Lampedusa, l’emergenza non frena la solidarietà della gente

L’isola continua a vivere le contraddizioni di problemi che durano da decenni, ma non si spegne l’umanità degli abitanti che chiedono impegni concreti. Dopo il passaggio di Meloni e von der Leyen, l’arcivescovo di Palermo, Corrado Lorefice, ribadisce che occorrono soluzioni strutturali possibili in Italia e in Europa senza creare allarmi sull’invasione dei migranti
Lampedusa, Foto La Presse

Dopo von der Leyen e Meloni, Corrado Lorefice. L’arcivescovo di Palermo fa sentire la sua voce in modo forte all’indomani dell’attesa e importante visita della presidente del consiglio e della presidente della Commissione Europea a Lampedusa.

Una visita di tre ore che è servita a esaminare “de visu” ciò che accade nella maggiore delle isole Pelagie e che si è conclusa con un impegno dell’Europa in dieci punti per affrontare sia il problema dell’accoglienza che quello dei rimpatri e del tentativo di fermare le partenze.

Soluzioni di cui si parla da anni, che vede l’Europa impegnata con varie iniziative, ma finora nessuna risolutiva. Le partenze dei disperati verso il tentativo di trovare una vita migliore non sono diminuite, anzi sono aumentate. Quest’anno, il numero è pressocché raddoppiato rispetto al corrispondente periodo dello scorso anno.

Il leitmotiv che spesso traspare dalle dichiarazioni ufficiali è quello secondo cui i migranti sarebbero un problema. Un problema per l’Italia che è la frontiera dell’Europa e il primo luogo di approdo.

Un problema per l’Europa che deve occuparsene e le cui politiche finora non sono state efficaci, ma soprattutto sono fortemente condizionate dalle scelte e dalle decisioni dei singoli governi, per primi quelli che mantengono una posizione molto dura nei confronti dei migranti o che sono retti da governi di destra. Conosciamo le posizioni di Ungheria e Polonia, ma anche della Francia – con le note dichiarazioni di Macron e quelle recenti del ministro degli Interni, Gerald Darmanin, che ha chiuso alla possibilità di accogliere i migranti –  o dell’Austria che di recente ha rafforzato i controlli alle frontiere del Brennero.

Sullo sfondo, una serie di problematiche si intersecano quali quelle dei rapporti con i Paesi d’origine, che dovrebbero riaccogliere i migranti reimpatriati, dei rapporti con la Tunisia, le cui coste oggi sono il punto di partenza della maggior parte dei barchini e che riceve dei fondi dall’Unione Europea per cercare di frenare le partenze, del funzionamento del sistema di Frontex, che dovrebbe prima di tutto salvaguardare le vite umane.

Problematiche e temi che si rincorrono da anni, quasi come accade in un’economia circolare, dove ogni argomento e ogni tema rincorre l’altro senza riuscire a fare da traino.
Giorgia Meloni e Ursula von der Leyen hanno garantito il loro impegno, riassunto nei dieci punti diffusi al termine del viaggio. E tra le due donne ai vertici dell’Italia e dell’Europa sembra esserci intesa e sinergia.

Non è mancata anche qualche contestazione come quella estemporanea, ma raccolta da alcune telecamere, al molo Favaloro. “Arrivederci, grazie della passerella” ha gridato una donna verso le auto su cui viaggiavano le due leader della politica europea. E poco prima, tra le strade di Lampedusa, c’era stata anche una protesta spontanea.

Un gruppo di persone è riuscito ad avvicinarsi alla premier e uno ha detto: «Siamo trent’anni che stiamo violentati. Dateci un po’ di pausa. Lasciateci respirare» L’uomo ha chiesto maggiore attenzione e la possibilità di evitare gli approdi nei giorni clou della cittadina, che si prepara a vivere, il prossimo 22 settembre, la festa della madonna di Porto Salvo, patrona di Lampedusa. Un momento di festa, molto sentito dalla popolazione dell’isola, che si riempie di luminarie ed è ricco di eventi. Che i lampedusani vorrebbero continuare a vivere, nonostante tutto, nonostante da trent’anni siano il fronte degli sbarchi.

Sono trascorse appena 24 ore dalla visita di Meloni e van deer Leyen e Corrado Lorefice, arcivescovo di Palermo, fa sentire la sua voce. Le sue parole sul tema delle migrazioni – contenute all’interno della lettera scritta dal presule nell’anniversario dei 30 anni dalla morte di don Pino Puglisi – sono forti e offrono un’altra chiave di lettura. «Non c’è nessuna invasione in Italia, nessuna emergenza migranti. Nessuna. Ci sono solo migliaia di donne, di uomini, di bambini, strangolati da guerre nefaste, dallo stravolgimento climatico e dallo sfruttamento economico di matrice occidentale, che partono verso l’Europa in cerca di accoglienza, di solidarietà e di lavoro. Essi – ribadisce monsignor Lorefice – arrivano sulle nostre coste anche da soli, anche senza l’appoggio criminale dei commercianti di morte e ben al di là dei salvataggi delle Ong, spesso falsamente additate come fattori di spinta alle partenze».

L’arcivescovo ricorda che quanto accade oggi non è una novità, ma accade da vent’anni. «Non è un fenomeno sorprendente e ingovernabile, bensì un grande fenomeno planetario. Creare un sistema di flussi regolari, mettere in piedi strutture umane e dignitose di prima accoglienza, distribuire i migranti sul territorio nazionale, dare una casa e un lavoro a chi porta il proprio entusiasmo e il proprio contributo a una Europa stanca, a un welfare anemico, è tutt’altro che impossibile per un grande Paese come l’Italia. Basta volerlo».

Ma la storia di Lampedusa è anche storia di quotidianità e di grande altruismo. Quella di un popolo che da trent’anni vive l’accoglienza e che non ha mai smesso di tirare fuori tutte le proprie risorse, con altruismo e generosità.

«Ci siamo tirate su le maniche e ci siamo messi a disposizione – racconta Nadia Laterza, giovane consigliera comunale – la parrocchia ha messo a disposizione la Casa della Fraternità per accogliere i più fragili: lì c’erano anche famiglie con bambini. Abbiamo pulito i bagni, cucinato, diviso le merende, aiutato ciascuno nei bisogni».

I lampedusani non hanno fatto mancare il loro sostegno anche nel momento degli approdi. «Al molo c’era l’accoglienza organizzata, con Mediterranean Hope e altri gruppi. Siamo andati anche noi. Io ero meno esperta ed ho affiancato altri volontari. Ma ad un certo punto sono rimasta da sola. C’ero solo io a dividere biscotti e merendine in mezzo ad un gruppo di immigrati».

La solidarietà ha convolto tanti. «I supermercati hanno donato acqua, merendine, crackers- racconta ancora Nadia Laterza – In questo modo abbiamo potuto dare un sollievo immediato a tanti. Attorno alla parrocchia tanti giovani e meno giovani si mettono a disposizione. Alcuni amici hanno acquistato trenta pizze formato famiglie e le hanno portate alla casa della Fraternità, distribuendo a tutti una fetta di pizza. Nelle nostre chat circolano le notizie sui bisogni. Se serve un farmaco o altre cose, basta comunicarlo e arriva subito».

Una gara di solidarietà. Dopo trent’anni i lampedusani continuano a donarsi. Ma chiedono attenzione.  Perché c’è anche stanchezza e molti temono una situazione che ormai non è più un’emergenza, ma la normalità. E nella normalità Lampedusa ha bisogno di tornare a vivere. «Le difficoltà ci sono – racconta ancora Nadia – i migranti sono per le strade e hanno bisogno di tutti. I negozi e i bar offrono qualcosa. E allora li vedi in fila davanti al bar che offre il gelato. In parrocchia si sono organizzati per offrire dei pasti. E allora sono tutti in fila in attesa di un piatto di pasta. In questa situazione alcuni commercianti però soffrono, i ristoranti sono vuoti». La città vive la difficoltà concreta, reale. Ma che non ferma la generosità.

Ultimo flash. La fiaccolata per le vie della cittadina. È stata organizzata insieme dalla parrocchia e dal comune, le due istituzioni centrali nella vita di Lampedusa. È accaduto dopo la morte della bimba di 5 mesi, annegata durante uno sbarco. «Questa morte ci ha colpito tutti. È stato un momento tristissimo. Sentivamo il bisogno di ritrovarci tutti come comunità, come lampedusani. Il corteo silenzioso è stato un momento forte, un momento che resta».

Silenzioso e forte. Come il popolo di Lampedusa. Che sa soffrire in silenzio, che sa donare e donarsi. E sa anche far sentire la propria voce.

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