Le donne di Klimt

A Roma una megarassegna sul pittore austriaco intitolata “ Klimt, La Secessione e l’Italia”. Oltre 200 opere tra dipinti, disegni, oggetti, manifesti, foto. Dal 23 novembre al 27 marzo 2022.
Giuditta I di Gustav Klimt - http://www.belvedere.at/en/sammlungen/belvedere/jugendstil-und-wiener-secession/gustav-klimt, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=153475

Gustav Klimt torna da noi, e proprio a Roma dove 110 anni fa, dopo aver partecipato con una sala personale – e “scandalosa” – alla Biennale veneziana del 1911, venne premiato all’Esposizione Internazionale d’Arte.

Artista osannato, ma anche incompreso, Gustav è l’espressione forse più viva di quel movimento “secessionista”, ossia di ribellione all’arte accademica e non solo, che ebbe a Vienna il suo centro negli anni tra fine ‘800 e primi del ‘900. Un’epoca di passaggio – come la nostra – che veniva definita del “decadentismo” (non in senso negativo), ossia di un fenomeno culturale e di costume che segna l’estremo prolungamento della sensibilità romantica, aperta tuttavia al futuro con inedite concessioni ad un gusto della raffinatezza, della decorazione, del virtuosismo cromatico davvero eccezionale. Ha generato di fatto una civiltà, detta – meno bene – anche come il mondo della Belle Époque.

Ma è pure un tempo dove artisti come Oscar Wilde e Marcel Proust oltre a D’Annunzio, musicisti come Richard Strauss e Mahler e in qualche modo il nostro Puccini, esplorano la psicologia umana, e in particolare il mondo femminile.

La donna, ecco la vera protagonista, la rivoluzione di questa stagione. Non certo più la Vergine cristiana, né semplicemente la Madre come poteva accadere in autori “simbolisti” come Segantini. Ma la donna come femme fatale, soggetto attivo nell’amore, sensuale, bellezza ammaliatrice colma di esotica raffinatezza. Un modello che segnerà gli anni a venire, si pensi solo alla pubblicità del corpo femminile.

Non per nulla la mostra romana, avvalendosi dei prestiti del Belvedere Museum e della Fondazione Klimt di Vienna, espone la tela icona di Klimt, ma anche del suo universo culturale, la celebre Giuditta del 1901.

Non è certo l’eroina biblica, ma la donna fascinosa dai capelli neri, il sorriso seducente, il corpo che si svela nella pennellata sottile, fra ori e decorazioni: un mosaico su tela, una apparizione di felicità lontana e vicina, del tutto umana. Non è la donna di Tiziano o di Rubens, così esplicita, nemmeno le donne angelicate del Gotico, ma una creatura sicura di sé, del suo fascino sul soggetto maschile, una proto-femminista che si avvolge di colori splendenti, di linee musicali – botticelliane – specie  in alcuni disegni.

Secoli di interpretazione femminile vengono dissolti in un solo colpo. Giuditta è più corpo che anima, creatura invitante, come appare dalla tela del contemporaneo Karl Borschke Alla fonte della vita del 1918. Quest’opera vede un uomo in adorazione della donna stesa con le braccia aperte, come in croce: è una laicizzazione dell’antico soggetto della Pietà, caricato di una visione fiorita del corpo che dà la vita: la donna qui ha vinto secoli di dominio maschile, preludio alle vittorie novecentesche e attuali.

Ritratto di Signora di Klimt, foto Wikimedia Commons

Ma Klimt non è solo questo. Lo dimostrano i ritratti: donne piene di salute, occhi luminosi come la Signora con manto e cappello su fondo rosso (1898), la Signora in nero e di profilo, vera eleganza (1894) e il bellissimo Ritratto di Signora (1916-17) dalla Galleria d’Arte moderna di Modena, rubato e ritrovato,  immagine di giovinezza felice. Fino al celebre Fregio di Beethoven, venuto da Vienna, momento poetico straordinario di alto decorativismo, una gioia per gli occhi e per la musicalità dei colori, forse ispirato ai mosaici veneziani di san Marco, reinterpretati personalmente, come nel famoso Il Bacio (1907-1908). Qui l’amore della coppia avvolta in un manto di ori e di arcobaleno diventa un faro di luce.

La luce, ecco l’altra protagonista dell’arte di Klimt, scomparso  nel 1918 a soli 51 anni per un ictus.

Il bacio di Klimt, foto Wikimedia Commons

L’artista è assetato di luce. Non la trova nell’aria aperta dentro la natura come gli impressionisti. La ritrova nei singoli o nei gruppi, prima di tutto, come fonte che illumina la paura del dolore. Nel vasto dipinto del 1911 La morte e la vita, il gruppo umano raggomitolato sta insieme davanti allo scheletro che bussa: presagio del conflitto mondiale?

Nel paesaggio Campo fiorito (1905) c’è la fibrillazione della natura in qualcosa di fosforescente – erbe, colline, fiori, alberi – che canta la vita. Non sarà che il terrore della morte porti quest’arte ad un amore anche eccessivo per la vita? L’esaltazione della donna e dell’amore terrestre, fatto di sensi e di luce, di oro e di musica, è un inno alla bellezza dell’essere al mondo, alla volontà di vivere, di essere sé stessi e di vincere, alla fine – grazie anche all’arte –  il dolore. Una rassegna affascinante, da non perdere.

Klimt La Secessione e l’Italia. Roma, Museo di Roma Palazzo Braschi. Fino al 27.3.2022 (catalogo Skira).

 

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