L’ambizione è positiva o negativa?

Il bisogno dell'uomo di confrontarsi con parametri di eccellenza è motivante sul lavoro e in tanti aspetti della vita. L'assenza di questa spinta porta ad una calma piatta e all'assenza di vitalità. Attenzione però al carrierismo e al cinismo che in questa tensione al miglioramento fa dimenticare o calpestare gli altri
nell'arcipelago sardo

La parola ambizione deriva dal latino e indica il sentimento di chi ambisce e aspirazione a qualche cosa. E' un desiderio vivo. E’ riferito in generale ad onori, a cariche o al dominio. Usato in senso negativo si riferisce al  desiderio di potere, di onori, di grandezza ed è associato a vanità e ad orgoglio smisurato. In senso positivo significa desiderio di eccellere, di migliorare la propria posizione sociale o professionale.  

Nel campo del lavoro, l’ambizione viene considerata, dagli studiosi del comportamento organizzativo, una leva per la motivazione. I maggiori teorici hanno studiato l’ambizione sottoforma di successo e di bisogno di successo. McClelland, psicologo comportamentista, parte dal presupposto che la nostra motivazione lavorativa dipende dal bisogno di riuscire (need) che si realizza attraverso il raggiungimento del successo (need of achivement). Quest’ultimo è psicologicamente più importante  del raggiungimento degli obiettivi e delle ricompense, anche economiche, che sono implicati indirettamente.

Nel soggetto esiste il bisogno di affermarsi confrontandosi con parametri di eccellenza. E questo è di per sé motivante. Le idee di McClelland sono state successivamente riprese e ampliate da Frederick Herzberg e Abraham Maslow, negli studi sulla motivazione, nei quali entrambi indicano il bisogno di realizzazione di sé, quale gradino più alto della scala dei bisogni più complessi dell’uomo. Intendendo per realizzazione di sé, lo sviluppo della propria identità e delle proprie aspettative, trovando una posizione soddisfacente nel gruppo sociale.

Quando è assente l’ambizione, si avverte subito la sua mancanza. In alcuni luoghi l’impressione generale è quella di una calma piatta, desolante, una sensazione di mancanza di energia e vitalità. Si può osservare nel linguaggio dei corpi, sui volti, nella qualità stessa del lavoro, in cui sono assenti creatività, passione, slancio individuale e di gruppo.

Quando è troppo presente, l’ambizione, rischia di diventare carrierismo e desiderio di eccellere e di avere successo anche a discapito degli altri. Molto spesso, infatti, viene associata a comportamenti illeciti o immorali, di persone ciniche e spregiudicate intenzionate solo alla propria crescita professionale. Il rischio è di fare la fine del calciatore che gioca correndo dietro alla palla, perdendo di vista l’obiettivo e la strategia di gioco che porta alla vittoria. Questo rischio è ben descritto dalpPrincipio di Peter(1969), dell’omonimo psicologocanadese Laurence J. Peter: «In ogni gerarchia, un dipendente tende a salire fino al proprio massimo livello di incompetenza». Dopo aver conseguito una dopo l’altra le promozioni per i compiti ben svolti, raggiunge il massimo livello della carriera e finisce per occupare un posto nel quale è incompetente. Ogni posto chiave, dunque, tende potenzialmente ad essere occupato da un incompetente, un soggetto cioè in grado di creare più problemi di quanti possa risolverne. A meno che non riconosca il suo giusto posto nella gerarchia e non si fermi prima.

Dal mondo anglosassone arriva un insegnamento, oggi più considerato anche in Italia, secondo cui nell'affidamento di incarichi apicali emerge la tendenza di confidare non tanto sulle persone-brave e/o brave-persone, quanto su persone qualificate nello specifico compito di risolvere problemi e conseguire obiettivi. Spesso infatti le brave persone sono anche le più brave nel farsi raccomandare.

Confondere la fiammeggiante ambizione con l’odioso arrivismo è un equivoco madornale. Tuttavia, può anche accadere che per non diventare carrieristi, si diventi perfettamente insignificanti, apatici e disfattisti. L’ambizione sana, non è competizione spinta nella ricerca del massimo livello di carriera in assoluto, del potere fine a se stesso. Ma è il desiderio di esprimere il meglio di sé, nell’equilibrio personale e collettivo, trovando la vera felicità nell’essere se stessi, la persona giusta al posto giusto. Il vero piacere sta nel senso di realizzazione del lavoro ben fatto, del dispiegamento dei propri talenti. E’ la naturale spinta a eccellere, a realizzare qualcosa di significativo, non soltanto nella professione ma neanche nella stessa esistenza privata, una vera realizzazione di se stessi.

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