L’avevo lasciata fuori.

Me la sono trovata davanti al portone con una bambina in braccio, che chiedeva l’elemosina. L’istinto stava per farmi prendere le distanze da quella sconosciuta messa piuttosto male. Forse per il timore di affrontare un problema, forse perché era una delle tante che chiedono, e ti viene il dubbio: sarà vero? La faccio attendere, appena il tempo per prendere in casa qualcosa. Ma mi balena un pensiero: anche in lei c’è Gesù, un fratello da amare. Esco, e mi ritrovo seduta sulle scale accanto a lei. Le chiedo qualche notizia, ci salutiamo. Rientro in casa, e… “Gesù l’avresti lasciato sulle scale?” , mi dico. Con le mie “buone maniere” l’avevo lasciato fuori della porta. Ero amareggiata, ma cosa potevo fare? Per fortuna Gianna – questo il suo nome – si rifà viva dopo un po’ di tempo, e questa volta la invito ad entrare. Il disagio che mi crea il disordine di quelle due creature, la loro non perfetta pulizia, è superato. La piccola mi guarda con occhi fiduciosi, disarmati. Si chiama Amalia. Chiedo alla mamma se abbiano mangiato, e preparo per loro un semplice piatto di pasta. Da quel giorno le sue visite sono attese anche da mia figlia, che si meraviglia quando passa troppo tempo. Lei arriva di solito quando ho appena finito di lavare i piatti e mi sono sdraiata sul divano per riposare, magari in pieno luglio alle 2 del pomeriggio. Tante volte – quasi sempre – devo superare la stanchezza per ricominciare a preparare il sugo o altro per lei e Amalia, la bambina che va crescendo e che mi chiama zia. Non sempre ho soldi da darle. Divido con lei quello che ho in casa e sempre può portare via anche il pranzo e la cena preparati per gli altri. Gianna ci tiene a dirmi che, anche se non ho niente da darle, lei passa volentieri da me perché sente che è come andare a casa, dalla mamma. I nostri colloqui sono sempre più profondi, ed abbiamo modo di parlare di Dio: accade nel giorno in cui mi chiede perché mi comporto così. Ci tiene a dirmi che è cattolica, e che il nostro rapporto ha risvegliato in lei la fede. La sua storia è un catalogo di sofferenze. È scappata dalla sua terra, i Balcani, nel pieno della guerra, incinta e con tre figli di sua sorella morta assieme al marito sotto un bombardamento. Anche il marito di Gianna è disperso: non si hanno sue notizie. Pur prodigandomi per lei, non nascondo un sottofondo di sottile riserva: dirà tutta la verità? Ed ogni volta è l’occasione di rinnovare nel cuore il mio amore disinteressato nei suoi confronti. Gianna ha sempre più stima di me. La convinco a ricercare suo marito, riscoprendo insieme tutti quei valori della famiglia che la bruttura della guerra aveva sepolto nel suo cuore. È un po’ timorosa di affrontare da sola quest’avventura; perciò la spingo ad andare dal parroco della città in cui vive, a chiedere alle autorità del posto. È sfiduciata da tante esperienze negative che ha subìto, ma mi promette: “Ci vado perché me lo dici tu”. Un giorno arriva tutta concitata. Mi dice che ha trovato suo marito che le ha chiesto di tornare nella sua terra. È ansioso di conoscere la bambina nata in Italia. Mi implora di aiutarla, non ha i soldi per il viaggio. La incoraggio ancora a chiedere alle istituzioni, dandole consigli e invitan- dola a pregare insieme perché si muovano i cuori. Le danno un foglio di via fino alla frontiera. Facciamo i conti: ha bisogno di 280 mila lire per arrivare al suo paese. Io non le ho, ma le prometto il mio appoggio, assicurandole che faremo tutto insieme: i soldi si troveranno. Ricordo che ho pensato: a costo di darle la mia pensione. L’importante è che questa famiglia si ricomponga. Gianna mi chiama una sera dicendomi che la partenza è stata anticipata. Cerco di tranquillizzarla, ma quella sera faccio fatica a prendere sonno. La mattina seguente, appena sveglia, mi trovo a chiedere a Gesù la cifra che mi occorre, aggiungendo… che qualche soldo in più non guasterebbe per qualcuno che deve ricominciare! Un’energia nuova mi portaistintivamente a vestirmi con la tuta, come dovessi fare una maratona. Mi faccio un piccolo elenco di persone amiche. Difficile dire l’avventura dentro e fuori, vissuta insieme con altre tre amiche del palazzo vicino al mio. Il responsabile della Caritas parrocchiale, dove una di loro presta servizio, risponde al punto di azzerare la cassa, e nel giro di poche ore ci siamo trovate a consegnare a Gianna 630 mila lire. Eravamo commosse con lei, che ripeteva quanto fosse importante averci incontrate: Amalia, la sua bambina, la doveva in fondo a quest’amicizia: non ci avrebbe mai dimenticate. La gioia di Gianna era la nostra, ed il suo sguardo pieno di lacrime mi ha accompagnato per tanto tempo. Un mese fa, dopo più di un anno dai fatti raccontati, ero in strada e… quasi irriconoscibile, Gianna mi viene incontro, festosa, vestita con ordine e decoro. Sono contenta, ma anche un tantino smarrita. “Cosa è successo? – mi dico -. Si ricomincia?”. Gianna mi informa che tutta la famiglia si è trasferita in Italia. Lei lavora, ed il marito anche se in modo saltuario fa qualcosa. Amalia va a scuola felicissima ed anche i tre nipoti orfani. Insomma, mi dipinge un quadro di famiglia normale, ben inserita nella società. Posso pensare ancora che l’amore fa miracoli.

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