Le proposte di Francesco alla “società liquida”

Un'analisi delle parole pronunciate dal papa alla luce degli studi e delle teorie del sociologo Zygmunt Bauman. Bisogna "prendersi cura" gli uni degli altri per rinsaldare «rapporti spezzati e instabili» e opporsi «al consumismo che divora la nostra capacità d'amare». Un approfondimento dal nostro corrispondente dalla Thailandia
Papa Francesco

Finisco ora di leggere gli ultimi articoli che parlano di papa Francesco: davvero quest'uomo ha dell'incredibile. Le sue omelie, dai toni semplici e comprensibili alla gente comune, si possono trovare su YouTube: al momento ne ho raccolte circa 60. Devo dire la vertità: le ho ascoltate tutte con grande interesse. Ho impiegato un po' di tempo, ma mi sembra che quest'investimento abbia fruttato bene: mi sento l'anima profondamente rinnovata dalla luce, dalla pace e dalla radicalità di questo papa, che in quattro mesi di pontificato ha letteralmente ribaltato le sorti della Chiesa cattolica non solo in Europa, ma anche nella nostra amata Asia.

Proprio in questi giorni ho appreso la notizia di un noto primo ministro della regione che sta cercando di incontrarlo. Si guarda a lui come a un punto di riferimento e le sue azioni confermano e spiegano molto bene le sue parole, i suoi discorsi, la sua visione della Chiesa. Colpisce la sua disinvoltura e sicurezza; colpisce il suo amore e la pietà, popolare, ma profonda: «papa Francesco è con noi, accanto ad ognuno», come ha commentato qualcuno.

Ascolto papa Francesco e allo stesso tempo leggo un grande studioso: Zygmunt Bauman, sociologo e scrittore di fama mondiale. Perché questo accostamento così insolito? Perché sia papa Benedetto XVI che papa Francesco – basti pensare al discorso pronuciato da quest'ultimo a Lampedusa sulla "cultura del provvisorio" – riportano alcuni pensieri dello scrittore polacco. Ecco pochi cenni storici: nato in Polonia nel 1925 da una famiglia giudeo-polacca, che nel 1939 dovette scappare in seguito all'invasione nazista, Bauman conseguì la laurea in sociologia a Varsavia nel 1954 ed iniziò a far parlare presto di sé per le sue numerose pubblicazioni, davvero acute e critiche sulla società contemporanea: analisi profonde sull’epoca post-moderna. Cito solo pochi titoli tra i più famosi: Modernity and The Holocaust, 1989; Globalization: the human consequences, 1998; Liquid love, 2003; Liquid life, 2005; Culture in a liquid modern world, 2011; e l’elenco è ancora lungo…

Cosa possiamo cogliere leggendo Bauman? Egli esprime molto bene cosa sta vivendo l'uomo tecnologico, quali sono gli effetti devastanti dell'uso incondizionato dei mezzi di comunicazione senza regole e dove si sta dirigendo la societa «dello scarto umano». Papa Francesco fornisce una risposta, un antidoto, un rimedio alla portata di tutti, a quest'analisi universalmente riconosciuta come vera e inconfutabile. Uno aiuta a capire l'altro. Bauman possiamo pensarlo come lo sfondo, a volte cupo, di un quadro che si rivela poi coloratissimo e lucente, di cui Francesco è l'autore, o più precisamente la mano che dipinge: il vero autore è in Cielo. Certo è che questo pittore "di suo" ci mette parecchio nel quadro appena descritto: papa Francesco ridona speranza, colore, amore e prospettiva di un futuro, che, altrimenti, come dice Bauman, sarebbe una terra piena di rifiuti prodotti da una società consumistica, che tutto uso, nulla apprezza né cura per lungo tempo, e getta via, in cerca del sogno della novità: una terra piena di solitudine e disperazione.

Le parole evangeliche di papa Bergoglio, invece, sono questa risposta attesa e semplice alla «società liquida», al «deprezzamento della vita umana», ai «rapporti spezzati e instabili», «al consumismo che divora la nostra capacità d'amare e di prendersi cura dei nostri simili». Le parole di Francesco, già durante il discorso d'intronizzazione a marzo con quel monito a «prendersi cura gli uni degli altri», si sono subito presentate come una risposta inaspettata alla notte epocale che stavamo (uso il passato) vivendo.

I gesti di Francesco hanno parlato e fatto innamorare da subito la gente: quel chiedere umilmente silenzio a tutta piazza San Pietro per la preghiera e la benedizione nella sera dell'elezione hanno fatto il giro del mondo e toccato il cuore di tanti. È stato l’inizio del pontificato. Per prima cosa fermarsi, far silenzio e chiedere umilmente a tutti, insieme, a Dio Padre, che ci benedica: davvero una finestra sulla spiritualità di sant'Ignazio, che Francesco incarna molto bene. Come alcuni analisti hanno detto, il papa ha iniziato a mettersi dalla parte della gente e a guardare la Chiesa per scoprire come poterla aiutare e rinnovare. Questo è un tratto sottolineato da alcuni commentatori internazionali ai quali mi associo pienamente, un tratto nuovo, ardito, che ha spiazzato sia la Curia romana che tutti coloro che attendevano parole d'autorità e di gloria dal sommo pontefice, titolo che Francesco non ama usare. Lui preferisce la definizione antica, risalente ai primi secoli della Chiesa: «vescovo di Roma».

Mai gli ortodossi avevano partecipato all'intronizzazione di un papa dopo il 1054: per papa Francesco è intervenuto Bartolomeo I da Instanbul: un fatto davvero storico che parla più di mille dichirazioni.

Francesco guarda alla Chiesa, dicevamo, ne vede i difetti, ne soffre – ha parlato della corruzione dei preti e dei vescovi, del carrierismo e del clericarismo – e ne parla apertamente, senza veli né paura; dice ai vescovi italiani – e perciò a tutto il mondo – di «stare attenti, perché da pastori possono diventare lupi del gregge», come recita la scrittura. Un messaggio forte, diretto, senza mezzi termini. Papa Francesco guarda e giudica la gerarchia con gli occhi della gente: questo attrae, convince, entusiasma e porta gioia; soprattutto porta una profonda convinzione che la riforma della Chiesa è pienamente in atto con lui.

Francesco si mette dalla parte del popolo e ci parla del Padre. Ci svela, passo per passo chi è Dio oggi per tutti, lui compreso: un Dio ricco di misericordia che non si stanca mai di perdonarci e che non giudica, nemmeno gli omosessuali che lo cercano con cuore puro. Anche nella lunga e ormai famosa intervista del 28 luglio, in aereo da Rio a Roma, papa Francesco ribadisce l'esigenza di far sentire al popolo di Dio la sua misericordia: «Un'intuizione che già Giovanni Paolo II aveva avuto, ma si deve andare ancora avanti su questa strada», ha ribadito ai giornalisti.

Impossibile non cogliere l'enfasi che papa Francesco mette sulla povertà nei suoi discorsi: già ai seminaristi e alle novizie ha ribadito quanto gli dispiaccia «vedere un religioso o una religiosa su una macchina ultimo modello»; per non parlare di telefonini e smart-phone all'ultima moda… Tutto questo non è conforme a chi vuole annunciare il Vangelo. La strada per portarlo fino agli ultimi confini del mondo è la povertà, l'umiltà, di cui papa Francesco dice che «fa parte del Dna di Dio: è indispensabile per capire Dio». È questa, per lui, la strada che la Chiesa deve percorrere: povertà, umiltà, servizio, mitezza: il Vangelo, insomma, e non altre consolazioni; soprattutto nessun dialogo con la mentalità del potere, del denaro, della ricchezza.

Ciò che incanta di papa Francesco è il suo parlare e le sue "scarpe grosse", la croce di ferro, la stanza al Santa Marta e il prendersi il caffè da solo, col gettone, come tutte le persone normali: «Dobbiamo smetterla d'avere la mentalità dei principi», ha affermato riferendosi al fatto che si è portato da solo una borsa nera sulla scaletta dell’aereo vero il Brasile.

Il suo è un parlare da bambino, semplice e pieno di verità. Ma saranno tutti d'accordo con lui? Non mi sembra. Già si levano voci che vedono con lui sfaldarsi la figura del potere del pontefice: sono ancora presenti nella Chiesa, purtroppo. Pazienza: papa Francesco continua a ploclamare che è un peccatore e chiede preghiere dal popolo di Dio. È molto forte quest'espressione. I giornalisti, sempre in aereo da Rio a Roma, hanno chiesto perché lo chieda così spesso: «Perché sento che ne ho bisogno, l'ho sempre fatto, quando ero sacerdote e da vescovo», ha risposto papa Francesco.

Altri concetti sono molto cari a Francesco: «la speranza»; «uscite verso le periferie del mondo»; «i cristiani portatori di gioia e rivoluzionari»; non per ultima, «la fraternità», concetto sottolineato fin dalle prime batture dalla loggia di San Pietro.

È un tempo nuovo per noi cattolici, per tutti i cristiani e non solo: papa Francesco parla al mondo intero e il mondo guarda a lui con fiducia, ascolto pieno e convinzione, per carpire il segreto per uscire da questa crisi mondiale che non è solo economica: è una crisi dell’uomo. Il papa è tornato ad essere un faro di luce per tutti; in un mondo dove fino a poco tempo regnava «l'assoluta precarietà di ogni rapporto»; dove la gente viveva con una «assenza di valori», giusto per riportare qualche frase di Bauman, la voce sicura di papa Francesco risuona fino alle periferie esistenziali dell’umanità: è una voce certa, ma mite perché basata sul Vangelo, sulla verità di Dio e sull'amore; un amore che papa Francesco ci mostra concretamente e tangibilmente nei fatti.

Sì, è un tempo nuovo ed atteso da tutti: ritorna la speranza in tanti che l’avevano perduta. Ritorna la certezza in queste parole che sono presenti in molti credenti e non credenti: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo figlio unigenito affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna»: se Dio ha misericordia di noi, perché temere ancora?

È arrivato il tempo della speranza e della gioia. Grazie papa Francesco: a nome di tanti se non di tutti!

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