Le responsabilità di Milosevic e non solo

Il processo a Slobadan Milosevic è appena iniziato, assumendo subito un notevole rilievo con implicazioni forse non del tutto prevedibili. Per prima cosa ci ha fatto rivivere alcune delle pagine più dolorose del conflitto jugoslavo.Avvenimenti agghiaccianti che avevamo già seguito in diretta dai televisori di casa nostra, ma anche sul posto, come noi giornalisti o come una folta schiera di operatori delle associazioni umanitarie. Non so se più sorpresi, o indignati, o commossi, durante i dieci, interminabili anni che hanno segnato il martirio di quei popoli. Ci eravamo illusi che i genocidi staliniani e nazisti non si potessero ripetere più, almeno in Europa. Ma ci eravamo sbagliati di grosso. C’era stato ancora una volta un despota che, sopravvalutando le proprie capacità politiche e la totale fedeltà e compattezza di un popolo, aveva creduto di poter ripetere con successo e impunemente le gesta di un Hitler o di uno Stalin.Vucovar, Serajevo, Srebrenica, Pristina non sono che alcuni dei tragici nomi che hanno scandito il tempo della guerra civile.Tutte le repubbliche della ex Jugoslavia, nessuna esclusa, sono state trascinate come carte da gioco in una prevedibile e prevista caduta a dòmino, che nessuno era riuscito ad arrestare. Certo, possiamo immaginare che le cose sarebbero andate diversamente se le grandi potenze e gli organismi internazionali avessero mostrato fin dall’inizio quella determinazione a contrastare la guerra che, alla fine, ha condotto abbastanza rapidamente alla sua conclusione con la capitolazione della Serbia di Milosevic. Ma così non è stato. E qui possiamo riscontrare la seconda agghiacciante analogia con quell’Europa che già si era mostrata pavida ed egoista davanti alle sopraffazioni del nazismo prima, e del comunismo poi. Anche questa volta è stata pavida ed opportunista, avendo rispolverato le vecchie gelosie e rivalità nazionali che già avevano fatto dei Balcani uno degli scacchieri più roventi di tutte le guerre combattute per secoli nel Vecchio continente. Strategie geopolitiche e interessi economici inconfessati avevano infatti generato non più due, ma almeno cin- que sfere di influenza, corrispondenti agli interessi americani, russi, francesi, inglesi, tedeschi e, in sottordine, possiamo aggiungere anche a quelli italiani e a quelli greci. Col risultato di impedire di fatto per anni un intervento dissuasivo dall’esterno che solo avrebbe potuto fermare la Serbia di Milosevic, illusa di mantenere la propria egemonia su tutto il territorio jugoslavo. Ed eccoci al processo. Puntualmente, davanti alla requisitoria dell’accusa che rovescia sull’imputato il carico pesantissimo di una serie infinita di crimini contro l’umanità, Milosevic contrattacca e chiama in causa i grandi, da Jacques Chirac a Tony Blair, a Magdeleine Albright, a Clinton e allo stesso Lamberto Dini, che prima flirtarono con lui e poi trattarono. Certo, lo fecero per evitare il peggio, si dirà. Ma con nessun tangibile risultato, proprio per quelle divisioni di cui s’è detto, che soggiacevano alle azioni concrete, ritardandole e di fatto vanificandole. Ciò non toglie molto alle responsabilità di Milosevic, che difficilmente potrà sottrarsi al verdetto pesante della corte internazionale dell’Aia. Ma chiama in causa anche le colpe di altri con una consequenzialità che non può non fare riflettere. Dovremo allora, per logica conseguenza, risalire alle cause di questi comportamenti e concludere che troppo ancora della vecchia mentalità tiene in vita gli egoismi nazionali e ristagna dentro noi stessi. Forse non più per la sopravvivenza di idee nazionalistiche – di cui, almeno noi italiani, ci siamo liberati da tempo – ma per tornaconti economici o, peggio ancora, per pura appartenenza politica – ma dovremmo dire partigiana – a questa o a quella visione ideologica che fino a ieri divideva il pianeta e di cui oggi è rimasto vivo il tarlo corrosivo di una dialettica fine a sé stessa. Se non possiamo più essere-per, possiamo sempre essere- contro, sembra essere la molla che ci tiene vivi. Contro tutto e tutti è andato anche Milosevic per dieci anni, trascinandosi dietro un popolo dalle enormi potenzialità fin dentro l’abisso dell’autodistruzione. E provocando nel suo paese, al cuore dell’Europa, una carneficina peggiore di quella pur terribile già conosciuta durante l’ultimo conflitto mondiale. Oltre a danni materiali incalcolabili. Il processo è ancora alle prime battute. Ci sarà spazio e tempo per riflettere a lungo. Sarà una riflessione comunque salutare.

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