Le due città di Agostino

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Se riesce a parlarci attraverso sedici secoli, dicendo cose che appaiono importanti proprio oggi, vuol dire che ha davvero una voce forte. È quella di Agostino, padre della chiesa, che morì vescovo di Ippona in Africa, nel 430, mentre la sua città era assediata dai vandali. Filosofo e teologo, ci interessa qui come pensatore politico, di quelli che hanno lasciato una traccia indelebile. Il fatto è che la politica, in tutte le epoche, ha delle costanti, che emergono soprattutto nei momenti di forte crisi: e tale può essere considerato il nostro, se pensiamo ai numerosi fronti di guerra aperti attualmente nel mondo. E Agostino, di crisi, si intendeva, avendo vissuto l’epoca in cui l’impero romano subiva le forti spallate dei popoli che, dapprima, avevano premuto sui suoi confini e, successivamente, vi avevano fatto devastante irruzione. Agostino ha condotto una lunga riflessione sulla politica, che si intrecciava costantemente con la riflessione sulla natura umana. E aveva davanti ai suoi occhi una situazione che gli presentava due tipi di politici: uno motivato da ideali, preoccupato di proporre e realizzare programmi, interessato ai contenuti positivi che la politica può avere, e teso, nonostante gli eventuali sbagli e le difficoltà, a mantenere la propria azione e il proprio pensiero al di sopra di quel livello politico dove regnano i maneggi, gli intrecci egoistici, i piccoli e grandi calcoli di interessi privati. L’altro tipo, invece, da questo livello più triste non riesce ad uscire, e forse non lo vuole. Anche oggi, questi due tipi umani e politici sono distribuiti nei diversi schieramenti di tutti i paesi del mondo; e ciascuno è contornato da due tipi, corrispondenti, di cittadini. È difficile distinguerli, perché si intrecciano, interagiscono, convivono nelle stesse sedi di partito e negli stessi parlamenti. Ciò che li distingue, in radice, è, secondo Agostino, l’essere animati da due tipi di amore: “Di questi due amori l’uno è puro, l’altro impuro; l’uno sociale, l’altro privato; l’uno sollecito al servire il bene comune in vista della città celeste, l’altro pronto a subordinare anche il bene comune al proprio potere in vista di una dominazione arrogante; l’uno è sottomesso a Dio, l’altro è nemico di Dio; tranquillo l’uno, turbolento l’altro; pacifico l’uno, l’altro litigioso; amichevole l’uno, l’altro invidioso; l’uno che vuole per il prossimo ciò che vuole per sé, l’altro che vuole sottomettere il prossimo a sé stesso; l’uno che governa il prossimo per l’utilità del prossimo, l’altro per il proprio interesse”. È una vera e proprio descrizione di ciò che dovrebbe essere l’amore politico, e del suo antagonista. Pur essendo mischiati, i due amori individuano in realtà, secondo Agostino, due diverse città: la città celeste o “città di Dio”, dalla quale prende il nome il suo famoso libro, e la “città terrena”. Entrambe sono città: ma ben diversi sono i vincoli che caratterizzano i loro cittadini. Solo la prima, in realtà, è una vera città, perché sono nella prima si vive l’amore “sociale”; l’amore “privato” invece, che caratterizza la seconda, non risponde ai requisiti di un legame di cittadinanza, di una relazione politica che, per definizione, è pubblica, e non privata. Tant’è vero, spiega Agostino, che quando, al momento del giudizio finale di Dio, sarà possibile separare le due città, e la città terrena “sarà condannata all’estremo supplizio, non sarà più una città”. “Non sarà più una città”: osservazione fondamentale, che mette in rilievo il fatto che, nel corso della storia che noi viviamo, sono coloro che vivono l’amore sociale a tenere in piedi la realtà politica: se fosse solo per quelli dell’amore privato, invece, tutto crollerebbe sotto l’urto dei conflitti che continuamente si generano. È l’amore sociale a mandare avanti i partiti, i ministeri, le diverse amministrazioni: in una parola, a mandare avanti le istituzioni politiche. Su questa rete di amore sociale si innesta, poi, la turba di coloro che agiscono per interessi propri, veri parassiti della politica. L’amore sociale, per Agostino, è lo specifico amore fraterno dei cristiani, l’amore dell’agape; che coincide, per lui, con la carità e con l’autentico “volere bene”. I cristiani dovrebbero dunque essere i veri protagonisti della città celeste. Ma le due città non corrispondono a due istituzioni visibili; la città celeste non coincide con la chiesa, né la città terrena con lo stato. Si potrebbe dunque creare addirittura il paradosso di un battezzato che, come tale, fa parte della chiesa, ma che si comporta, in politica, secondo l’amore privato della città terrena; e di un non cristiano che, pur non facendo parte della chiesa visibile, poiché vive l’amore sociale è membro attivo della città celeste. Coloro che vivono la fraternità in politica costituiscono la prima fondamentale comunità, anche se vivono in paesi e in partiti diversi. In politica, è l’amore ad assegnare la prima, fondamentale appartenenza. E pensare che la città terrena, anche secondo Agostino, accoglie anche una dimensione ideale, può combattere anche per cause giuste: da questo punto di vista, in essa vivono dei valori, che possiamo considerare “dono di Dio”. Ma l’ideale di cui la città terrena è capace, per Agostino, non elimina difficoltà a coloro che lo perseguono, “questa città è spesso in sé dilaniata da contestazioni, guerre e battaglie alla ricerca di vittorie che sono apportatrici di morte e certamente di effimera durata”. La fragilità della città terrena ha, secondo il vescovo di Ippona, una radice profonda. Il suo iniziatore fu Caino: “Il fondatore della città terrena fu il primo fratricida. Sopraffatto dall’invidia uccise suo fratello, cittadino della città eterna e viandante in questa terra. Non c’è da meravigliarsi dunque se tanto tempo dopo, nel fondare la città che doveva essere la capitale della città terrena, di cui stiamo parlando, e dominare tanti popoli, si è avuta una fattispecie parallela a questo primo esemplare (…) Roma infatti ebbe origine con un fratricidio “. Ma una città di cattivi non può sopravvivere: “Ciò che è avvenuto tra Remo e Romolo ha mostrato come la città terrena abbia delle scissioni in se stessa”. Secondo Agostino, questa possibilità dell’uomo di volgersi verso il male dipende dal fatto che l’uomo viene dal nulla. È creato a immagine e somiglianza di Dio, e dunque è un essere, è buono e compie atti buoni. Il suo limite sta nel fatto che, avendo alle sue spalle una provenienza dal nulla, corre sempre il rischio di volere cose che sono diverse dal proprio fine. Il male infatti, per Agostino, consiste nel perseguire un fine per il quale l’uomo non è stato creato: il male sta nel volgersi verso fini inferiori. L’azione creatrice di Dio, in realtà, in che cosa consiste? È come se egli dicesse all’uomo: ti tolgo dal nulla, ti faccio essere e ti immetto nella tua strada in modo che tu possa crescere e perseguire fino in fondo ciò che tu sei. L’uomo che si distoglie e si volge verso una sorta di richiamo del nulla, non accetta l’atto creatore di Dio, col quale Dio non lo costringe, non preordina le sue scelte, ma lo lascia libero di inventare e costruire la propria esistenza, purché non tradisca se stesso. Il “distrarsi”, il distogliere gli occhi dal proprio fine e dunque da se stessi, dalla strada che si potrebbe percorrere, per Agostino è come un ritornare indietro verso il nulla dal quale siamo stati tirati fuori. Il male dunque è prodotto da una volontà “nichilista”, mentre il bene, al contrario, è l’espressione dell’essere che sta nel suo ordine, che tende alla propria pienezza. E quindi chi vive la fraternità, di momento in momento è sempre in una situazione di “pieno”, ha la possibilità di avere la serenità, la compiutezza, la felicità, anche se ancora sta andando avanti, perché rimane nell’ordine dell’essere, perché sta perseguendo veramente il proprio fine. Ma allora, la volontà umana che causa il male non è una volontà creatrice; anche quando la volontà di male costruisce qualche cosa, dà vita ad organizzazioni politiche, non ècostruttrice, non “fa”, ma toglie, perché priva l’essere di ciò che gli spettava, di ciò che apparteneva al suo progetto. Il male toglie, non crea, non aggiunge, anche quando sembra che lo faccia. Per capire maglio, potremmo paragonare la situazione dell’uomo a quella di un corpo celeste. Esso è tenuto in equilibrio, è tenuto in ordine, traccia il proprio disegno, perché si trova esattamente dove deve stare; se tendesse ad abbassarsi, cioè a non rimanere all’altezza per la quale è fatto, ne verrebbe distrutto: il trovarsi fuori dalla propria orbita fa precipitare. Ed è ciò che accade ad un uomo quando vuole un fine inferiore: esce dall’orbita nella quale era pensato secondo l’ordine voluto da Dio: oppure, potremmo dire per chi non crede in Dio, esce dall’ordine cui potrebbe partecipare in virtù della propria natura e vocazione. E questo è vero sia sul piano personale: quando ci distogliamo da un nostro dovere, quando una forza – simile a quella che può agire su un corpo celeste – tende a farmi uscire dall’orbita, che magari ho scelto volutamente: la famiglia, il lavoro, il compito politico. Non si tratta di restare grigiamente fissati nella situazione data, ma di crescere, di innovare, di progredire, sulla base dell’intuizione, della scelta fondamentale di vita. Ed è vero sul piano di una città, di un popolo, di una intera civiltà, che possono distogliersi dal proprio fine e perdersi. Solo il vivere la fraternità riesce a mantenerci nell’orbita giusta, a farci capire, momento per momento, qual è il fine della vita personale e di quella collettiva. Ma un corpo celeste che esce dalla propria orbita non è libero di decidere dove andare: viene attirato da altre forze, gira attorno ad altre stelle, viene imprigionato da altri sistemi in un’orbita che non è più la sua. Fare il male dà vita ad organizzazioni, a sistemi politici, a regimi nichilisti, cioè distruttori del fine personale e collettivo, dotati di una propria logica, di un proprio “ordine”, nel quale il male viene prodotto come attività ordinaria. Il Novecento ce ne ha dato esempi lampanti attraverso i diversi totalitarismi. E il pericolo di ripetere gli errori è sempre presente. Possiamo sfuggirne vivendo la fraternità, dando cioè ogni giorno un significato alla nostra orbita. Agostino, in sostanza, ci fornisce un criterio di valutazione della politica molto diverso da quelli correnti; pur continuando ad avere un senso distinguere destra e sinistra, conservatori e laburisti, repubblicani e democratici, esiste un’altra distinzione, trasversale agli schieramenti, e molto più radicale, che dice non dove hai scelto di agire, ma che tipo di uomo hai scelto di essere. Non è un male, in un periodo di risse combattute in nome del “dove”, guardare allo scenario politico attraverso il “chi”; e Agostino ci fornisce gli strumenti per farlo.

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