si sarebbero incontrati al Pala Dozza, 5.750 posti a sedere, a sostegno della senatrice Lucia Borgonzoni come candidata della Lega alla presidenza della Regione. Una competizione dettata dall’orgoglio di una società storicamente di sinistra, ma senza ipoteche di alcun partito.

Foto LaPresse - Andrea Panegrossi
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L’esempio bolognese è stato poi replicato spontaneamente fino alla grande manifestazione romana del 14 dicembre che ha riconquistato simbolicamente piazza San Giovanni in Laterano, luogo, nel 1984, dell’oceanico funerale di Enrico Berlinguer (un milione mezzo di persone). Epoche remote. La stima ottimistica del 15 dicembre parla di 100 mila presenze, 35 mila secondo lo sconto della polizia.

Per spiegare, comunque, il successo delle adunate, in molte piazze italiane, delle cosiddette “Sardine” si è fatto ricorso, anche, ad una presunta adesione dei “papa boys”, la generica definizione canzonatoria usata per indicare i giovani dei mega raduni promossi da papa Woytila. E, in effetti, il sorriso di coloro che hanno dato il via a questo movimento spontaneo rimanda al clima rassicurante di certi incontri, con il richiamo costante all’adozione del linguaggio non ostile. Ma in merito a cosa?

Di certo si può dire che gli eventi pubblici promossi hanno rappresentato una terapia antidepressiva di massa per la popolazione di centrosinistra in crisi di rappresentanza.

La retorica verso la generica categoria dei “giovani” è caratteristica di una società che invecchia senza tregua. Pesa anche, per la generazione anziana, una certa convinzione di aver fallito la promessa titanica di cambiare il mondo.

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Ma queste artificiali separazioni anagrafiche sono, di fatto, scomparse quando gli organizzatori hanno scelto i testimoni credibili ai quali dare la parola. E così, sull’onda dell’inno di “Bella Ciao” si è rivolta alla piazza romana la presidente dell’Associazione nazionale dei partigiani, Carla Nespolo, e il medico dei migranti di Lampedusa, Pietro Bartolo, parlamentare europeo eletto nelle fila del Pd tramite un’alleanza con il partito di Democrazia Solidale, formazione promossa prevalentemente da esponenti della Comunità di Sant’Egidio. Dettagli tecnici, probabilmente ignorati dai promotori della manifestazione che ha dato parola, anche, ad una esponente di Mediterranea, l’organizzazione che opera i salvataggi dei migranti in mare, e al movimento dei diritti Lgbt. Oltre ad interventi improvvisati delle cosiddette “Sardine nere”, giovani di colore che hanno fatto riferimento alle guerre e alle armi vendute anche dal nostro Paese.

Pochi dei presenti a Roma hanno potuto ascoltare i vari interventi, perché il sistema di amplificazione non era quello che, in quella piazza, le organizzazioni sindacali esibiscono nella kermesse del primo maggio trasformato in un concerto dal vivo.

La comprensibile improvvisazione organizzativa è emersa anche quando si è trattato di tirar fuori le richieste di questo movimento. Tolto il rifiuto di tipo di violenza fisica e verbale, l’unico punto “politico” di rilievo è emerso con difficoltà perché il portavoce Mattia Santori ha prima parlato di “revisione” e poi, incalzato dalla folla, di “abolizione” dei decreti sicurezza voluti dall’ex ministro degli interni e capo della Lega Matteo Salvini. Un tema percepito elettoralmente “perdente” nonché divisivo per l’alleanza governativa tra Pd, 5 Stelle, Leu e renziani.

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D’altronde, i temporanei portavoce locali delle “sardine” si sarebbero, poi, incontrati, per la prima volta, solo il giorno dopo, 15 dicembre, nel palazzo occupato ex Inpdap della vicina via Santa Croce in Gerusalemme. Luogo emblematico, perché non è solo un rifugio “illegale” per persone in emergenza abitativa, ma un centro di attività culturali e ludiche fortemente osteggiato dalla destra capitolina.

Fin dal principio i promotori delle Sardine hanno precisato che non intendono sostituirsi ai movimenti di base, ma ripristinare uno stile e un lessico politico alternativo a quello finora dominante della Lega.

Eppure sarà inevitabile che gli venga chiesto di prendere posizione su questioni decisive del nostro Paese, a partire, ad esempio, dalla collocazione dell’Italia davanti agli inquietanti scenari di guerra di inizio 2020.

Istanze e domande destinate a crescere se, come annunciato, si prevede una sorta di congresso, un momento fondativo, del movimento per marzo 2020.

Con l’emergere di tutte le problematiche delle maggioranze da stabilire e della capacità di rappresentanza che ogni realtà sociale organizzata deve affrontare, se non si affida alla suggestione del leader. L’uomo forte al potere, cioè, che, secondo il Censis, trova pericolosamente il favore di metà degli italiani, smarriti da troppi timori. E la prima incertezza è quella di chi sembra non avere un’idea compiuta del mondo, con tutte le scelte che ne derivano. Perché l’emozione, come la gioventù, finisce in fretta.

 

 

 

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