Le economie europee non sono alla deriva

La decisione di Draghi è un argine contro la speculazione e chiede al contempo di pronunciare parole come cooperazione nella diversità, uguaglianza, diritto di cittadinanza
Mario Draghi governatore Bce

Provate a pensare alle economie europee come a tante zattere alla deriva nel grande mare della globalizzazione. Attaccarsi l’una all’altra può avere molti vantaggi, per la stabilità e per il comfort dei passeggeri. Così è stato nei primi 10 anni dell’euro. Ma da quando le onde hanno iniziato a crescere, spinte dal vento della crisi finanziaria nordamericana, ci si è accorti che stare attaccate alla meno peggio con qualche pezzo di corda non basta più. Anzi, può essere molto pericoloso, perché il mare agitato, sbattendo le zattere l’una contro l’altra, rischia di danneggiarle irreparabilmente (speriamo non sia il caso dei nostri fratelli greci). Che fare allora? «Meglio che ognuna delle zattere se ne vada a tentare la sorte per conto suo» –  inizia subito a dire qualcuno.

Soluzione apparentemente semplice, se non fosse che di fronte a questa prospettiva nelle zattere più fragili la gente non resta a guardare e va ad ammassarsi in prossimità delle zattere più robuste, sperando di saltare di là per assicurarsi una navigazione più sicura. E così le zattere rischiano di rovesciarsi. Ma, soprattutto, sciogliere quelle corde vorrebbe dire buttare a mare decenni di sforzi di integrazione.
C’è un’altra possibilità perché le zattere non si sfascino? Sì. Legarle più strette. La decisione di ieri del consiglio direttivo della Bce non è altro che un ulteriore giro di corda per tenerle insieme più saldamente. 

Cerchiamo di capire perché, partendo da questo malefico “spread” che dall’estate scorsa non smette di tormentarci dalle pagine di giornale o dai teleschermi. Perché da un momento all’altro è insorta tanta paura di prestare i propri soldi allo stato italiano? Forse perché il governo Berlusconi era di colpo apparso inaffidabile? La risposta è no. In quel momento la finanza italiana era sì traballante, ma lo era stata anche nei mesi precedenti. Un certo rischio di insolvenza c’era, ma non molto più grande di un anno prima.

La vera ragione dell’impennata dei tassi di interesse che il Tesoro italiano si è trovato costretto a pagare ai suoi finanziatori è il timore, questo sì nuovo, che l’unione monetaria europea possa spaccarsi. In tal caso i crediti verso la Repubblica italiana non verrebbero più ripagati in solidi euro, ma in qualche altra valuta. Comunque dovesse chiamarsi, questa valuta assomiglierebbe molto alla lira, la quale dagli anni ’70 al suo pensionamento non ha fatto altro che perdere valore rispetto alle valute dell’Europa continentale.     

Ma può un’unione monetaria andare avanti così, con vari Paesi strangolati dagli alti tassi di interesse, nonostante le severe politiche di austerità imposte ai propri cittadini, e questo perché i mercati temono pensano che l’unione forse si dissolverà? E’ chiaro che no. Per saldare davvero insieme queste zattere occorrerebbe rafforzare le istituzioni comuni e fare assomigliare un po’ di più gli stati legati d’Europa agli Stati Uniti d’America. Credo che si tratti di una grande opportunità, soprattutto se la useremo per dar vita nella scena mondiale ad un grande attore capace di pronunciare ad alta voce parole ancora troppo sommesse, come cooperazione pacifica nel rispetto delle diversità, diritti di cittadinanza e maggiore uguaglianza (ma questa volta a livello planetario), o attenzione all’ambiente.

In attesa che questo processo possa andare avanti, la Banca Centrale ha fatto una mossa che può anche essere rischiosa, ma che ci permette di procedere nel cammino dell’unione. Mario Draghi ha trasmesso ai mercati finanziari il messaggio è che l’euro è lì per restare e chi cercherà di speculare al ribasso vendendo titoli di stato italiani o spagnoli dovrà vedersela con la potenza di fuoco della BCE, che per comprare quei titoli  può, diciamo così, stamparsi tutti gli euro che vuole nel suo seminterrato. Questo non colma di certo gli squilibri di produttività e di solidità finanziaria che dividono i paesi dell’area euro, ma ci restituisce un po’ di spazio per  rilanciare attività economica e occupazione e anche un po’ di tempo per consolidare l’euro-zatterone. Approfittiamone.

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