L’anomalia dei campi nomadi: chiuderli in cinque anni

La Strategia nazionale d'inclusione dei rom, dei sinti e dei caminanti inviata alla Commissione Europea definisce superato il modello dei campi. L’Associazione 21 Luglio di Roma propone percorsi di inclusione sociale progettati insieme a questi cittadini europei, non riconosciuti
Campo nomadi

Tra le varie agende che fioriscono in vista delle elezioni alcuni argomenti come la questione rom e quella delle carceri sono difficili da trattare, perché mettono a nudo la fragilità delle nostre città. A Milano, don Virginio Colmegna ha iniziato lo sciopero della fame contro l’arresto di una donna rom di 29 anni, madre di tre bambini. La reclusione è scattata dopo 6 anni dal momento della contestazione del reato di accattonaggio. La giovane mamma è ora inserita in un percorso di recupero e di integrazione.

Anche Roma rappresenta un insieme di contraddizioni evidenti. Il grande raccordo anulare è il nuovo confine della città.  Nella direzione della via Appia, circondato da strade di veloce scorrimento, sotto il cono di volo dei 200 aerei quotidiani dell’aeroporto di Ciampino, il comune capitolino ha trovato nel 1995 lo spazio ideale dove alloggiare un campo nomadi, definito a suo tempo provvisorio. Parte di quelle famiglie Sinti, cittadini italiani dal riconoscibile accento emiliano, provenivano, con le loro roulotte, dal popoloso quartiere di Cinecittà,famosa cittadella degli studi cinematografici, ora al centro di progetti di “valorizzazione” edilizia.

Dieci milioni di euro per un campo Trasferiti in quell’area isolata, residuo di agro romano di interesse archeologico, hanno dovuto imparare la convivenza con “zingari” di altra etnia e storia, Rom e Korakanè, in un’area che, senza servizi igienici e acqua corrente è diventata sempre più degradata. Giunte di diversi colori si sono avvicendate ma il campo è diventato un luogo dove concentrare altra popolazione nomade, fino alla recente costruzione di una serie di casette uniformi, contenute all’interno di muri di cinta adatti per sorvegliarle.  Il “villaggio”, previsto per 650 persone, ha avuto un costo di 10 milioni di euro.  Soldi inutilmente buttati al vento, secondo l’”Associazione 21 luglio” che assieme a studiosi e ricercatori di varie discipline ha presentato un pacchetto di proposte concrete per voltare pagina e passare «dall’ossessione securitaria alla solidarietà responsabile».

Un tema che non promette grandi ricadute elettorali, anzi, ma ribadisce la raccomandazione n. 27 del 2000 del Comitato per l'Eliminazione della Discriminazione Razziale delle Nazioni Unite, che raccomandava all'Italia «di astenersi dal confinare i rom in campi fuori dalle aree residenziali, isolati e senza accesso all'assistenza sanitaria e ad altri servizi base». Chi ha conosciuto don Luigi Di Liegro, leggendario fondatore della Caritas romana, ricorda bene l’isolamento e il suo non darsi pace per il modo in cui Roma si avvicinava all’appuntamento giubilare del Duemila con una politica fatta di sgomberi e trasferimenti coatti nei nuovi campi nomadi

Una strategia nazionale Ad oggi nella Capitale esistono 8 «villaggi attrezzati», 9 «campi tollerati» e 200 insediamenti informali per un totale di circa settemila persone coinvolte, che in una metropoli di due milioni e settecentomila abitanti palesa l’estrema fragilità del nostro legame sociale che si risveglia solo davanti a drammatici fatti di cronaca. Qualcuno ricorderà il caso del 2011 dei quattro fratellini rom bruciati vivi nella loro baracca situata accanto all’esclusivo circolo del golf dell’Acqua Santa. Qualcosa non sta funzionando se ora anche il piano ufficiale del governo italiano del febbraio 2012, all'interno della “Strategia Nazionale d'inclusione dei rom, dei sinti e dei caminanti” inviato alla Commissione Europea ha dovuto riconoscere la «necessità del superamento del modello dei campi per combattere l'isolamento e favorire percorsi di interrelazione sociale».

Esplicitamente la Strategia afferma che «la politica amministrativa dei “campi nomadi” ha alimentato negli anni il disagio abitativo fino a divenire essa stessa presupposto e causa della marginalità spaziale e dell’esclusione sociale per coloro che subivano e subiscono una simile modalità abitativa». L’obiettivo delle proposte avanzate dall’Associazione 21 luglio è quello di arrivare in 5 anni a chiudere progressivamente con il sistema dei campi nomadi, sospendendo ogni azione di sgombero, per trovare soluzioni abitative adeguate ad una politica di inclusione. L’agenda è consultabile su http://www.21luglio.org/index.php/notizie/177

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