Le parole di papa Francesco

Il mensile "Vita" dedica un ampio servizio all'analisi del lessico del pontefice: nessuna espressione di condanna, "noi" il pronome più utilizzato insieme a verbi di moto a luogo e un discorso che procede per domande. Ecco come Bergoglio sta ridisegnando la geografia della Chiesa attraverso il linguaggio
Papa Francesco

Indubbiamente papa Francesco in soli sette mesi ha destato e sta destando un interesse e una meraviglia difficilmente paragonabile ad altri “personaggi”. Il suo stile verbale e non verbale è una continua relazione con l’altro, un annuncio evangelico, una messa in crisi di ogni certezza acquisita.

Ora il magazine Vita, mensile dedicato al racconto sociale, al volontariato, alla sostenibilità economica e ambientale e, in generale, al mondo no profit, nel suo numero di novembre ha sviluppato un’interessante ricerca: il lessico del pontefice, un’analisi semantico-linguistica sui modi di dire di papa Bergoglio. Ne esce un quadro curioso. Come prima cosa emerge un dato connaturale col personaggio: lui usa moltissimi verbi di moto a luogo: "andare", "camminare", "incontrare". Altro elemento caratterizzante è l’uso di pochissime, anzi quasi nessuna, parola di condanna: i termini “castigo” e “punire” non sono mai stati pronunciati in sette mesi di pontificato. “Noi” sta in cima alla top ten dei pronomi, pronunciata 623 volte, mentre “io” è bloccato a 166.

Altra parola da record, “tutto/tutti”, usato 963 volte. “Gesù”, nome proprio e familiare, torna 751 volte, mentre il più teologico “Cristo” 417. «Le parole di papa Francesco hanno questa caratteristica: fanno corpo con il personaggio. Dicono tanto, quasi tutto di lui. Ne scolpiscono la figura, agli occhi del mondo, non solo di chi crede», scrive Giuseppe Frangi, direttore di Vita e autore di questa analisi/commento che prova a raccontare come attraverso l'arma più innocente, la parola, Bergoglio stia ridisegnando la geografia teorica, ma anche molto molto pratica, della Chiesa.

Quel che nettamente Francesco non vuole nella “sua” Chiesa sono le “chiacchiere”, parola che ritorna spesso e sempre con una connotazione fortemente negativa. «Su “chiacchiere” e “lamentela” invece il papa ritorna molto spesso, nella sua offensiva contro il “cattivo parlare”. Quindi la frequenza delle ricorrenze, in questo caso, è del tutto insolita (rispettivamente 42 e 37). Un’offensiva senza sconti, tra le più emblematiche del suo parlare, che tocca tutti i campi del vivere, dai vertici della Chiesa all’ambito domestico. Sintomo di cattiveria: "La chiacchiera è uno “spellare” l’altro; addirittura di sadismo: "Non so perché c’è una gioia oscura nella chiacchiera"; sintomo anche di tradimento: "Facendo di una persona un oggetto di chiacchiericcio, la si tratta come una mercanzia, viene venduto al mercato del pettegolezzo. Era accaduto anche a Gesù" (Santa Marta, 3 aprile). La “chiacchiera” è nemica della virtù più bella della comunità, la “mitezza” (altra preziosa notazione linguistica di Francesco), perché agisce sottobanco. Mina le relazioni, parlando non al diretto interessato, ma "a tutto il quartiere". È il vizio di immischiarsi nelle vite degli altri».

Ma l'approfondimento analizza anche quegli elementi che vanno al di là delle parole. Per esempio l’uso della punteggiatura, e anche qui escono perle interessanti. «I segni d’interpunzione non sono parole, ma la frequenza a mitraglia dei punti di domanda li fa diventare dei significanti pregni di significato, né più né meno di una parola. Francesco procede sempre per domande. Incalza con domande sé stesso e chi lo ascolta. È un artificio retorico per scandire meglio il suo discorso, renderlo più facile alla memoria di chi ascolta. I punti interrogativi sono 614, prediche di Santa Marta escluse. La domanda è sempre un invito a mollare le sicurezze acquisite e ad andare in campo aperto. In sostanza la domanda non prepara una risposta ma un percorso». Insomma la meraviglia di questo papa è un continuum che affascina, ma che richiede risposte concrete da parte di ciascuno.

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