L’asceta e la ragazza

Carlo si era fatto religioso durante la guerra, quasi suo malgrado: seguendo una vocazione sacerdotale avvertita fin da bambino, che per circostanze particolari s’era realizzata solo vestendo la tonaca del suo Ordine. Ma il primo periodo non era stato avaro di prove, sia sul versante spirituale che fisico. Non era facile la vita in convento per uno come lui, da un lato estremamente timido e sensibile, dall’altro “spirito libero e contestatario “, per sua definizione. Quale cambiamento sia poi avvenuto, ce lo racconta lui stesso, rifacendosi agli inizi di febbraio 1950: è l’anno santo indetto da papa Pio XII, e il giovane religioso sta preparando la sua tesi di laurea nella città eterna. Naturalmente il tutto va inquadrato nel contesto dell’epoca, in una Chiesa che deve ancora conoscere la stagione rinnovatrice del Concilio. “Dalla mia città natale era venuto un confratello cui ero molto affezionato. Passai la mattinata insieme a lui. Al pomeriggio aveva un appuntamento con una signorina, “un’anima molto soprannaturale”, mi disse. Io, che del soprannaturale avevo tanta sete, gli chiesi: “Potrei venire anch’io?”. “Sì, sì, vieni!”. “Nel quartiere della Garbatella, in piazza Ulderico da Pordenone, bussammo ad un appartamento sulla cui porta si leggeva “Aliquò”. Per un po’, dovemmo aspettare in un salottino ove erano due giovani: uno di loro, Pasquale, era figlio dell’on. Foresi, un deputato della direzione dc. “Poco dopo eravamo seduti ad un tavolo; davanti a noi una ragazza bionda con le trecce che le scendevano sul petto. L’avresti detta al massimo una diciottenne. “Era quella la signorina tutta “soprannaturale”? Mi ero aspettato di incontrare una persona ieratica, insomma una santa o pressappoco. Ecco lì, invece, una ragazzina tutta sorridente. “Bah, sentiamo un po’ quel che dice!” fu il mio pensiero”. A questo punto Graziella De Luca (così si chiama la focolarina) esordisce: “Vogliamo essere soltanto cristiani, dei cristiani integrali…”. Cristiani integrali? Ma tutti gli Ordini – pensa il giovane religioso – hanno questo scopo, di creare dei cristiani integrali! “Non diceva niente di nuovo, o così mi parve; eppure qualcosa di nuovo c’era in lei: c’era che sprizzava gioia da tutti i pori. Doveva dunque esserci un perché”. Per scoprirlo, dato che la ragazza terrà più tardi un “raduno” in corso Trieste, a casa di un certo commendator Meo, Carlo convince il confratello a recarsi proprio lì. “Le persone a cui Graziella stava parlando non mi fecero buona impressione: sul volto di certe signore appariva evidente un sentimentalismo melenso, altri parevano infatuati… In effetti era gente che la sentiva per la prima volta, fatta qualche eccezione, invitata da qualcuno che dalla Graziella era rimasto impressionato. Mi confortò vedere in quella sala anche un prete, un padre oratoriano. “Ero tuttavia a disagio anche perché si erano invertite le parti: un laico, anzi una laica “predicava” mentre noi sacerdoti la ascoltavamo. Superai il disappunto pensando: “Beh, noi siamo qui per controllare quel che dice!”. “Per controllare bene dovevo però far molta attenzione alle parole di Graziella. Rammento solo qualche pensiero: “Io prima diffidavo di chi voleva fare apostolato con me, voleva conquistarmi: essere ‘conquistata’ non mi piaceva. E così noi non andiamo dal nostro prossimo per conquistarlo, andiamo per amarlo”. “Piano piano quei discorsi cominciavano a far presa su di me: lei non enunciava verità dottrinali o ascetiche, né faceva pie meditazioni, ma raccontava esperienze. Parlava di realtà soprannaturali con grande semplicità, come avrebbe raccontato le sue faccende domestiche…”. Fra l’altro un ingegnere della “Romana Gas”, un certo Giulio Marchesi, che sembra già introdotto in quel gruppo, spiega mediante l’esempio dei vasi comunicanti come tutti traggano beneficio allo stesso modo da quell’acqua spirituale. Per il religioso, è un richiamo alla “comunione d’anime” che cinque anni prima ha realizzato con alcuni giovani confratelli e che poi s’è dolorosamente interrotta: una esperienza piuttosto insolita in un’epoca in cui c’è la tendenza, fra i cristiani, a percorrere individualmente il cammino verso Dio. Da allora, cercherà altre occasioni per attingere a quel cristianesimo vivo e gioioso. L’uomo di cultura portato alle elucubrazioni mentali, che è in lui, rimane incantato dagli episodi di vita evangelica nel quotidiano, dalla “sapienza” di quelle persone semplici; come pure dalla limpidezza delle focolarine. “Abituato com’ero ad un certo tipo di ascetica, avevo tanti pudori a guardare in faccia una ragazza; ma ora era come penetrare in un cielo azzurro, una trasparenza di Dio, ed esser penetrato da lui”. Non che sia già convinto della ortodossia del movimento, ancora sotto studio da parte della Chiesa, o della “santità” di quelle ragazze. Ma più forte delle personali remore o delle obiezioni mosse da altri nei loro confronti, è la spinta ad approfondire quella conoscenza. Qualche mese dopo, “volli verificare se Graziella rappresentava un fenomeno unico, o se di fatto c’era quella realtà vissuta collettivamente, a corpo mistico, di cui parlava”. Venuto così a sapere di un centro maschile in piazza Lecce, una mattina d’ottobre decide di recarvisi. Stupefatto, riscontra in quei giovani “lo stesso modo di parlare, di sentire, lo stesso sguardo”; soprattutto rimane commosso dalla profonda spiritualità di uno di loro, un operaio che si chiamava come lui. “Mi disse che certuni li prendevano per pazzi: “Sì, siamo dei pazzi – soggiunse -, ma di quella pazzia lì!” e additò un crocifisso appeso al muro”. Via via che frequenta quei tipi, ne conosce altri: Antonio, Aldo, Beppe, Enzo, Gian Domenico… E tutti con “lo stesso sguardo luminoso e pieno di gioia”. Gioia che neppure i fallimenti dovuti a egoismo o imperfezione riescono a scalfire, tale è la loro fiducia in Dio Padre. Carlo comincerà a ricevere alcuni dei nuovi amici nel suo convento, dove anche altri studenti rimarranno attratti da questa fraternità che abbraccia tutti, laici e religiosi, e che richiama tanto quella dei tempi apostolici. Diversi di loro, anzi, ne saranno aiutati a prepararsi al sacerdozio o alla professione solenne, superando certe esitazionE tuttavia, la sua rimane ancora una vita fatta di tante “caselle”, ricca cioè di vari interessi non posposti, persi nell’unico Amore capace di unificarla. Dubbi, inoltre, permangono in lui riguardo al gruppo dei focolarini: solidità dottrinale o esaltazione? A dissiparli, una circostanza capitata a dicembre quando, per le vacanze natalizie, tutti quelli e quelle esistenti allora convengono a Roma: è un drappello di appena 48 persone quello su cui poggia l’intero edificio della nascente comunità (non si parla ancora di “movimento”). In quei giorni, un confratello studente chiede ad Antonio: “Voi parlate sempre di gioia e avete tanta gioia, ma un dolore non lo avete mai?”. E l’altro: “Sai, quando vedi una persona bianca e rossa in viso da sembrare il ritratto della salute, tu non le vedi il cuore che batte, ma lo sai bene che c’è. Così quando negli occhi vedi la gioia vuol dire che nel cuore c’è la croce”. “Fu – commenta Carlo – una risposta splendida. Certo lo Spirito doveva averla suggerita ad Antonio. Lì toccai con mano che l’Ideale dell’unità è l’essenza del cristianesimo e in mente mi vennero le parole di san Paolo: “In ogni tribolazione sovrabbondo di gioia””. Le “tribolazioni”, in effetti, non mancheranno neppure a Carlo, nello sforzo di realizzare, anche nell’ambito del suo convento, l’unità chiesta da Gesù al Padre e che è al centro del carisma focolarino. Intanto, il 1951 segna una stagione ancor più intima nei suoi rapporti col focolare. Ha modo, fra l’altro, di conoscere Igino Giordani e Chiara Lubich, il cui amore per la Chiesa è incentivo per lui ad approfondire le ricchezze del carisma del suo fondatore, a riviverlo per quanto possibile. E siamo appena alla prime battute di una esperienza che andrà avanti feconda di frutti, come accade a chi, attraverso le alterne vicende di una vita, sa mantenersi coerente con i suoi ideali, “trafficando” a vantaggio degli altri i doni ricevuti.

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