Le deputate potranno allattare in aula, un passo in avanti

A quanto pare, l'allattamento nella Camera dei deputati non sarà più un tabù, al contrario di quanto avviene in Senato. Una novità che arriva in ritardo, ma che nell'ambito governativo italiano sembra proprio una rivoluzione. Da adesso non sarà più vietato alle deputate di allattare i figli neonati sul posto di lavoro.

Premessa: tra i posti in cui ho allattato le mie due figlie si annoverano la cantina di un birrificio, un paio di conferenze stampa, un numero imprecisato di eventi in fiera da me tenuti, le Grotte di Frasassi e quelle di Postumia, le miniere di sale di Berchtesgaden, la cima di diverse montagne, un aereo in volo sopra l’Atlantico, uno zoo, un acquario, numerosi musei e svariate chiese – anche davanti al presepe, e del resto è difficile pensare a Maria e Gesù con biberon e latte in formula. E non ho mai capito perché mai qualcuno avrebbe dovuto trovarlo fastidioso o sconveniente – e si girasse dall’altra parte, se non voleva vedere.

Per cui devo ammettere che sono rimasta molto stupita davanti alla notizia che ora alle deputate è permesso, grazie ad una modifica introdotta al regolamento della Camera su proposta della pentastellata Gilda Sportiello, allattare i bimbi fino a dodici mesi in aula: ma come, mi sono detta, perché mai non avrebbero dovuto? Certo, la questione era burocratica: il regolamento infatti non permette l’ingresso in aula a persone “estranee alla Camera”, e quindi le mamme non avrebbero potuto portare con sé i figli neonati.

Però la cosa è significativa di come, almeno nella nostra cultura, l’allattamento debba rimanere qualcosa di “confinato”; e, se non da nascondere, quantomeno da mantenere nella sfera privata. Tanto è vero che la modifica al regolamento prevede che le donne debbano allattare nell’ultima fila superiore dell’emiciclo o in una tribuna riservata, non al proprio posto. Per carità, è vero che alcune donne si sentono più a proprio agio in zone appartate, e che in zone appartate è anche più semplice “gestire” i bambini: però mi ha dato da pensare il fatto che quella di appartarsi non sia prevista come facoltà di scelta della donna, ma come regola. Vogliamo forse tenere la maternità lontano dagli occhi?

Non resta che auspicare che quello che è “soltanto” un segnale, e rispetto al quale l’Italia arriva tardi, si traduca nel fatto che avere “sotto gli occhi” donne con bimbi piccoli porti ad una maggiore attenzione della politica a questioni di ben altro peso in quanto a sostegno alle madri, lavoratrici e non: congedi di maternità e paternità più consistenti – giova ricordare che la Svezia prevede 440 giorni da dividere tra entrambi i genitori –, maggiori disponibilità di servizi per la maternità e per l’infanzia (dai nidi, ai consultori, alle scuole), un fisco più a misura di famiglia, il sostegno a forme contrattuali che agevolino la conciliazione tra famiglia e lavoro, il contrasto alla disoccupazione femminile post-maternità (che secondo i dati Eurostat tocca il 45% in Italia) e alle difficoltà economiche legate alla nascita di un figlio, sono solo alcuni dei temi di cui da anni si dibatte e su cui si fanno progressi in maniera assai più lenta di quanto auspicabile.

Certo, data l’età media dei deputati appena eletti – 49,9 anni, fonte Openpolis – e dato che le donne sono meno di un terzo dei 400 onorevoli, c’è da presumere che facciano la loro comparsa sugli scranni di Montecitorio ben pochi bebè. Ma se quei pochi serviranno a ricordare a tutti le questioni di cui sopra, ben venga.

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