Le rose nel deserto

A più di 90 anni, il grande maestro del nostro cinema Mario Monicelli, ha diretto la sua 65ma opera, in cui si manifesta, ancora, il suo tocco umori-stico e vivace, caratteristico della commedia all’italiana. Una visione della vita abbastanza serena, anche se il contorno non è pacifico, come non lo era quello dei suoi famosi film La grande guerra e L’armata Brancaleone. Ora siamo in Libia, nei primi anni Quaranta, tra i militari di una sezione sanitaria, che si muove ai margini dei combattimenti. Una Libia, che egli ha conosciuto nella giovinezza come soldato e a cui ha ripensato con nostalgia, leggendo i racconti di Mario Tobino e Giancarlo Fusco. L’atmosfera del campo è poco marziale, piuttosto rilassata e cameratesca. Le scarne informazioni delle attività belliche sono retoriche e non veritiere. L’oasi e il deserto sono squallidi, come squallidi sono gli episodi guerreschi che li raggiungono. I soldati si arrabattano, trascinati a fare qualcosa più grande di loro, sopportando eroicamente situazioni spesso strane. Eppure non si perdono d’animo, mostrando inventiva e buon umore. Ad essi si unisce un frate avventuroso (Michele Placido), che si prodiga per gli indigeni bisognosi e indirizza, con molto buon senso, i militari nelle scelte relative ai parenti lontani. L’anziano regista, nonostante i toni ironici, si esprime con un realismo capace di cogliere aspetti profondi dell’anima di quei giovani, trascinati in una guerra poco sentita. Alla fine, presenta anche caricature odiose di un generale fascista e di soldati tedeschi. Ma nonostante questi apporti funerei, la guerra costituisce solo lo sfondo orribile, davanti al quale si anima la commedia leggera di uomini generosi e fondamentalmente buoni. Regia di Mario Monicelli; con Michele Placido, Alessandro Haber, Giorgio Pasotti.

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