L’aumento del costo del gas, cause e rimedi

Mentre si depreca il consumo di energia di origine fossile, in pratica se ne aumenta ancora la produzione. Perché? Le cause dell’aumento del costo del gas tra ritardi strutturali e ragioni geopolitiche. Un commento
Foto Ap

Il prezzo del gas naturale è ballerino. Nell’aprile del 2020 il calo dei consumi per la pandemia nel golfo del Messico lo aveva fatto diminuire: chi poteva consumarne di più veniva addirittura retribuito.

Nell’autunno 2021 invece il prezzo è raddoppiato per compensare la minore produzione di energia eolica causata dalla bonaccia sul mare del Nord indotta dal cambiamento climatico. Adesso, per la ripresa dell’economia mondiale ed i consumi invernali per il riscaldamento, il prezzo è schizzato a cinque, sei volte quello a cui eravamo abituati.

Il gas naturale è solo in parte accumulabile, i depositi sotterranei nei vari Paesi ad esso dedicati sono dimensionati ad equilibrare il variare del consumo nelle stagioni: il prezzo esagerato del presente è certamente motivato dalla ripresa economica mondiale, ma anche da altri fattori.

Il più banale, di cui spesso ci si dimentica, è l’aumento della domanda: pur essendo stati realizzati molti investimenti nelle energie rinnovabili, anche col favore della finanza internazionale e dei governi, forse per una inerzia al cambiamento delle burocrazie, gli imprenditori e l’industria mondiale si trovano incapaci a realizzare tutti gli impianti di energia rinnovabile, anche quando è meno costosa di quella di origine fossile, necessari a soddisfare la crescita della domanda di energia elettrica del mondo. Cioè, la domanda di energia in più necessaria agli oltre 5 miliardi di esseri umani che in passato hanno avuto modo di consumarne molto poca ed ora vogliono poterne consumarne  di più.

Mentre si depreca il consumo di energia di origine fossile, in pratica se ne aumenta ancora la produzione:  si tende a eliminare l’utilizzo del carbone, ma non avendo alternative pronte nel rinnovabile, si sceglie il gas naturale che ha un  minore effetto serra.

Il gioco della domanda e dell’offerta che determina il prezzo del gas naturale in questi mesi è influenzato anche dal contrasto tra Russia ed Europa per il mancato rispetto dei diritti umani e per l’espansionismo dei russi verso l’Ucraina.

L’Europa dipende dalla Russia per un terzo del gas naturale di cui ha estremo bisogno: per assicurarsene la fornitura senza dipendere dagli stati di passaggio, ha consentito di costruire il secondo gasdotto Nord Stream che unisce la Russia direttamente con la Germania tramite il mar Baltico, che attualmente non è in esercizio unicamente per ritardo dei permessi burocratici tedeschi.

Gli Stati Uniti spalleggiano l’Europa senza contribuire ad appianare i contrasti e sperando che la Germania continui a mantenere bloccato il gasdotto: offrono in cambio il loro gas naturale liquefatto, prodotto dalle trivellazioni di rocce con quella tecnica del fracking che induce emissioni incontrollate di gas naturale, come gas serra 80 volte peggiore dell’anidride carbonica. I bassi prezzi del petrolio degli anni scorsi le avevano messe fortunatamente fuori mercato, ma l’attuale impennarsi dei prezzi le ha ultimamente fatte aumentare di oltre il venti per cento.

Davanti alle proteste dell’Europa sui diritti umani e l’aggressività verso l’Ucraina, l’azienda del gas di Putin mantiene la fornitura di gas naturale al minimo contrattuale, probabilmente immagazzinando una parte della produzione nei suoi depositi sotterranei: una tecnica per far alzare ancora il prezzo, che è dettato ormai più dalla incertezza e dalle previsioni del futuro delle forniture che dalle transazioni commerciali.

Putin non arriverà mai a bloccare il gas all’Europa, non per simpatia verso di noi ma perché ha estremo bisogno dei dollari che gli versiamo in cambio.

L’aumento dei prezzi delle materie prime si ripercuote inevitabilmente sui prezzi al consumo: per evitare ripercussioni troppo gravi sul benessere dei cittadini il governo italiano sta stanziando nella legge di bilancio vari miliardi per ridurre le imposte che gravano sui prodotti petroliferi e il gas.

Anche se forse molti non saranno d’accordo, dubito che questi provvedimenti siamo corretti: contenendo i prezzi si incide sulla dinamica della domanda e dell’offerta, per diminuire la domanda di un bene scarso ed equilibrarla con la disponibilità dello stesso, occorre che il suo prezzo aumenti.

Non si tratta di essere insensibili alle necessità dei cittadini, quegli aiuti vanno loro offerti, ma meglio se diversamente: i miliardi di euro che in questi giorni la manovra economica stanzia per calmierare questi prezzi potrebbero invece essere utilizzati per ridurre i contributi che oggi sono trattenuti dalle buste paga dei lavoratori con gli stipendi di primo livello, in modo da farle crescere e metterli così in grado di sopportare i maggiori costi dell’energia.

Così si lascerebbe ai cittadini la decisione di utilizzare o meno i maggiori introiti diversamente, optando per ridurre i loro consumi di energia: quella davvero rinnovabile è l’energia che non si consuma. Calmierando i prezzi, avrà più vantaggio chi consuma di più, chi continuerà a sprecare benzina o gasolio con il suo SUV e chi manterrà la temperatura di casa a temperature tropicali.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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