Le religioni e i conflitti

Gente
Sacerdote della Chiesa metodista, una moglie, Ruth, quattro figli, due lauree e due dottorati in teologia. È Samuel Kobia, segretario generale del Consiglio ecumenico mondiale delle Chiese, in carica dal 2004, che ha recentemente visitato la Mariapoli Piero, la cittadella dei Focolari in Kenya, vicino Nairobi. New City Africa gli ha rivolto alcune domande. L’immagine che emerge nei media di tutto il mondo è che le religioni siano fonte di conflitti. Che contributo possono offrire le Chiese cristiane per costruire la pace? Il mondo è pieno di ferite e le violenze subite rimangono nella memoria delle vittime. Innanzitutto, noi cristiani abbiamo il compito di aiutare le persone nel processo di riconciliazione tra i popoli; altrimenti diventa molto difficile convivere nelle stesse comunità. Secondo, essere operatori di pace è parte integrante della nostra chiamata e procede contemporaneamente all’essere ambasciatori della riconciliazione. Terzo, il problema della giustizia. Molti popoli sono trattati ingiustamente dai governi e dai loro concittadini, e le Chiese devono comprendere queste sofferenze per cercare la pace nella giustizia. Le ultime analisi dell’Onu sottolineano ancora una volta come l’Africa non raggiunga un sufficiente sviluppo economico e sociale. Quali sono le sfide per i cristiani d’Africa? Le Chiese cristiane in Africa sono in prima linea nello sviluppo del continente in tutti i campi: dall’agricoltura all’educazione, dalla salute all’industria. Solo in Kenya, per esempio, più del 60 per cento dei servizi sanitari sono opera dei cristiani. Siamo presenti anche in piccoli villaggi che nemmeno il governo riesce a raggiungere. Abbiamo progetti di tutti i tipi e in tutti i campi, ben prima che esistessero le analisi dell’Onu. La sfida è che tutto sia fondato sulla solida base della parola di Dio, perché c’è ancora molto da fare affinché le Chiese possano lavorare insieme per lo sviluppo economico. Lei ha dichiarato di aver visto in Chiara Lubich l’icona dell’ecumenismo? Sì, perché la sua prospettiva e il suo servizio trascendono tutte le Chiese e abbracciano l’intera cristianità e l’intera umanità. L’omaggio maggiore che possiamo farle è di vivere il messaggio che ci ha lasciato per renderlo concreto e visibile.

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