Elio, al suo solito — 7 minuti prima dell’inizio — mi manda una locandina e mi scrive: «Che fai, vieni?». Leggo e… Luigi Lo Cascio (CAPITO?) leggerà e chiacchiererà del libro di Martino Lo Cascio.
Ci sono libri che non si leggono soltanto, si respirano. Il quadrato magico è uno di questi: un romanzo che restituisce voce e corpo a una Palermo perduta, quella degli anni ’50, piena di sogni, fame di futuro e giovinezza.
Lo Cascio, psicologo, autore e regista, ha sempre abitato i confini tra arte e impegno sociale. Con documentari, teatro e progetti sociali ha dato spazio a chi non ha voce: migranti, donne, minori, persone in cammino. Cerca la bellezza nei luoghi fragili e la riconosce come forza generatrice, mai come ornamento. Ne Il quadrato magico questa visione diventa racconto. Un quadrato urbano — piazza Lolli, stazione Notarbartolo, porto e carcere — che diventa mappa sentimentale piena di vite e memorie.

Copertina del libro “Il quadrato magico” di Martino Lo Cascio. Credit: Gabriella Marino
Ogni capitolo, 12 come le edicole votive, è una storia di resistenza e di luce. Ci sono giganti come Falcone, compagno di studi dei suoi genitori, Borsellino, Danilo Dolci, Sellerio, Balistreri, Vaccarella. E ci sono gli sconosciuti: i ragazzi di allora, pieni di sogni e di desiderio di bellezza. Il mare è presente, come respiro e madre. Le sue onde hanno il ritmo delle ninne nanne che Lo Cascio raccoglie in molte lingue con il progetto Nottedoro, primo festival internazionale dedicato ai canti che cullano.
Nel libro, la memoria familiare illumina tutto. Il racconto d’amore tra Aida e Aldo — i genitori dell’autore — è un frammento di intimità. Aida, minuta e riservata, appare come una sovrana forte e gentile che porta avanti la famiglia con 5 figli; una moglie innamorata di un uomo volato via troppo presto, ma ancora vicino come nel loro primo ballo. Il quadrato magico è attraversato da una saudade mai arrendevole. È la malinconia di Palermo, città sospesa tra mare e pietra, capace di custodire memoria e rinascita.
Lo Cascio non idealizza: ricuce. Intreccia storie grandi e minime con la precisione di un artigiano, formando una trama che sa di umanità bella. Un filo unisce tutta la sua opera — poesia, documentari, teatro, romanzi — ed è la convinzione che la creatività sia un gesto sociale. In un tempo in cui le parole si sprecano, Martino sceglie la misura. Parla piano, come chi canta sottovoce, un sussurro.
Palermo risuona in queste pagine come una ninna nanna antica e dolce, una melodia struggente che attraversa le generazioni e dice, piano, che il mare non si ferma mai.