Le custodi del “Tempietto”

Il gioiello longobardo di Cividale, sulle sponde del fiume Natisone
tempietto longobardo di cividale

Le sorti di Cividale, l’antica Forum Julii (da cui Friuli), cambiarono decisamente a partire dal 568 d.C., anno in cui venne occupata dai longobardi, popolo ariano il cui re era Alboino. Costituitasi primo ducato longobardo in Italia sotto suo nipote Gisulfo, questa città posta allo sbocco della valle del Natisone e a una diecina di chilometri da Udine fiorì splendidamente sotto il dominio dei franchi e, dopo la caduta di questi, divenne per un periodo sede del patriarcato di Aquileia.

Preziose le testimonianze di queste varie epoche disseminate nei suoi bellissimi musei (l’Archeologico e il Cristiano) e nel Duomo di Santa Maria Assunta. Ma il vero gioiello è il cosiddetto “Tempietto longobardo”, la cui fondazione si fa risalire all’ultimo re Desiderio (VIII sec.). Oggi oratorio del monastero di Santa Maria in Valle, ubicato in posizione elevata sulla riva destra del fiume Natisone e miracolosamente sopravvissuto alle ingiurie del tempo e ai terremoti (l’ultimo, del 1976), è la più integra testimonianza architettonica d’epoca longobarda e la più significativa a motivo della ripresa dei modelli dell’arte classica. Questa convivenza di stili spicca soprattutto nella parete occidentale, là dove si apriva un tempo l’ingresso: calamitano qui l’attenzione i candidi stucchi superstiti della lunetta e del fregio superiore con la teoria di sei sante a rilievo fiancheggianti, a gruppi di tre, la finestra  centrale ad arco: ad essa, che in origine simboleggiava Cristo-Luce, le due sante più vicine – le uniche a non recare la corona del martirio e la croce del Salvatore – si rivolgono in atteggiamento orante come allo Sposo delle loro anime.

Coronate di diadema e riccamente abbigliate, queste sei figure monumentali alte più del normale richiamano, sia negli ornati che nella loro ieraticità e rigidezza, certi rilievi funerari di Palmira, in Siria. Opere d’arte uniche nel loro genere, nel loro venire “da altrove” esse ci parlano di un mondo sovrumano, un mondo di luce che esse sembrano già fissare con sguardi attoniti dai volti radiosi sui quali aleggia l’ombra di un sorriso.

E la luce qui doveva giocare un ruolo simbolico che oggi non è possibile apprezzare compiutamente, riflessa com’era dalle paste vitree, dai mosaici e dai marmi che un tempo impreziosivano volte e pareti, ma di cui purtroppo non rimane più nulla. Le stesse candide custodi di questo sacello dovevano assumere colorazioni cangianti durante il giorno, grazie alla luce che filtrava dalle vetrate alabastrine.

Il “Tempietto longobardo”, piccolo ma maestoso ricettacolo di una bellezza in parte perduta, in parte immaginata da chi vi sosta con animo contemplativo, è dal giugno 2011 inscritto nella Lista dei patrimoni dell’umanità dell’Unesco.
 
 

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